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Mimmo Lucano

Mimmo Lucano, fine di un supereroe?

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Una condanna pesante ferma la corsa dell’ex sindaco di Riace. Ma può una sentenza di primo grado mettere in ombra i meriti umanitari di un amministratore finito dalle stelle alle stalle nel giro di pochi anni?

La condanna di Mimmo Lucano suscita riflessioni non leggere.

Le prime riflessioni – le più importanti, visto che c’è una sentenza- sono giuridiche. L’ex sindaco di Riace si è beccato in primo grado tredici anni (quasi il doppio rispetto alle non leggerissime richieste dell’accusa) in seguito a imputazioni pesantissime, in grado di disintegrare la fedina penale di amministratori più esperti di lui: peculato, abuso d’ufficio, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e truffa.

Luigi de Magistris e Mimmo Lucano

Al riguardo, occorre ricordare che questa condanna molto dura è arrivata alla fine di oltre tre anni di dibattimento, nel corso del quale la difesa di Lucano è stata sostenuta da un big del Foro come Giuliano Pisapia, che si è battuto come un leone fino all’ultimo minuto e non ha lesinato mezzi per tutelare il suo assistito, di cui lui per primo ha ribadito la povertà.

Il fatto che la condanna sia dovuta a più capi d’imputazione, tutti o quasi contro la pubblica amministrazione, potrebbe lasciare pochi spiragli per l’appello: non sarà difficile, forse, abbassare gli anni, magari fino a rendere la pena quasi “indultabile”. Sarà quasi impossibile, invece, azzerare tutte le accuse. Anche per un maestro del diritto come Pisapia. E ogni condanna che resterà in piedi sarà un motivo contro il “modello Riace”, celebrato a lungo con troppa acriticità.

Quel che barcolla, in questa vicenda, è la legalità, che “Mimmo ’u Curdu” sembra aver trattato come un optional, sebbene sulla base di intenzioni e motivazioni che definire nobili è poco.

Ciò stimola le riflessioni politiche. I critici di questa sentenza (a prescindere che siano o meno ultrà dell’ex sindaco) si appunteranno senz’altro sulla tempistica con cui il collegio presieduto da Fulvio Accursio, ha emesso le condanne.

Tuttavia, è il minore dei problemi: i calendari giudiziari sono “programmati” e quindi risultano “insensibili” alle scadenze elettorali. In questo caso, le Amministrative regionali della Calabria, in cui Lucano è candidato capolista in tutte e tre le circoscrizioni calabresi nella coalizione che fa capo a Luigi de Magistris.

Il guaio non sarebbe neppure enorme per una squadra politica che si colloca a sinistra, nella quale si sono messi alla prova molti esponenti, fuoricorso e non, della sinistra radicale. Per molti, Lucano non è un “compagno che sbaglia”, ma uno che avrebbe sbagliato per essere un “compagno” all’altezza.

Ma la condanna pesa oggettivamente come un macigno e rischia di inceppare la propaganda di una coalizione che è scesa in campo anche in nome della legalità e della giustizia. Né poteva essere altrimenti, visto che per i calabresi de Magistris non è tanto il sindaco di Napoli quanto, soprattutto, il pm di “Poseidone” e “Why Not”, le inchieste che tredici anni fa gambizzarono comunque la classe dirigente del lembo più disgraziato del Mezzogiorno.

Lucano assieme ai “suoi” migranti

Ora urlare contro la massomafia potrebbe essere inutile: i giustizialisti, come la moglie di Cesare, devono essere sempre al di sopra di ogni sospetto. E chi si veste di bianco deve temere le più piccole macchioline rispetto a chi non si preoccupa di andare in giro imbrattato del peggiore catrame.

È inevitabile, allora, un’ulteriore riflessione sull’unico aspetto di questa brutta faccenda scivolato in secondo piano nelle cronache: quello umanitario.

Se Lucano dovesse essere condannato in via definitiva, la stessa cosa dovrebbe valere, con molto più rigore e velocità, per la stragrande maggioranza degli indagati e imputati di reati legati all’amministrazione.

Le cronache, calabresi e meridionali soprattutto, rigurgitano di storiacce di migranti sfruttati fino alla riduzione in schiavitù nei campi e nei cantieri. Abbondano di storiacce di prostituzione, spaccio e altre porcherie, in cui gli ultimi hanno agito il più delle volte su “mandato” (e sotto ricatto) dei penultimi.

Tutto questo a tacere delle schifezze rilevate a più riprese dagli inquirenti nello stesso sistema di accoglienza, inefficiente e insufficiente (quindi inumano) più per le presunte truffe di chi lo gestiva che per l’asserita mancanza di fondi.

«I migranti rendono più della droga», diceva Massimo Carminati “er Cecato”, in una famosa intercettazione che contribuì a dare il via a Mafia Capitale.

Lucano ha fatto tutto il contrario: ha ridotto le sue poche sostanze e distrutto (secondo gli accusatori) le casse del Comune di Riace per dare un’accoglienza in ogni caso più dignitosa e vera di quella praticata in tanti centri formalmente “a norma di legge”.

Da qui a farne un santino politico, come pure si è tentato con una candidatura sproporzionata allo spessore, ne corre.

Ma sarebbe più grave trasformare l’ex “uomo dell’anno”, a suo tempo esaltato dalla stampa internazionale, in una specie di Belzebù o di truffatorello di provincia.

Lucano non era Superman prima, non è Gargamella adesso. Affermare o pensare il contrario significherebbe solo fare sciacallaggio a fini elettoralistici.

Più semplicemente, “Mimmo ’u Curdu” è un uomo che ha pagato cara la sua umanità in una terra in cui essere umani può diventare una debolezza.

E questo, in una regione disperata piena di disperati, può essere un merito.

Saverio Paletta

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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