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War Machine: ritorna Impellitteri con virtuosa ferocia

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Undici brani duri e tirati nell’ultimo album del brillante chitarrista italo americano. Classe, tecnica e potenza a profusione in un classico del metal contemporaneo

Sessantaquattro anni compiuti lo scorso 25 settembre (e portati benissimo) e il dodicesimo album in studio. Le due cifre segnano altrettanti traguardi importantissimi per il superchitarrista Chris Impellitteri, che, a fine 2024, ha licenziato con l’italiana Frontiers Records l’ottimo War Machine.

Diciamolo subito: chi si aspetta rivoluzioni dallo shredder italo americano, resterà deluso. Chi, invece, conosce e apprezza da anni il virtuoso del Connecticut, avrà di che deliziarsi nelle undici tracce dell’album, che ripropongono i canoni dell’Impellitteri Style: riff durissimi, ritmiche serrate, suoni pesanti e aperture melodiche e, soprattutto (tanti) assoli supersonici e micidiali, in bilico tra citazioni neoclassiche e stilemi metal tradizionali.

L’attuale formazione degli Impellitteri

Formula vincente non si cambia. Ma è vincente anche la squadra, che, rispetto al precedente The Nature Of The Beast (Frontiers Records 2018) ha subito solo una sostituzione: il batterista Paul Bostaph ha rilevato le bacchette e lo sgabello dell’ottimo John Dette.

Segno che a Impellitteri i picchiatori piacciono assai. Infatti, i due batteristi hanno in comune, oltre allo stile durissimo, la militanza nei Testament e negli Slayer. Mica roba da mammolette.

Per il resto, continuano a dare ottima prova di sé il bassista James Pulli e il frontman Rob Rock, protagonista di una performance notevolissima, a cui i sessantasei anni suonati non sembrano pesare affatto.

Un esempio, il suo, più unico che raro di longevità non solo artistica, ma soprattutto tecnica. Cosa non scontatissima in un cantante, specie in un cantante metal.

A tutto ciò (e scusate se è poco) occorre aggiungere la produzione, potente e pulita, del validissimo Jacob Jansen.

Con questo popò di arsenale, Impellitteri poteva sbagliare?

La copertina di War Machine

War Machine: undici botte di virtuosismo e ferocia

Riff malmsteeniani nell’attacco e gran lavoro della sezione ritmica: sono gli ottimi biglietti da visita con cui War Machine, la title track, apre l’album. Anche il refrain fa la sua parte in maniera egregia, tra declamazioni aggressive e grandi aperture melodiche nei cori. Il tutto interpretato con la consueta efficacia da Rock, che in alcuni tratti sembra ricordare il Tony Martin vecchia maniera.

Da repertorio anche l’assolo, in cui Impellitteri sciorina un po’ tutte le sue abilità: frasi velocissime e pulite, passaggi sincopati e arpeggi a gogò. Cos’altro chiedere?

Si sposta su lidi più hard la seguente Out Of My Mind (Heavy Metal), una specie di inno da stadio dal tempo spedito e dal refrain melodico. Un dato curioso: molti recensori hanno creduto di scorgere qualche somiglianza tra il riff portante del brano e quello di Burn, il classicone dei Deep Purple. Solo un’impressione? Proprio no: il chitarrista ha confermato l’intento di rifarsi a Ritchie Blackmore in un’intervista.

A proposito di chitarra: superbo come sempre l’assolo che parte su un riff più cadenzato rispetto al resto del pezzo e poi evolve sul consueto arpeggio classicheggiante (altra citazione di Blackmore?).

Doppia cassa in gran spolvero e riff assassini nella serratissima Superkingdom, un pezzone dalle atmosfere cupe e dal tema distopico (il predominio dell’intelligenza artificiale con i relativi rischi di disumanizzazione). In evidenza anche il basso di Pulli, che marca con break efficacissimi i vari cambi di tempo del brano e si incastra come si deve con la solita, supersonica, performance di Impellitteri.

