Bloodlines: tornano le Tigri del metal britannico
Dieci pezzi brillanti in bilico tra heavy anni ’80 e hard rock melodico nel nuovo album delle Tygers Of Pan Tang, con una grande performance del nuovo chitarrista italiano
Un classico postmoderno: è la definizione più azzeccata per Bloodlines, il tredicesimo album in studio del gruppo britannico Tygers Of Pan Tang, pubblicato all’inizio della scorsa estate dalla label danese Mighty Music.
Dire Tygers Of Pan Tang significa evocare la prima metà degli anni ’80 e, soprattutto, la Nwobhm (New Wave Of British Heavy Metal) di cui la band inglese fu protagonista assoluta, non meno brava ma, forse, più sfortunata dei big di allora, diventati star assolute (Iron Maiden o Def Leppard) o comunque gratificati da ottime carriere (Saxon).
La brillante rinascita delle Tygers Of Pan Tang
Tuttavia, le Tygers Of Pan Tang di oggi non sono la stessa, gloriosa band degli early 80’s, bensì la sua rifondazione, operata a inizio millennio dal chitarrista Robb Weir, unico superstite della formazione originaria, intestarditosi a riprendere un’avventura musicale che ha ancora molto da dare (eccome).
Lo affiancano il batterista Craig Ellis, in formazione dal 2000, e il cantante fiorentino Jacopo Meille, integratosi alla grande dal 2004. Più due interessantissime new entries: il bassista Huw Holding (ex Blitzkrieg, quindi anche lui reduce della Nwobhm) e il chitarrista sardo Francesco Marras, un altro italiano segnalatosi sulle scene internazionali grazie all’estrema bravura.
Il sound di Bloodlines risente di questo salto generazionale interno alla band, che aggiorna come si deve i canoni del metal ottantiano grazie anche alla produzione del danese Tue Madsen, specialista nelle sonorità ben più pesanti del death e del trash, scandinavi e non solo.
Il risultato? Un album sospeso tra un passato rinverdito alla grande, un presente affrontato bene, senza complessi nei confronti delle nuove leve e un futuro promettente. Vediamolo nel dettaglio.
I dieci morsi delle tigri
Il primo morso delle Tygers Of Pan Tang è la potente Edge Of The World, che riassume come si deve gli stilemi del metal classico: introduzione esotica e orientaleggiante, riff power sorretti da una ritmica precisa e pesante quel che basta, refrain melodico e cori epici carichi di pathos.
Non originalissima, ma comunque efficace la citazione flamenco a metà canzone, da manuale metal il duetto Weir–Marras.
In My Blood è un tuffo ben eseguito negli anni ’80: tempi cadenzati, riff serrati e cori radiofonici ma non troppo. Ottimo il duello delle chitarre, in cui il sardo infila frasi supersoniche molto azzeccate.
Gli anni ’80 significano anche speed metal. E le Tigri non si tirano indietro con Fire On The Horizon, un pezzo tiratissimo e di gran classe, che ribadisce una volta di più che forza non vuol dire per forza rumore e che melodia e potenza possono andare a braccetto.
Più virata verso l’Aor, Light Of Hope mescola bene riff tosti, refrain leggermente dark e coro ariosissimo alla Van Halen vecchia maniera (per capirci, quelli di 1984). Efficacissime anche le incursioni soliste.
Back For Good è un altro omaggio agli ’80, in cui il pop rock dei Survivor incontra il metal melodico dei Saxon.
Ovviamente, in un album come Bloodlines, che omaggia il decennio d’oro del metal classico, non può mancare una ballad. Le Tigri provvedono con l’ottima Taste Of Love, che cita garbatamente i Whitesnake, grazie a una melodia dolce ma non sdolcinata e a un crescendo carico di pathos (e di potenza). Classica anche l’intro, affidata agli arpeggi del piano e ai ricami della chitarra.
Molto tirata ed efficace Kiss The Sky, che si segnala per un coro che strizza per i cambi di tempo e per un refrain che strizza di nuovo l’occhio ai Saxon.
Decisamente più dark, Believe, si segnala per il riffing un po’ più pesante rispetto al resto dell’album, appena stemperato dal coro. Da applausi la prestazione di Marras, che cita Malmsteen in alcuni passaggi dell’assolo.
Chiude l’album la bellissima Making All The Rules, una power ballad in cui gli arpeggi dell’acustica si alternano con grande efficacia alle sfuriate dell’elettrica. Grandiosa l’interpretazione di Meille, che ricorda un po’ il Joey Tempest degli ultimi Europe.
Le Tygers Of Pan Tang graffiano ancora
Difficile dire se la produzione di Madsen abbia fatto davvero la differenza. Certo è che suoni più aggressivi dei vecchi standard ci volevano.
Alla fine della giostra, conta solo una cosa: che Bloodlines sia l’album bello e godibile che è. Non solo roba da boomer (gli over 20 degli anni ’80 che scoprivano il metal) né solo da adolescenti degli anni di latta. Ma roba viva e pulsante.
Le Tygers Of Pan Tang hanno avuto la classica vita da mediano: grande bravura non riconosciuta a dovere quand’era il momento e qualche scelta sbagliata al momento sbagliato. Poi, dopo la slavina del grunge – che, tranne poche eccezioni, ha degradato il rock nel tentativo di risollevarlo – la voglia di ricominciare e riannodare i fili di un discorso interrotto.
E c’è chi è riuscito a fare cose egregie: ad esempio, i Diamond Head e i Praying Mantis.
A loro si uniscono ancora una volta le Tigri britanniche, che si ispirano a Michael Moorcook ed evocano Salgari. Ma, se possibile, con un merito in più: la capacità di ringiovanire un genere senza citare altro che sé stessi e il proprio ambiente.
Non è davvero poco: val la pena di ascoltare le Tygers Of Pan Tang, per quel che dimostrano di poter ancora dare con graditudine. E che il ruggito sia con noi.
Per saperne di più:
Il sito web ufficiale della band
Da ascoltare (e da vedere):
527,754 total views, 828 views today
Comments