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Seven: tornano i Winger con un numero perfetto

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Il supergruppo americano lancia dieci brani duri e brillanti, nella migliore tradizione del metal melodico

Dove non può la creatività, arriva la bravura. E se l’arte non basta, soccorre il mestiere. E ciò vale assai per i Winger, che di bravura e mestiere ne hanno da vendere.

Certo, gli americani non sono proprio dei superproduttori: sette album in trentacinque anni di carriera risultano pochini. Ma la qualità delle loro produzioni, orientate su un metal melodico di gran classe, è stellare.

E Seven, l’ultima fatica, uscita alla fine della primavera scorsa per la label napoletana Frontiers, non fa eccezione.

Winger: squadra vincente e numero perfetto

Sette come le virtù teologali o gli chackra. Sette come le note delle scale diatoniche. E via discorrendo.

In tal senso, Seven è un titolo ambizioso. Ma, c’è da dire, la squadra che lo ha composto è più che all’altezza.

La copertina di Seven

Di più: parlare di supergruppo e pensare ai Winger è la stessa cosa. Infatti, la band è la classica squadra vincente che non si cambia per definizione.

La leadership, come sempre, è del mitico Kip Winger, al basso e alla voce, già collaboratore di Alice Cooper, Bob Dylan e The Alan Parsons Project e apprezzato compositore di musica classica.

Non è da meno il curriculum del tastierista e chitarrista Paul Taylor, già sodale di Winger nella band di Alice Cooper e collaboratore, tra gli altri, di Sammy Hagar, Gary Pihl, Eric Martin e Aldo Nova.

Né ha bisogno di presentazioni Reb Beach, virtuoso delle sei corde che si divide tra i Winger e gli Whitesnake dopo una carriera di collaborazioni ultra varia, che va dai Bee Gees a Chaka Khan passando per Bob Dylan.

Più contenuti – si fa per dire – i precedenti del batterista Rod Morgenstein, che milita anche nei mitici Dixie Dregs e insegna percussioni al prestigioso Berklee College of Music di Boston.

Ultimo, in ordine cronologico, il chitarrista John Roth, già nei Black Oak Arakansas e stabile negli Winger dal 1993.

Da questo popò di assi poteva uscire qualcosa di brutto? Proprio no. E le dodici tracce di Seven lo confermano.

I Winger degli anni d’oro sul palco

Dodici gioielli di classe e durezza

Suoni potenti, melodie accattivanti e produzione brillante. Sono le caratteristiche più evidenti di questa nuova fatica di Kip Winger e soci, che risultano convincenti sia nelle prove più hard sia nelle tracce più vicine all’Aor.

Proud Desperado apre Seven con un riff secco e spigoloso dall’andamento veloce. Ottima la prestazione del frontman, che passa da un refrain duro a cori brillanti. Questa varietà è merito senz’altro del songwriting efficacissimo di Desmond Child, coautore del pezzo.

Più sul versante Aor, Heaven’s Falling si basa sulla combinazione ben fatta (e vincente) tra un riffone pesante e un refrain arioso. Ottimo anche l’assolo di chitarra, melodico e virtuosistico ma senza strafare.

Tears Of Blood è un caleidoscopio di citazioni. L’intro, ad esempio, rinvia in maniera quasi sfacciata a Hells Bells, il classicone degli Ac/Dc.  

Il refrain, melodico ed heavy, evoca molto Aor d’annata, a partire dai Survivor, e il bridge orientaleggiante cita i Black Sabbath della seconda metà degli anni ’80 (l’era Tony Martin, per capirci). Grande il coro, in cui Kip Winger dà una bella prova di estensione vocale.

Resurrect Me è un valido esempio della ricetta vincente dei Winger, ovvero Aor arioso, metal melodico con elementi prog. E con qualcos’altro di più: chitarre fortissime in grande evidenza, forse maggiore rispetto agli standard del genere.

Un bel giro di basso introduce la pesante Voodoo Fire, caratterizzata dal riffone massiccio e dall’andamento un po’ funky. Notevoli i cori e il bridge centrale che introduce l’assolo di chitarra, breve e selvaggio,

Kip Winger

Atmosfere acustiche, crescendo pieno di pathos e melodia romantica per Broken Glass, una ballad che non può mancare in un album dei Winger.

La movimentata It’s Okay parte da un riff alla Bon Jovi ed evolve in maniera piuttosto originale, tra dissonanze inserite ad arte nei bridge e coro ultra accattivante.

Con Stick The Knife In And Twist, la band si posiziona su un territorio decisamente metal: lo dimostrano il bel riffone alla Judas Priest e il cantato più cattivo. Da applausi il botta e risposta tra le chitarre di Beach e Roth.

Altrettanto tosta, ma dall’andamento più cadenzato, One Light To Burn che alterna un refrain tenebroso e cori sofisticati.

Atmosfere anni ’80 in Do Or Die, che dopo un attacco soft diventa cattiva, con un un refrain alla Ronnie James Dio.

Tosta anche la cadenzatissima Time Bomb, che parte da un riff pesante e cresce in cori e bridge raffinatissimi.

Un arpeggio di piano introduce la conclusiva It All Comes Back Around, altro bel tuffo negli anni ’80, solo con le sonorità un po’ più pesanti rispetto agli standard del genere.

I Winger al completo

Winger: un nuovo arrivederci

Per tornare al loro pubblico con Seven, i Winger ci hanno messo nove anni, tanti ne sono passati dal precedente Better Days Comin’ (Frontiers 2014).

Sembra quasi una cabala per esoteristi incalliti.

Ad ogni buon conto, l’attesa è valsa la pena, sia per gli appassionati che per gli ascoltatori meno smaliziati.

Il supergruppo americano è sinonimo di qualità in ogni prova, a dispetto del tempo che passa. Sul quale c’è da dire una cosa: travolge le mode e i trend ma non scalfisce il talento e la bravura.

Ma questa volta speriamo, comunque, che non passi troppo altro tempo prima del prossimo album. Sarebbe davvero un peccato.

Per saperne di più:

Il sito web ufficiale della band

Da ascoltare (e da vedere):

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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