Dalle invasioni barbariche alle foibe, il lungo genocidio
Non si può ridurre la tragedia delle foibe a un capitolo cruento della lotta antifascista. In realtà, la persecuzione degli italiani fu un processo plurisecolare, iniziato con la fine dell’Impero Romano, di cui la politica titina fu solo l’esito estremo…
Le foibe e l’esodo, con lo sterminio di decine di migliaia di vittime e con la cacciata d’oltre 300 mila persone dalle loro terre avite, sono solo l’ultima fase d’un processo plurisecolare d’invasione ed occupazione di territori italiani durato oltre 2000 anni, mediante la cacciata o l’uccisione degli abitanti autoctoni.
Esso può essere immaginato come la lenta erosione d’una spiaggia sotto l’azione delle onde del mare, che crescono gradualmente. Ciò che è avvenuto può essere definito un lungo genocidio, che si è esteso progressivamente nell’arco dei secoli. All’alba del VII secolo d. C. Venezia Giulia e Dalmazia erano interamente latine. Nel 1948, tranne una piccola parte della prima regione, sono ormai quasi interamente slavizzate.
In termini di lunga durata si può scorgere distintamente la pressione esercitata dalla Deutschland e dalla Jugoslavia (Slavia meridionale) sull’Italia. L’Italia è, assieme alla Grecia, la più antica nazione d’Europa ed ha confini geografici e culturali precisi da oltre 2000 anni. Germani e slavi, giunti a sud del Danubio piuttosto tardi e privi per lungo periodo di una vera caratterizzazione etnica unitaria, hanno invaso terre di ben più antico popolamento latino ed italiano.
Ad esempio, in Alto Adige si possono distinguere almeno otto fasi diverse di germanizzazione: nel periodo delle invasioni barbariche, sotto ostrogoti e longobardi, sotto la dinastia degli Ottoni, nel secolo XIV, sotto Massimiliano d’Asburgo, nel secolo XVII, sotto Maria Teresa, sotto Francesco Giuseppe.
Lo stesso è accaduto, mutatis mutandis, in Venezia Giulia ed in Dalmazia: con il vero e proprio genocidio fisico avvenuto nel VII secolo d.C. al momento dell’invasione dei Balcani da parte delle tribù slave; con la scomparsa delle comunità latinofone ancora esistenti nel secolo XIV nell’alta e media valle dell’Isonzo; con la slavizzazione di parte dell’Istria nei secoli XVI-XVII in seguito al ripopolamento di alcuni comuni colpiti da epidemie con abitanti provenienti dall’entroterra balcanico; sotto Francesco Giuseppe, con le persecuzioni in Dalmazia fra le due guerre mondiali; poi naturalmente con le foibe e l’esodo.
Un genocidio su grande scala avvenne al momento dell’invasione degli slavi alla fine del VI secolo d.C e specialmente nella prima metà del VII, quando per la prima volta scesero a sud del Danubio spandendo ovunque massacri d’enormi proporzioni e costringendo i superstiti delle stirpi latine a rifugiarsi in Istria ed in Dalmazia.
Furono distrutte intere città, come Salona all’epoca principale centro urbano della Dalmazia, totalmente annientata. I superstiti fuggirono nelle isole, trasferendosi infine nella villa fondata dall’imperatore romano Diocleziano, Asphalatos, che divenne in nucleo della futura città di Spalato. Questo avvenne tra il 638 ed il 641. Lo stesso accadde con la fondazione di Ragusa e Traù, in origine isole costiere, oppure per Zara posta su di una penisola.
La chiesa metropolitana di Aquileia, grande centrale evangelizzatrice dell’Europa centrale, fu testimone impotente della progressiva distruzione di alcune delle sue più antiche diocesi suffraganee (Aguntum, Teurnia, Scarabantia, Emona, Celeia, Poetovio, Virunum). Anche dopo le immense devastazioni nella Pannonia romana (bizantina all’epoca) erano sopravvissute comunità di lingua romanza, rintracciabili ancora ai tempi di Carlo Magno sino quasi all’odierna Ungheria.
