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I Saxon nel 2024

Hell, Fire And Damnation: i Saxon più granitici che mai

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La gloriosa band britannica torna con dieci pezzi che rinnovano la tradizione dei migliori anni ’80. Ritmiche toste, chitarre in spolvero e una voce che sembra immune al tempo che passa…

Diciamolo subito, a scanso di equivoci: Hell, Fire And Damnation (Silver Lining 2024), il ventiquattresimo album in studio dei leggendari Saxon, ha inagurato alla grande un’ottima annata per il rock duro.

Cosa dire di nuovo su questo disco, il primo di pezzi inediti dal 2018, che ha incontrato il favore del pubblico e goduto finora di buona stampa?

Poco o nulla. Di sicuro, Hell, Fire And Damnation è un prodotto molto professionale, registrato in tempi rapidi per poter andare in tour con i mitici Judas Priest. Ed è un album di metal classico, ma mai retrò, Anzi, grazie alla produzione del priestiano Andy Sneap, i suoni risultano molto moderni, tuttavia non snaturano di una virgola il songwtriting tipicamente anni’80 che, con i dovuti (e doverosi) aggiornamenti stilistici, resta il marchio di fabbrica della gloriosa band britannica.

La copertina di Hell, Fire And Damnation

Infine, a proposito di band, è necessario aggiungere che, dopo il recente abbandono dello storico chitarrista Paul Quinn, la cui presenza si limita ad alcuni solchi dell’album, l’unico membro fondatore superstite è il mitico vocalist Biff Byford.

La formazione dei Saxon 2024 è completata da Nigel Glockler, batterista e membro di lungo corso, e dal bassista Nibbs Carter, altro componente di lungo corso, più i chitarristi Doug Scarrat e Brian Tatler, che ha rilevato il posto di Quinn e continua a militare nei Diamond Head, altra vecchia gloria della Nwobhm.

Ultimo dettaglio degnissimo di nota: la copertina, di grande fascino horror gotico, dell’ungherese Peter Sallai, artista e cantante-chitarrista (e, in tale veste, leader della black metal band Bornholm.

E ora, arriviamo al dunque: parliamo di musica.

Hell, Fire And Damnation: i dieci pugni dei Saxon più heavy

Niente sotto-etichette: i dieci pezzi di Hell, Fire And Damnation sono solo metal puro e canonico, concepito, composto e suonato secondo tutti i clichés che anche i Saxon hanno contribuito a creare negli anni.

Atmosfere oscure caratterizzano il minuto e mezzo di The Prophecy, l’inquietante introduzione recitata da Brian Blessed, attore di lungo corso e volto noto della tv britannica e non solo.  Questa scelta teatrale dei Saxon è perfettamente in linea con una certa tradizione metal (si pensi alle collaborazioni di Orson Wells e Christopher Lee con i Manowar, a quella di Vincent Price con Alice Cooper e a quella di Barry Clayton con gli Iron Maiden).

Ad ogni modo, The Prophecy spiega, in poche battute, il filo conduttore dell’album: l’eterna lotta tra bene e male.

I Saxon versione 2024 (foto di Lea Stephan)

Questa lotta è raccontata, con la consueta grandeur, in Hell Fire And Damnation, una title track coi fiocchi, dalla ritmica sostenuta e dal riffing granitico e serrato. Notevole l’interpretazione di Byford, a cui i 73 anni suonati sembrano pesare poco.  Ottime anche le performance dei chitarristi, che rievocano i duetti e le armonizzazioni dei Maiden e dei Judas Priest migliori.

Il basso tagliente di Carter introduce Madame Guillotine, dedicata con macabra ironia a Maria Antonietta di Francia. L’atmosfera è decisamente anni ’80, grazie alla sapiente combinazione del refrain melodico e del riffing forte ma mai eccessivo. Tipicamente ottantiana anche la parte solista, con attacco lento e ipermelodico e crescendo appassionato.

Fire And Steel rappresenta alla grande l’altra anima dei Saxon, durissima e incline allo speed metal, con riferimenti garbati a sé stessi, ai Motorhead e ai Judas Priest vecchissima maniera. In gran spolvero la doppia cassa di Glockler. Nell’impostazione degli assoli, più canonica e melodica, è ancora visibile l’impronta di Quinn, che, prima di mollare, ha lasciato il segno in questo brano.

Ai misteri dell’ufologia è dedicata la dura ma più lenta There’s Something In Roswell (per capirci, racconta lo strano incidente aeronautico avvenuto negli Usa nel ’47, da cui sorsero varie leggende metropolitane).

La musica è all’altezza dell’intrigante contenuto: molto groove, refrain tosto e chitarre in gran tiro.

Di nuovo speed metal – ma eseguito in maniera più varia, con cambi di tempo e stop and go – in Kubla Khan And The Merchant Of Venice, dedicata a Marco Polo e al suo Milione. Refrain epico e arioso e riff granitico, per un risultato complessivo in bilico tra gli anni ’80 e il power teutonico.

Meno veloce e più cadenzata, Pirates Of The Airways, strizza un po’ l’occhio agli Ac/Dc e, grazie a una melodia ruffiana, un po’ all’aor,

Ma è giusto una pausa, prima del tuffo nell’epic metal di 1066, in cui i Saxon tifano, paradossalmente contro sé stessi: il pezzo, infatti, è dedicato alla mitica battaglia di Hastings, in cui i normanni guidati da Guglielmo il conquistatore sconfissero i sassoni.

I Saxon in azione sul palco (foto di Stefano Ferrarini)

La musica è in perfetta sintonia con l’argomento: tempo marziale e riffing serrato, cori evocativi e soli melodici.

Non potevano, invece, che essere doom il songwriting e le atmosfere della luciferina Witches Of Salem, dedicata al celebre processo per stregoneria nell’America settecentesca.

La chitarra di Paul Quinn rifà capolino nella conclusiva Super Charges. Ritmo veloce ma non tiratissimo, refrain melodico quanto basta, la canzone rinvia ancora una volta agli anni d’oro della Nwobhm.

Saxon: tradizione e coerenza nel cuore del rock

Non è assolutamente una critica, dire che Hell, Fire And Damnation non sia un album originale e che i Saxon non si siano sforzati di essere, almeno un po’, originali.

Tant’è: a loro e alle grandi band come loro l’originalità non è richiesta. Le virtù dei classici, semmai, sono altre: la bravura e la coerenza. E la band britannica ribadisce (anche in concerto, come racconta chi li ha visti live) di possedere entrambe in grande misura. A partire proprio da Byford, che, cosa rara per un cantante, sembra immune alle cattiverie del tempo che passa.

: Biff Byford: più di settant’anni e non sentirli

Il metal si è imborghesito a modo suo: è nato sulle piazze e nelle barricate, ma non si è accomodato in salotto. Semmai, si è fermato nello studio.

È l’unico genere rock ad essersi acculturato senza ammorbidirsi né perdere la passione.

E i Saxon lo ribadiscono: si può vivere a lungo da tigri senza finire in gabbia. Mica poco…

Per saperne di più:

Il sito web ufficiale dei Saxon

Da ascoltare (e da vedere):

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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