Troppe chiacchiere sulla bella Spigolatrice
La statua di Stifano è finita nel mirino dei critici radical-snob e delle neofemministe 4.0. Una risposta doverosa a chi invoca la distruzione di questa bella opera
Emanuele Stifano ha avuto un grosso merito: ha ricordato che i miti si sublimano nella bellezza.
Già, la “Spigolatrice di Sapri”, testimone improbabile e appassionata di una missione militare più suicida che rivoluzionaria, è un mito contemporaneo.
Uno dei tanti miti coltivati dall’“ala dura” di quel Risorgimento che voleva unire il Paese in nome di un popolo, soprattutto quello meridionale, che non sapeva neppure cosa fosse l’Italia.
La giovane contadina della celebre poesia di Luigi Mercantini rappresenta la bellezza che ingentilisce la violenza dei gesti eroici. Fa parte di un’iconografia poetica particolare, nata nel mondo greco-romano (che non si faceva problemi di “sessualizzazione” del corpo femminile), ripresa dal Rinascimento e rilanciata dalle culture rivoluzionarie, a partire da quella francese.
Da Omero in avanti, è tutto un tripudio di sensualità femminile, che prende le vesti di dee, principesse ed eroine, sacre e profane.
La statua di Stifano rientra nel canone di questa iconografia della memoria pubblica, che unisce tragedia e bellezza nel nome dell’ideale.
«Più velina che contadina», l’ha definita invece la critica d’arte Helga Marsala su Artribune (leggi qui). E ha rincarato la dose: «Questo rigido, accademico e ordinario esercizio di anatomia ricorda piuttosto una ragazza d’oggi, fasciata da un longodress trasparente incollato alle natiche, le spalle nude, una mano a reggere con mollezza il corpetto che scivola e lo sguardo ammiccante, laterale, manco fosse un’influencer sulla copertina di “Chi” o una starlette sul red carpet in Laguna».
Insomma, la colpa di Stifano è di non aver scolpito una contadina dell’Ottocento (cosa che tra l’altro l’artista non voleva fare) e di aver inserito un cliché estetico contemporaneo nella narrazione di una vicenda di centosessantaquattro anni fa.
Vale la pena di ricordare alla Marsala che il giovane scultore cilentano non ha fatto nulla di nuovo e che, anzi, potrebbe esserci di peggio: ad esempio, le prostitute che hanno prestato le proprie fattezze a sante e madonne, posando come modelle per i maestri rinascimentali.
Nel calor bianco delle polemiche è sfuggito, inoltre, un dettaglio: quasi nessun artista o poeta è perfettamente contemporaneo ai fatti che immortala. Non lo era Omero, che cantò la guerra di Troia almeno un secolo dopo che la città di Priamo fu distrutta.
Non lo erano gli artisti grecoromani, che immortalarono i loro miti a cinque-seicento anni di distanza dalla loro creazione.
Non lo erano i nostri grandi artisti, che trasformarono l’arte sacra, sacralizzando la bellezza profana.
Tutti gli artisti e i poeti hanno sempre applicato i criteri e i canoni estetici della loro contemporaneità alle vicende del passato che finivano sotto i loro pennelli e scalpelli e nel loro canto. E allora: se una cortigiana del Cinquecento poteva prestare le proprie fattezze a una santa, che male c’è se una «ragazza di oggi» (che magari va solo in palestra e prova a fare l’influencer) ispira l’immagine mitica di una contadina del XIX secolo?
Certo, dal cliché al kitch il passo potrebbe essere brevissimo. E in fondo tutte le iconografie pubbliche (dalle statue equestri alle tante raffigurazioni di militi ignoti che riempiono le nostre piazze) hanno degli elementi di kitch, dovuti alla ripetizione rigida di un cliché.
Sia chiara una cosa: qui non si parla solo di estetica, ma soprattutto di poetica.
Magari lo sguardo acuminato del critico può rivelare il kitch di questa “Spigolatrice” bronzea, tuttavia dal punto di vista poetico non c’è nulla da rimproverare a Stifano.
Sono belli, muscolosi e scultorei i fanti contadini caduti nelle guerre mondiali, allo stesso modo è bella questa spigolatrice.
Chi sostiene il contrario, lo fa perché è vittima (quando è in buona fede) di un altro canone: quello realista, non meno rigido e ideologizzato di quello “neoclassico”.
Il realismo nasce come critica alla visione allegorica della realtà: ci ricorda, ad esempio, che i contadini erano poveri e malnutriti e che, difficilmente, potevano essere belli.
Non a caso, questo realismo divenne l’arma propagandistica dei movimenti socialisti, all’epoca tutti rigorosamente all’opposizione. Fu spesso una contropropaganda polemica contro l’estetica “borghese”, non a torto considerata “finta”.
Ma questo controcanone non può diventare “il” canone. Non sempre e comunque, perché si incapperebbe nel guasto opposto: l’estetica del brutto spacciata per estetica tout court.
Occorrerebbe ricordarlo alle neomoraliste in cerca d’autore e alle fuoricorso della politica come Manuela Repetti e l’onnipresente Laura Boldrini che hanno lanciato strali degni di Savonarola: questa statua non offende nessuno. Non le donne, di cui sublima la bellezza, né la storia, di cui esalta il pathos poetico. Né la morale.