Rimasero però gruppi di italiani su tutto l’arco alpino orientale. Ancora il francese Auguste De Marmont, nel suo censimento napoleonico, rintracciò l’esistenza di una comunità italiana abbastanza numerosa nella zona di Tolmino-Idria, che invece risultava completamente scomparsa un secolo più tardi.
Un altro genocidio, questa volta culturale od etnocidio, avvenne nel 1866-1918 ad opera dell’impero asburgico e dei nazionalisti sloveni e croati suoi alleati, con la slavizzazione forzata, la cacciata, la progressiva privazione dei diritti come gruppo etnico degli italiani. Fu in questi anni che la Dalmazia, italiana e latina sin dai tempi della repubblica romana e da prima della nascita di Cristo, venne forzatamente slavizzata.
Con l’annientamento della italianità della Dalmazia si realizzava ciò che i patrioti italiani avevano predetto sin dal secolo XIX, quando già i nazionalisti croati perseguivano la cancellazione della millenaria presenza italiana ed avveniva una durissima persecuzione contro gli italiani per opera dell’autorità imperiale asburgica.
Il podestà di Spalato Antonio Baiamonti nel suo ultimo discorso davanti alla Dieta Dalmata nel 1887 dichiarò: «Gli italiani, anziché combattere le vostre aspirazioni, anziché calpestare i vostri diritti e schiacciare il vostro avvenire, si sono prestati, con interesse leale e vero, perché la lingua slava fosse introdotta nelle scuole e negli uffici».
Egli ricordava come gli slavi in Dalmazia fossero immigrati o discendenti di immigrati, in una regione latina ed italiana da 2000 anni e che i nazionalisti croati pretendevano come loro possesso esclusivo, progettando di buttare gli italiani in mare: «Noi fin dai primi tempi vi abbiamo accolto sui nostri lidi con affetto e sincerità e voi ce ne discacciate, con poco patriottismo e ci assegnate come unica dimora il mare: ‘u more’ – che è il vostro programma».
Baiamonti affermava profeticamente «Noi vi abbiamo dato istruzione e voi ci volete condannare all’ignoranza; noi non abbiamo mai pensato di sopprimere in voi il sentimento di nazionalità, né la lingua, ed alcuni di voi raccoglierebbero tutti noi in un cumulo per farci saltare in aria con un paio di chilogrammi di dinamite».
Anche dopo il primo conflitto mondiale proseguirono le violenze e le persecuzioni contro gli italiani, in Venezia Giulia con un’intensa attività terroristica appoggiata dal regime jugoslavo, in Dalmazia con una pulizia etnica orchestrata sempre dalla Jugoslavia che condusse alla fuga di almeno 20 mila italiani.
Da ultimo ebbe luogo il genocidio compiuto dal dittatore comunista Josip Broz, detto Tito, che condusse allo sterminio di massa di decine di migliaia di italiani, alla cacciata di altri 350 mila ed alla mutilazione dal territorio nazionale di due intere regioni, l’Istria e la Dalmazia.
Le foibe e l’esodo sono pertanto inspiegabili in termini di presunta ritorsione al “fascismo”, poiché si pongono in un rapporto di continuità con una lunghissima sequenza di genocidi, invasioni, persecuzioni che gli slavi attuarono contro gli italiani.
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Ottimo articolo come sempre, ma vorrei un’informazione: in base a quale fonte lei afferma che Auguste De Marmont, nel suo censimento napoleonico, rintracciò l’esistenza di una comunità italiana abbastanza numerosa nella zona di Tolmino-Idria?
Egregio Lorenzo,
grazie per l’attenzione, anche a nome di Marco Vigna, studioso scrupoloso di rara pignoleria e firma prestigiosa di cui si onora questa testata.
Giro a lui la domanda con la piena consapevolezza che le risponderà a breve con la consueta dovizia di particolari.
Cordiali Saluti,
Saverio Paletta
Attendo ancora risposta