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Stefano Belluzzi

Dai collant alla canzone attraverso il jazz. Parla Stefano Belluzzi

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Il contrabbassista famoso per i suoi jingle televisivi racconta “Ridi”, il suo ultimo ep carico di ironia

Lo abbiamo ascoltato molte volte, forse senza accorgersene: sono suoi i jingle di Parmacotto, creme solari Bilboa dei collant Levante dei profimi Givenchy e via discorrendo.

In questo caso, la distrazione ci sta per gli ascoltatori comuni, complici le appetitose fette di prosciutto o le appetibili modelle intente a reclamizzare calze, pomate e cosmetici.

Un primo piano pensoso di Stefano Belluzzi

Ci sta un po’ meno per gli appassionati, i quali sanno che Stefano Belluzzi, trentino di nascita ed emiliano da sempre, non è solo un autore di colonne sonore per la pubblicità, ma anche un finissimo jazzista, compositore e cantautore.

In tale ultima veste, Belluzzi è tornato col recentissimo ep Ridi – accompagnato dall’omonimo singolo anche in chiave remix – uscito a dieci anni di distanza del predecessore Voilà.

La cifra artistica del Belluzzi canzoniere è, manco a dirlo, l’ironia. Cioè la compagna fidata di chi sa quanto vale e, a differenza degli insicuri, può permettersi il lusso di non prendersi troppo sul serio.

Vuoi raccontarci le tracce della tua ultima fatica discografica?

Ridi è un brano (anche) autobiografico, che rappresenta il senso di disagio che mi è capitato di provare nei confronti di chi non vuole affrontare temi come la ricerca della felicità e preferisce riderci su cambiando subito argomento… chissà perché. Il brano Non è parla della riscoperta delle piccole cose della quotidianità e della loro importanza. Metti addosso questo amore è invece un messaggio di speranza verso chi pensa che non ci sia nessuno interessato all’acquisto del suo cuore spezzato. L’altra parte è forse l’unico brano un po’ intimista: parla di un uomo che scopre osservandosi dentro (cosa non sempre facile) qualcosa di nuovo su di sé. Cow Boy è semplicemente il racconto di un sogno dove il protagonista è finalmente sé stesso. Tu puzzi evidenzia la finzione di alcune nostre vite passate a inseguire cose di cui – in fondo in fondo – non ci importa niente. Questo ultimo ep rappresenta una sfida, nel senso che avevo voglia di un po’ di leggerezza nella scrittura sia dei testi sia della musica e, nel registrarlo, mi sono davvero divertito molto, spero si senta.

La copertina di “Ridi”

Non tutti sanno che hai anche composto jingle pubblicitari. Qual è il processo compositivo di un brano per uno spot pubblicitario?

Il lavoro di autore di musica per gli spot mi ha dato davvero tante soddisfazioni. Creatività e sintesi allo stato puro: tutto in trenta secondi, appunto il tempo di uno spot. L’agenzia ti dà lo storyboard, ovvero un susseguirsi di vignette che raccontano le scelte del regista. Su questo, nel rispetto preciso dei tempi, scrivevo le melodie. Se poi l’idea piaceva al cliente, procedevo con gli arrangiamenti.

Premio Tenco, Premio Recanati, Roxy Bar, Maurizio Costanzo Show… solo per citarne alcune tue esperienze. Cosa ti hanno lasciato?

Sinceramente? Ogni trasmissione televisiva a cui ho partecipato mi ha sempre creato un po’ di stress, soprattutto quando erano in diretta, ciononostante sono state sicuramente esperienze importanti che mi hanno dato la possibilità di conoscere artisti del calibro di Elvis Costello, tanto per fare un nome, oltre a tanti artisti italiani importanti.

Facciamo un passo indietro: com’è nata la tua passione per la musica e quando hai capito che poteva essere un lavoro?

I miei giochi preferiti sin da piccolo erano una tromba di plastica e una fisarmonica giocattolo. Non ricordo se c’è stato un momento in cui è scattata la scintilla, forse quando mio padre ha portato a casa un disco (regalo della banca), così Le quattro stagioni di Vivaldi era l’unico disco in casa. Avevo più o meno otto anni e ogni giorno lo ascoltavo innamorato, forse da lì è partita questa passione che però è sempre stata divisa con il lavoro di insegnante di musica nelle Scuole medie.

Come mai hai scelto uno strumento tanto affascinante quanto incompreso come il contrabbasso?

La scelta del contrabbasso è stata un po’ condizionata dal fatto che nella mia prima formazione jazz mancava, appunto, il contrabbassista. Poi, siccome ho deciso di iscrivermi al conservatorio a diciotto anni, il contrabbasso a differenza di altri strumenti non aveva limiti di età. Poi naturalmente è sbocciato l’amore per questo stupendo strumento.

Cosa consiglieresti a un giovane artista per intraprendere la carriera musicale?

Consiglio di ascoltare tanto e di tutto. Quando avevo diciotto anni non c’erano Spotify, Youtube e internet in generale. Partivo da Correggio in tram, poi a Reggio Emilia in treno fino a Milano per riuscire a comprarmi un vinile con i miei risparmi. Sembra incredibile oggi. Adesso, invece, hai il mondo musicale a disposizione con un clic.  Quindi, parola d’ordine: Ascolto. Certo, coltivare un po’ la tecnica sullo strumento e sulla voce non guasta.

La copertina della versione alternativa di “Ridi”

Ascoltare di tutto?

Certo, per quel che mi riguarda. Diciamo che sono una persona che ha sempre avuto un profondo rispetto per la musica e per i suoi protagonisti, oltre ad una grande curiosità per essa. Ho sempre amato i grandi jazzisti, ma allo stesso tempo mi commuovo davanti a un fisarmonicista di liscio bravo e sincero.

Quali sorprese ci dobbiamo aspettare dalla tua straordinaria vena creativa?

Sinceramente spero solo di scrivere riuscendo sempre a divertirmi e ad emozionarmi. Il resto, come sempre, verrà da sé.

(a cura di Andrea Infusino)

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