Louder Than Noise, un ricordo tosto dei Motörhead
Un live registrato nel 2012 rende omaggio ai padri dello speed metal a sei anni dalla scomparsa di Lemmy, icona insostituibile della trasgressione rock
Diciamolo con franchezza: non convincono affatto i toni con cui le principali webzine hanno accolto Louder Than Noise…Live In Berlin, pubblicato nella primavera 2021 dalla britannica Silver Lining.
D’accordo, i Motörhead non erano forse al massimo della forma. Anzi, il mitico Lemmy era prossimo al declino definitivo.
E si può essere d’accordo su un’altra cosa: la band britannica è stata celebrata sin troppo e forse si poteva fare tranquillamente a meno di quest’undicesimo album dal vivo, tra l’altro accompagnato da un dvd.
Tuttavia, Louder Than Noise… non è (solo) un’operazione nostalgia né un cimelio per fans affranti dalla scomparsa di mr Ian Kilminster, insostituibile icona del metal mondiale.
Come tutti i live, quest’album è un documento, che testimonia bene le potenzialità di una band anziana, prossima all’epoca della registrazione al quarantesimo anniversario di attività, ma ancora capace di picchiare duro sul palco. Anche a dispetto della malattia che avrebbe portato il leader alla tomba di lì a tre anni.
E questo documento è di ottima fattura, ribadita anche dalla qualità notevole delle registrazioni e delle riprese (curate, queste ultime, dal bravo Herwig Meyszner). Quindi non lo si può trattare come un bootleg, inciso alla meno peggio e buttato sul mercato per far cassetta e speculare sui portafogli degli appassionati.
La serata immortalata dal live è quella del 5 dicembre 2012, al Velodrome di Berlino, dove il trio britannico si è esibito davanti a quindicimila persone scatenate in una delle tappe del lunghissimo tour di supporto a The Wörld Is Yours (2010).
La formazione è quella più longeva, costituita, oltre che da Lemmy, dal ruvido chitarrista Phil Campbell e dal batterista schiacciasassi Mikkey Dee.
Il tempo di strimpellare il basso e di abbozzare un saluto alla fedelissima platea tedesca, e si parte col botto, grazie a una versione tiratissima di I Know How To Die, tratto dal citato The Wörld Is Yours. Che dire? Erano i Mötorhead di sempre: rudi, compatti e a loro modo bravi nell’interpretare i canoni di un genere (lo speed metal) che loro stessi avevano contribuito a creare.
Stesso discorso per la cadenzata Damage Case, tratta da Overkill (1979), il classicone con cui la band di mr Kilminster cavalcava l’onda alta del punk. Ottime le prestazioni di Campbell, che si lancia in assoli taglienti dal retrogusto blues, e di Dee, efficace nei cambi di tempo e capace di usare la doppia cassa senza assordare a tutti i costi.
Da Overkill proviene anche la tosta Stay Clean, in cui Lemmy si cimenta in un simpatico assolo di basso.
La terza citazione da Overkill è Metropolis, un’altra presenza fissa nelle scalette live della band britannica, in cui Campbell si diverte alla grande con assoli rapidi ed essenziali infilati tra una strofa e l’altra.
L’operazione nostaglia dei Motörhead prosegue con il rock ’n’ roll violentissimo di Over The Top, stavolta tratta da Bomber (1979) e dedicata da Lemmy a Phil Campbell, che reinterpreta alla grande le partiture del compianto Fast Eddie Clarcke.
La band fa un salto in avanti nel tempo e pesca dalla propria discografia Doctor Rock, tratto dall’ottimo Orgasmatron (1986), l’album in cui esordì Campbell e la band divenne un quartetto, grazie all’ingresso del compianto Würzel alla chitarra. La canzone, c’è da dire, rende bene anche suonata in trio: è senz’altro meno heavy ma mantiene un gran tiro e acquista in ruvidità.
String Theory è l’assolo di Campbell: due minuti di fraseggi rock blues sporchi e veloci, con cui il chitarrista albionico cerca di sembrare il fratello cattivo di David Gilmour.
Segue la plumbea The Chase Is Better Than The Catch, presa di peso dall’indimenticabile Ace Of Spades (1980).
Rock It, tratta dal sottovalutato Another Perfect Day (1983), è resa in versione quasi punk: via i giochetti melodici di Brian Robertson, sono sostituiti dal riffing più massiccio di Campbell, e, in cambio, tanta velocità e pesantezza in più.
You Better Run, tratta dal granitico March Or Die (1992), è un esempio di blues rivisto e scorretto da mr Kilminster & soci, in cui il leader si lancia in un giro di basso bizzarro e duella con la chitarra incendiaria del suo sodale.
Non tragga in inganno il titolo: The One To Sing The Blues, presa da 1916 (1991), non è un dodici battute, ma un pezzo metal coi controcrismi, tipico della più pura produzione motörheadiana, impreziosito per l’occasione dall’assolo massiccio e lineare di Dee, che esibisce alla grande le sue non indifferenti doti tecniche.
Sempre da 1916 proviene la scanzonata Going To Brazil, un esempio da manuale di rock ’n ’roll sgangherato, strafottente e potente.
Killed By Death è un tuffo negli anni ’80 più infuocati, reso in maniera ancora più heavy dell’originale, grazie al martellamento della doppia cassa.
La chiusura del concerto (e dell’album) è affidata a due classiconi.
Il primo è Ace Of Spades, reso in versione velocizzata, al termine del quale Lemmy interloquisce con la platea.
Il secondo è Overkill, qui in una versione lunghissima (otto minuti, una rarità per la band) eseguita assieme agli Anthrax. C’è di che sbizzarrirsi e mettere a dura prova i timpani.
D’accordo, era il 2012 e Lemmy era in pieno declino fisico, come denuncia la voce del frontman, roca come sempre ma in certi momenti decisamente afona. Tuttavia, dai solchi e dalle immagini di Louder Than Noise non si intuisce la fine prossima, anzi: si ha l’idea di una band che ha ancora molto da consegnare al proprio pubblico e agli appassionati del metal.
Per questo l’album merita tanti ascolti e un po’ di commozione. Con buona pace dei piccoli fan che si improvvisano a critici.
Per saperne di più:
Il sito ufficiale dei Motörhead
Da ascoltare (e da vedere):
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