Asino e me ne vanto ancora! Ultima replica al prof Gangemi
Il professore emerito dell’Università di Padova torna alla carica e mi controreplica. Gli rispondo di nuovo e poi basta
Il professor Giuseppe Gangemi non demorde e mi gratifica di un’altra polemica, pubblicata sul portale Alta Terra di Lavoro il 18 settembre us.
Il titolo, se possibile, è più mattonesco del contenuto: Giuseppe Gangemi risponde ai commenti dei lettori del suo articolo pubblicato su Alta Terra del Lavoro e alla “replica doverosa” del dottor Saverio Paletta.
Detto altrimenti (anche a beneficio di chi si è perso le puntate precedenti), ’u Prifissuri ha replicato ad Asino e me ne vanto!, la mia replica, pubblicata il 12 settembre scorso, al suo Una polemica sollevata da Saverio Paletta. Con quest’ultimo articolo, il Prof rispondeva al mio Caso Lombroso-Giuseppe Gangemi, lo spin doctor della crociata neoborb, uscito oltre quattro anni fa, col quale a mia volta commentavo il suo, allora fresco di pubblicazione, Dai meridionali cannibali alle altre bugie: il Museo Lombroso è razzista, vi spiego il perché.
Insomma, quella du’ Prifissure è una controreplica a una replica della replica. Per questo motivo, rispondo ora e poi, lo dico subito, la chiudo qui. I motivi li spiegherò più sotto.

Intanto, perdonatemi se per la seconda volta mi rivolgerò in maniera diretta al prof Gangemi dandogli del voi, come si doveva usare Qvando c’era Lvi, e come tutt’ora si usa tra molti calabresi (come me e ’u Prufessuri, appunto) e meridionali. Tant’è: un dibattito pubblico è sempre un duello. E non me ne voglia nessuno se ai ricami del fioretto in terza persona preferisco le sciabolate. Alla fine, è pur sempre scherma e non una rissa da strada che, presumo, non dispiacerebbe a non pochi neoborb.
Gangemi è neoborb: ecco perché
Dunque, caro Prifissure, non vi identificate nel neoborbonismo ma vi definite federalista, sebbene non nel senso della vecchia Lega di Umberto Bossi.
Mi fa piacere, anche se non sono federalista e credo che tra le cause del declino del Sud ci siano proprio le accresciute attribuzioni degli enti territoriali, a partire dalle Regioni.
Detto questo, lasciatemi definire il neoborbonismo senza toccare la suscettibilità di Gennaro De Crescenzo, che per aver fondato e presiedere a vita il Movimento neoborbonico, rivendica la titolarità esclusiva su qualsiasi neo, neoformazione e persino neoplasia abbia a che fare con la cessata dinastia del cessato Regno delle Due Sicilie (e, visto che ci siamo, anche dei vecchi Regni di Napoli e di Sicilia).

Per neoborbonismo, che su L’IndYgesto abbiamo ribattezzato neoborb, intendo quell’attitudine politico culturale che si alimenta di un revisionismo antirisorgimentale forte nei toni ma spesso inconsistente nei contenuti. L’aspetto ideologico di questo fenomeno è, allo stesso tempo, inconsistente e complesso: oscilla tra pulsioni reazionarie di destra alimentate da un certo nostalgismo e rivendicazioni di sinistra, a cavallo tra un certo gramscismo un po’ avariato e il ribellismo tout court.
A volte, il nostalgismo di destra si fonde con il gramscismo in puro stile balcanico: l’esempio più colto è l’opera di Nicola Zitara.
Ma tant’è: ammonisce Albano Carrisi, la nostalgia è sempre canaglia, di destra o di sinistra che sia.
Insomma, intendo tutto ciò di cui trattò Lino Patruno nel suo Fuoco del Sud. La ribollente galassia dei Movimenti meridionali (Rubbettino, Soveria Mannelli 2010).
In tutta coscienza, Prifissù: siete davvero convinto di non essere in qualche modo organico a tutto questo? Guardate che non c’è nulla di male.

Perciò, per tornare a cose già scritte, non sono io che ho fatto e faccio convegni con Gennaro De Crescenzo (alias don Gennarino, Gennarino Settebellezze e ’o Professore) e non sono io quello che ha sostenuto quasi fuori tempo massimo la battaglia bizzarra e già persa del Movimento Neoborbonico e del Comitato “no Lombroso”.
Non ho scritto io, infine, testi revisionisti dedicati a Lombroso e all’immediato periodo postunitario.
Neomeridionalismo: di cosa parliamo?
A proposito di neomeridionalismo: ho citato, senz’altro a mo’ d’esempio, Emanuele Felice e il compianto Vittorio Daniele. E non solo perché ritengo la loro produzione stellare. Ma soprattutto perché li considero i due autori che più si sono dedicati al dibattito pubblico sul Sud. In parole povere: che più hanno esposto le proprie tesi al di fuori dell’accademia.
Per quel che riguarda gli altri autori che avete citato, Prifissù, non riesco a capire una cosa. Voi parlate di «generazione di studiosi accademici successiva a quella di questi due ammirevoli colleghi» e fate, giustamente, dei nomi, anche importanti, a partire da Guido Crainz.