Anzi, quando si parla d’arte, andiamoci piano col moralismo: si inizia col criticare le opere usando criteri non estetici e si finisce col distruggerle, come hanno fatto i regimi totalitari prima e quelli integralisti poi.
Anche in questo caso, purtroppo, qualcuno si è portato avanti, invocando la rimozione o peggio, la distruzione della Spigolatrice di Stifano.
A tutte costoro si può rispondere in un modo solo: la pretesa di distruggere un’opera è altrettanto odiosa di quella di chi invoca censure contro certe sciocchezze.
Non è il caso di dare lezioni di estetica a chi è spesso in malafede e più spesso mal attrezzato.
Ci limitiamo a un concetto banale: tutte le tragedie (e l’avventura folle e grandiosa di Carlo Pisacane lo fu) si sublimano nel mito e tutti i miti si rappresentano con i simboli. E i simboli si trasmettono attraverso la bellezza.
Stifano, con la sua poetica forte della nudità, ha raccontato un mito civile di ieri con gli occhi di oggi per lasciare un messaggio alle generazioni di domani.
Scusate, ma che male c’è a ricordare che i miti e la bellezza hanno ancora i loro diritti?
Saverio Paletta
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Oltre che caso di sessismo, questa statua rappresenta un’ennesimo ridicolo e insensato esempio della cultura risorgimentale filo-nordica che elogia fatti intenti a incidere alla pura realtà. Si vede che quel Mercantini aveva voglia di scrivere quella poesia, però a caso, e non tutti sanno che quella donna si chiamava Rosa Ferretti, una semplice contadina duosiciliana uccisa per pazzia dei detenuti criminali liberati dai provocatori anti-popolari di Pisacane e sarà la loro seconda vittima, dopo Cesare Balsamo ucciso a Ponza. Invece di preoccuparvi su utilizzare mezzi e valori necessari per la realizzazione di una statua o di un monumento, cercate di avere una visione sui fatti dell’anarchia risorgimentale.
Egregio Russo,
Questa, spero, è l’ultima trollata a cui rispondo.
La Spigolatrice è solo una bella statua, con cui il Comune di Sapri ha voluto ricordare un avvenimento tragico, la spedizione di Pisacane, da cui non si è sentito affatto violentato.
Il resto sono chiacchiere.
Un cordiale saluto,
Saverio Paletta
La nuova statua della “Spigolatrice di Sapri” scatena aspre polemiche
Scritto da Francesco Gagliardi Lunedì, 11 Ottobre 2021 14:09 dimensione font riduci dimensione font aumenta la dimensione del font Stampa Email Commenta per primo!
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Spigolatrice-1200-690x362Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti. Chi non ricorda questo ritornello che, forse senza voler esagerare, è il più conosciuto dagli studenti delle scuole superiori italiane. E’ il ritornello di una delle poesie più belle del nostro Risorgimento “La Spigolatrice di Sapri”, ispirata alla fallita spedizione a Sapri di Carlo Pisacane del 1857 che con trecento rivoluzionari (avanzi di galera) voleva scacciare i Borboni dal Regno delle due Sicilie. Una fanciulla si trova per caso ad assistere allo sbarco di questi trecento giovani e forti mentre era addetta a raccogliere le spighe di grano rimaste nei campi dopo la mietitura. Ma finisce per assistere alla loro sconfitta, al massacro dei trecento valorosi da parte delle truppe borboniche meglio equipaggiate e più numerose. Quanti anni sono passati? Tantissimi. Sono 164 anni. E dopo tanti anni scoppia una aspra polemica innescata dal politicamente corretto e da alcune donne politiche italiane che vedono dappertutto sessismo e razzismo.
Il 25 settembre u.s., alla presenza delle autorità cittadine e del leader del Movimento 5 Stelle Prof. Conte, è stata svelata a Sapri una statua raffigurante la famosa spigolatrice. Apriti cielo!.E’ sessista. E’ imbarazzante! E’ troppo provocante! Si vede tutto! Abbattetela! Colui che guarda la statua non pensa alla fanciulla che affascinata dalla bellezza del Capo dei rivoltosi dai suoi belli occhi azzurri lo segue e assiste alla sua sconfitta, ma pensa al suo bel sedere e alle sue forme provocanti. La fanciulla, effettivamente, si mostra con abito succinto, trasparente e con un atteggiamento provocante. Ma io non vedo nulla di scandaloso. Nelle nostre vie e nelle nostre città si vedono fanciulle con abiti ancora più succinti e nessuno si scandalizza. In effetti la Statua è molto bella, realizzata con maestria da un artista cilentano e quando è stato presentato il progetto nessuno si è scandalizzato o ha protestato. Ma di queste cose banali si dovrebbero interessare le nostre donne che siedono in Parlamento? On. Boldrini, On. Cirinnà,possibile che non ci siano cose più interessanti e importanti? La Statua mette in bella evidenza le forme? Certo. Raffigura una bella fanciulla contadina meridionale. E allora.
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