Rob Rock in azione dal vivo

Tempi più veloci e cori da urlare a squarciagola in Wratchild. Il riferimento agli Iron Maiden è del tutto casuale e limitato al titolo del pezzo, che invece si rifà a certo power speed teutonico anni ’80, per capirci a cavallo tra gli Accept e gli Helloween primissima maniera.

What Lies Beneath, invece, cita i Judas Priest più recenti. Ottima la vocalità di Rock, che si dimostra a suo agio anche nei falsetti halfordiani.  Ispirati anche il riffing e i soli di Impellitteri, che riesce a infilare qui e lì soluzioni melodiche efficacissime.

Speed power metal a profusione anche nella ferocissima Hell On Eart, che a tratti sconfina nel thrash ottantiano, grazie al contrasto tra il refrain melodico e il riffing serratissimo accompagnato dalla doppia cassa di uno scatenatissimo Bostaph, che sembra rinviare ai vecchi Anthrax.

La lezione dei Judas Priest (in particolare quelli di Painkiller) riemerge alla perfezione in Power Grab, in cui Rock cita Halford in maniera sfacciatissima.

Notevole anche il break contrappuntato dal basso, che lancia un assolo di chitarra a dir poco dirompente.

Si ritorna alle citazioni power con Beware The Hunter, che si regge (benissimo) sul contrasto tra riffing roccioso e refrain melodico. Più melodica del solito anche la performance solista di Impellitteri.

Più orientata al metal classico la spedita Light It Up che si segnala per i vocalizzi ispirati del frontman.

I Judas Priest rifanno capolino nella cadenzata Gone Insane, che sfocia in un bel coro ruffiano.

La tiratissima Just Another Day chiude l’album con un riffing schiacciasassi che non dà pieta all’ascoltatore. Un modo come un altro per ribadire che da Impellitteri ci si riposa solo con lo stereo spento.

Chris Impellitteri e la sua chitarra

War Machine: un altro goal per Impellitteri

Duro, coerente e ben concepito, War Machine conferma una volta di più il valore di Chris Impellitteri e sodali.

Scritto e inciso negli Usa, l’album del supervirtuoso trabocca invece (e alla grande) di quelle influenze europee, soprattutto britanniche e teutoniche, che restano il vero marchio di fabbrica di molto del metal amato dalle attuali generazioni di mezza età e che fa proseliti tra i giovanissimi.

In questo senso, la dodicesima fatica in studio del Nostro è un classico: cioè un disco fedele agli stilemi dell’heavy metal tradizionale, ammodernati quel che serve nel sound e negli arrangiamenti.

Su mr Ipellitteri c’è poco da aggiungere che non si sappia già: è un artista considerato da molti (e forse non del tutto a torto) derivativo. Infatti, ha esordito col suo progetto solista nella seconda metà degli anni ’80, quando il filone dei supervirtuosi, a partire da Malmsteen, era consolidato da un bel pezzo.

Inoltre, il virtuoso italo americano si è inserito nel settore senza mai innovarlo e con un’unica vera freccia al suo arco: il songwriting eccellente, che gli ha consentito di scrivere brani efficaci e godibili, molto di più che semplici pedane per le scorribande soliste, che pure sono sempre state abbondanti e notevoli.

C’è modo e modo, insomma, di essere virtuosi e Impellitteri ha scelto quello più musicale.

Originalità e sperimentazioni, cerchiamoli altrove: War Machine è un album valido e onesto che rinverdisce le sonorità che ci hanno fatto innamorare del genere più longevo nella storia del rock.

È un lavoro duro, che qualcuno deve pur fare. Ed è bene che lo faccia chi, come Chris Impellitteri & co., lo sa fare alla grande.

Per saperne di più:

Il sito web ufficiale degli Impellitteri

Da ascoltare (e da vedere):

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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