Mi tolgo il cappello, per carità. Ma siccome ho verificato (sapete: Google e Wikipedia esistono) mi restano dei dubbi. Ovvero: Crainz, di cui ho apprezzato varie opere, è del 1947, l’antropologa Annamaria Rivera è del 1945, il suo collega Marco Aime è del 1956. Gli altri che avete citato, invece, sono o pubblicisti militanti (Anna Curcio e Gigi Roggero) o accademici nella cui produzione non figurano studi meridionalisti, almeno a scorrerne i curricula.
A questo punto, qualcosa mi sfugge di sicuro: Daniele era del ’68 e Felice, invece, è del ’77, in che modo Crainz, Rivera e Aime, nati piuttosto prima, farebbero parte della generazione «successiva»? Evidentemente non sono in grado di cogliere questa e altre complessità. Ma prego Vussuria di non spiegarmele, perché per me il dibattito termina davvero qui.
Ci sono calavrisi e calavrisi
Veniamo al core business della polemica: l’asino, anzi il ciuccio.
Ho capito fin troppo, Prifissù che aviti vulutu usare una metafa, come avrebbe detto il grande Massimo Troisi, e non un epiteto. Infatti, vi ho risposto con un’altra metafa, sempre legata al mitico ciuccio. Se non avete colto il perché considero il paragone un complimento, vi rinvio a un superbo articolo di quel bulinista della penna che è Marcello Veneziani. Ciò detto, Prifissù, non chiedetemi di scadere oltre.
Giusto per chiosare: non considero un demerito il non saper interpretare la cosiddetta saggezza contadina che, perdonatemi tutti, considero una categoria non esistente.
Al contrario, io considero quel mondo il precedente biologico di tutte le jatture italomeridionali: l’omertà mafiosa, la mancanza di senso pubblico e di passione civile, l’assenza di senso civico, il servilismo e l’ingordigia predatoria tra simili. Detto altrimenti, tutto ciò per cui il Meridione è tale. L’elogio di questo Piccolo Mondo Antico tradisce solo la compiacenza classista di chi conosce zappe e vanghe per averle viste nelle mani altrui.
È vero, Prifissù: non sono calavrisi cumu vuavutri. Mentre voi concionavate sui Savoia distruttori e Lombroso nazi, io mi facevo un mazzo così nelle redazioni di tutti i giornali calabresi e mi ficcavo puntualmente in qualche guaio perché denunciavo mafiosi e ladroni, pubblici e privati.

Quelli sui quali non mi risulta che voi e i vostri compari – pronti invece a puntare il dito su militari morti, spesso incensurati, oltre un secolo e mezzo fa – abbiate detto nemmeno una parola. Sapete: io sono giornalista e me la prendo coi vivi.
Ripeto: non sono calavrisi cumu vuavutri. A livello morale, almeno, sono molto meglio.
Solo la verità: la ragione del nostro dossier
Visto che ci siamo, è il caso di tornare su una cosa che ho detto più volte: non ho messo mano al dossier sul mondo neoborb per difendere chissà chi o chissà cosa. Né per dar sfogo a rancori e antipatie. Ho solo fatto una grossa “operazione verità” (o, se preferite, debunking) basata su verifiche rigorose (il cosiddetto fact checking su cui pontifica tanta manualistica per ragazzini). Insomma, ho lavorato sui fatti per difendere solo i fatti. Un lavoro ben diverso da quello di altri due calavrisi cumu nuavutri: Pino Ippolito Armino e Andrea Mammone. Loro hanno riproposto il solito canone gramscian-progressista, che alligna ancora in buona parte della subcultura meridionalprofonda.
Non così L’IndYgesto: io e i miei compari abbiamo solo difeso la verità storica. Punto.
Si può dire la stessa cosa, per esempio, di Alta Terra di Lavoro?
Un’allegra brigata di goliardi
Alcune firme di questo portale si fanno notare sin troppo. È il caso di Alessandro Fumia, che si distingue per un uso dell’italiano a volte prossimo alla scrittura automatica.
I contenuti non sono da meno: nel suo Messina, la capitale dimenticata (2018) Fumia sostiene che il bombardamento della città siciliana fu opera degli insorti e non delle truppe borboniche. Dunque, gli insorti assediati se la sarebbero presa non con i forti borbonici ma con i tetti delle loro case. Visto che l’assedio del 1848 durò nove mesi viene da chiedersi: erano artiglieri miopi oppure masochisti? In ogni caso, è difficile criticare il libro di Fumia, pubblicato nel 2019 dalla stessa Magenes che ha pubblicato il Vs mattoncino su Lombroso: lungi da me offendere il comitato scientifico di questa casa editrice.

