The Circus And The Nightwhale: lo Steve Hackett più sperimentale di sempre
Poco prog ma tanto eclettismo e molte suggestioni cinematiche nel ventottesimo album solista dell’ex chitarrista dei Genesis, un concept pieno di riferimenti autobiografici e di scorribande sonore
L’album The Circus And The Nightwhale (Inside Out 2024) conferma una volta di più che il suo autore è l’ex Genesis più produttivo. Infatti, Steve Hackett, giunto col titolo appena menzionato al ventottesimo disco da solista, si è costruito nei decenni una reputazione inscalfibile tra gli amanti della musica.
Il chitarrista londinese non ha avuto il successo milionario di Phil Collins né di Peter Gabriel (che pubblica un album ogni venti anni e per il resto fa il produttore di lusso), ma per gli intenditori questo non è un problema.
The Circus And The Nightwale è un concept album carico di influenze fusion (non storcano il naso certi puristi) e di suggestioni cinematiche, piuttosto diverso dalla produzione abituale del Nostro, perché stavolta l’elemento prog è secondario.
Brani tendenzialmente brevi dalla struttura e dagli arrangiamenti originalissimi. Niente assoli lunghi e un maggior lavoro di squadra.
Merito della band, composta dai cantanti Amanda Lehmann e Nad Sylvan, che dividono le parti vocali con Hackett, dal tastierista Roger King, dal sassofonista Rob Townsend, dal bassista Jonas Reingold e dal batterista Craig Blundell.
Ma merito anche del nutrito (e selezionatissimo) gruppo di ospiti, che hanno arricchito non poco le partiture del disco. Notevole l’apporto dell’azero Malik Mansurov al tar, di John Hackett al flauto, di Benedict Fenner alle tastiere e di Nick D’Virgilio e Hugo Degenhardt alla batteria.
Questo spiegamento offre più di una garanzia.
The Circus And The Nightwale: autobiografia in tredici canzoni
Come dichiarato più volte e in più sedi dallo stesso Hackett, The Circus And The Nightwale è un concept autobiografico, in cui l’artista rivive momenti forti della propria crescita umana.
Non a caso, l’album inizia con la particolarissima People Of The Smoke, un omaggio poliedrico alla Londra degli anni ’50, il punto di partenza della vicenda esistenziale del Nostro. Il brano, introdotto da due suoni simbolici (il rumore di una vecchia radio e di un treno), è pieno di riferimenti fusion, di elettronica e di civetterie rock e orchestrali. L’influenza dei Genesis, invece, è quasi nulla. Notevole il lavoro della chitarra, decisamente heavy.
Il tutto dura cinque minuti. Poi il pezzo sfocia nel successivo These Passing Clouds, un breve e romanticissimo interludio, in cui la chitarra (slide e non) vola delicata su una dolce base orchestrale.
Un riffone duro, un po’ metal e un po’ zappiano, introduce e regge Taking You Down, in cui l’impianto heavy è ammorbidito da un refrain retrò, vagamente pinkfloydiano. Zappiana anche la parte strumentale, affidata alle sfuriate del sax di Townsend. Notevole anche la chitarra nella fase conclusiva del pezzo.
La cinematica Found And Lost fornisce una pausa carica di atmosfere notturne: intro dolcissima, dominata dagli arpeggi dell’acustica, evoluzione jazzy.
Il prog fa capolino in Enter The Ring, in cui un arpeggio circolare introduce un bel refrain crimsoniano. Poi la fuga degli strumenti su un veloce controtempo. Bella la prestazione del flauto. Chiude la chitarra scatenatissima di Hackett.
Un riffone hard regge la melodica Get Me Out, che si segnala per il contrasto – appunto – tra riffing e refrain. Ma la chitarra del padrone di casa scombussola di nuovo le carte: passa da delicate tessiture slide a passaggi schizofrenici degni del migliore (e più bizzarro) Robert Fripp e chiude con citazioni blues. Da applausi.
Giusto per non farsi mancare niente, è a dir poco originale (e suggestivo) il coro simil-gregoriano guidato da Lehmann che introduce il pop romantico di Ghost Moon And Living Love.
Come da nome, Circo Inferno, è una sarabanda sonora carica di suggestioni orientali (e non a caso introdotta dal tar di Mansurov). Superbe ancora le performance del leader e di Townsend che fa letteralmente urlare il suo sax.
Lo zampino dei King Crimson riemerge in Breakout, dominata da un riff durissimo e distorto come Fripp comanda.
I fraseggi della chitarra diventano stralunati e atonali nella breve All At Sea, che evoca alcune cose di Bill Frisell.
Supercinematica, Into The Nightwale si segnala per un repentino cambio di atmosfera dal tema strumentale drammatico e carico di dissonanze della prima parte al cantato dolce e rarefatto della conclusione.
Di nuovo rock e progressive in Wherever You Are, un pezzo dal refrain romanticissimo.
White Dove è una coda strumentale iperhackettiana: un bell’arpeggio di chitarra regge i disegni acustici del mandolino. Ispirazione mediterranea e suggestioni classiche si mescolano alla perfezione. Una specie di Horizons ma cco ’a pummarola ’ncoppa.
Il ritorno che spiazza di Steve Hackett
The Circus And The Nightwhale non ha fatto in tempo ad uscire ché subito ha spiazzato un po’ tutti.
Innanzitutto, il pubblico, privato delle solite reminiscenze genesisiane. Ma soprattutto molta critica, per cui la nostalgia può diventare più canaglia che per il fan più ingenuo.
Il fatto è che, a settantaquattro anni portati bene e suonati meglio, mr Hackett ha il sacrosanto diritto di sperimentare.
Se possibile, nella maniera più originale per uno che, come lui, è sinonimo vivente di prog. E laddove il prog dilata le durate e gli assoli, Hackett stavolta ha compresso. Laddove la lezione genesisiana (e non solo) imporrebbe l’iper orchestrazione, Hackett si è dato al minimalismo.
Il risultato è un caleidoscopio impazzito di suoni, immagini e atmosfere, in cui la musica completa le allusioni dei versi e questi danno linguaggio alle emozioni suscitate dai suoni.
Inutile dire che The Circus And The Nightwhale è il classico album che merita più di un ascolto approfondito, se possibile in cuffia.
E i Genesis? E il rock romantico (proposto dal Nostro anche nel recente passato)? Chi non riesce proprio a farne a meno, aspetti qualche mese: Hackett e i suoi riprenderanno a girare i palchi di mezzo mondo per eseguire quel classicone che è The Lamb Lies Down On Broadway.
Se ciò non bastasse, ci sono i Big Big Train che sanno fare i Genesis come neppure i Genesis sapevano fare sé stessi nei gloriosi ’70.
Nel frattempo, godiamoci questo bel concept.
Per saperne di più:
Il sito web ufficiale di Steve Hackett
Da ascoltare (e da vedere):
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