Non è da meno Loreto Giovannone, che arriva a sostenere l’uso dell’Iprite o gas simili durante la guerra di Crimea del 1856.
La sfida si fa interessante grazie alle incursioni nell’ufologia di Fiorentino Bevilacqua e raggiunge una certa intensità con le divagazioni storiografiche di Luigi Maganuco.
Secondo quest’ultimo, che imperversa anche su Il Quotidiano di Gela, Cavour avrebbe fatto delle cose strane, tra cui una speculazione monetaria da far impallidire il Soros più in forma: la conversione di tre milioni di franchi francesi raccattati dalla comunità americana del New England col benestare della Massoneria di Edimburgo in piastre turche. Inoltre, sempre secondo Maganuco, Mazzini sarebbe stato una sorta di integralista islamico avant la lettre…
Ma il top lo si raggiunge con una lettera di messa in mora della Repubblica Italiana, redatta con acume professionale dall’avvocata Elisabetta Vinattieri in nome e per conto di Vittorio Miri, reggente (quantomeno autoproclamato…) della Nuova Nazione Meridionale. Non commento oltre: cliccate sui link e leggete. Merita davvero.
Tiro le somme, Prifissù: io mi onoro di aver ricevuto l’aiuto di professionisti e specialisti, competenti negli argomenti di cui hanno trattato.

Quella di Alta Terra di Lavoro, invece, è, al più, una combriccola di goliardi della disinformazione. Divertente senz’altro, ma non proprio adeguata a un accademico cumu Vussuria, che dovrebbe fare del rigore la propria bandiera.
Quel che resta del neoborbonismo
Una riflessione sull’attività giornalistica di Vussia non posso risparmiarmela. Prendo atto che varie testate vi abbiano ospitato. Ma ciò non fa di Vussuria (e per Vs fortuna) un giornalista. Siete un pubblicista che alimenta con interventi continui il dibattito pubblico. Non è peggio o meglio dell’essere giornalista, ma semplicemente diverso.
Da vecchio redattore di lungo corso per varie testate, mi permetto di ricordare di aver impaginato parecchi interventi di accademici. Alcuni gradevoli, altri meno, altri, infine, al limite dell’intelligibilità. Perdonatemi: i Vs articoli su Alta Terra di Lavoro e il libro su Lombroso mi sembrano pesantucci (e sì che sono un lettore compulsivo e onnivoro). Evidentemente, siete stato più garbato verso i redattori di quelle testate che avevano il compito di impaginarvi di quanto vi dimostriate verso i lettori diretti del web…
Adesso, però, famo basta davvero, come si direbbe a Roma. famo bbasta perché, innanzitutto, questo dibattito è spento da un po’. Quelli più bravi si sono parzialmente defilati (è il caso di Gigi Di Fiore) oppure hanno modificato un po’ il tiro con grande intelligenza e onestà professionale, come Marco Esposito.

Aprile fa qualcosina mentre don Gennarino sembra quasi eclissato nel turbofolk.
Come ciliegina finale c’è la pace siglata circa un anno fa da Emanuele Filiberto di Savoia e don Carlo di Borbone, con tanto di messa a Monte Carlo.
È furnuta, insomma, ed è furnuta sula. Perché devo continuare io?
Quando c’era da dibattere non mi sono tirato indietro. Neanche di fronte alle minacce di querela, rivoltemi da Gennarino Settebellezze e da Pino Aprile. Neanche alle continue offese e alle shitstorm di cui io e altri amici siamo stati bersagliati da persone forse affette da disturbi cognitivi o, alla peggio, in perfetta malafede.
Il neoborbonismo, anche nella sua variante terronista, ha imperversato per dieci anni. E poi, come tutte le cose inconsistenti, si è spento da sé. Non devo ridargli fiato proprio io. Ricordo un pettegolezzo che mi giunse alla fine dello scorso decennio, quando ancora Pino Aprile vendeva: secondo alcuni avrei montato tutto quel battage per scrivere, magari col patrocinio di Alessandro Barbero, un fantomatico Antiterroni.

Non era vero, ovviamente. Però non è detto che non lo faccia. Comunque non lo farei perché voglio male ad Aprile, al Settebellezze e allegra compagnia.
Lo farò, se e quando lo reputerò opportuno, perché reputo la mia inchiesta un esempio di debunking onesto e professionale. E forse meritevole di un’elaborazione letteraria compiuta.
Ma per il momento, Prifissù, bbasta davero: me so’ scucciato assaje.
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