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Cancel culture, ce ne freghiamo dei Nuovi Inquisitori

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Per fortuna non hanno il livello di Roberto Bellarmino (e noi non siamo Galileo o Giordano Bruno). Non difendono chiese, ma le lobby del politically correct. E lo fanno per potere, business e logiche editoriali. Il nostro manuale di sopravvivenza…

Riaprire vecchie ferite e gettarvi sopra il sale. Forse è solo un esperimento sociale, particolare e a basso costo, di quelli che nel web si fanno con particolare facilità.

E allora bisogna stare attenti a non cascarci.

O forse no e c’è davvero chi pensa che si possono riportare indietro di un secolo e più le pagine del calendario per additare al pubblico ludibrio non solo gli avversari ma anche chi, più semplicemente, non si allinea.

Ancora: a riprova che la storia si ripete in farsa, sono riemerse alcune forme di protesta che sembrano la caricatura di vecchie mobilitazioni. Oppure si sono affacciate rivendicazioni rancorose spacciate per difesa dei diritti e lotta alle discriminazioni.

Una manifestazione di Black Lives Matter

Riavvolgiamo il nastro, fermiamone alcuni fotogrammi e mettiamoci qualche didascalia per spiegarci meglio.

Pensiamo, ad esempio, alla furia iconoclasta del movimento Black Lives Matter, riproposta nella caricatura dei calciatori in ginocchio (o “costretti” a inginocchiarsi) durante l’ultimo campionato europeo. Non ricordano, certe espressioni e certi gesti, le forme più pittoresche della propaganda anticoloniale del secondo dopoguerra e le esplosioni di rabbia dell’ala dura dei movimenti di emancipazione dei neri d’America?

Il secondo esempio proviene da alcune scelte editoriali importanti e da alcuni avvenimenti recenti.

Le prime le ha fatte un editore importante e prestigioso come Laterza, che quest’anno ha pubblicato due pamphlet a dir poco discutibili nella sua collana divulgativa Fact Checking: “E allora le foibe?” di Eric Gobetti e “Anche i partigiani però”, di Chiara Colombini, due autori per cui il tempo non sembra essere mai passato e il dibattito storiografico mai avvenuto.

Per chiarire il resto, basta una foto delle ultime celebrazioni a Genova dell’anniversario del G8: ritrae dei manifestanti col classico striscione inneggiante alle foibe, che abbiamo visto in più manifestazioni di certa sinistra.

Il terzo esempio è relativo alle polemiche che hanno accompagnato il dibattito sul ddl Zan.

Non è il caso di andare oltre, ma di formulare una domanda e alcune osservazioni.

La prima: si può essere contro le prepotenze e le discriminazioni senza per questo legittimare altre prepotenze e altre discriminazioni, stavolta alla rovescia?

Un momento di un gay pride

Per certi signori no.

Non si può criticare il ddl Zan (attenzione: criticare e non “contestare”) senza finire sulla graticola dell’omofobia, della “fascisteria” o di un preteso cattolicesimo più o meno reazionario.

Non si possono criticare gli eccessi, anche ridicoli, di certe proteste finite in farse discutibili come l’attacco alle statue e ai simboli della cultura occidentale e le “inginocchiate” degli atleti, che sanno tanto di pancia piena e cattiva coscienza.

Non si possono criticare certe pubblicazioni, perché si finisce automaticamente schierati dalla parte opposta e, spesso, nell’errore opposto.

Anche questo giornale ha subito polemiche, pure recentissime, per la sua attitudine critica, alla quale, tra l’altro, non intendiamo affatto rinunciare.

Nel nostro piccolo abbiamo alcune consapevolezze: si può essere contro le discriminazioni razziali (lo abbiamo dimostrato più volte) senza per questo minimizzare i problemi dell’integrazione o, peggio, sposare certe tesi deliranti. E, a proposito di razzismo: dove sono gli “odiatori” delle statue, quando c’è da combattere la discriminazione peggiore, cioè quella che subiscono nei cantieri e nei campi migliaia di lavoratori, neri e in nero?

Stesso discorso per il mondo lgbt: riprovare violenze, insulti e discriminazioni non vuol dire accettare in blocco i diktat di alcune lobby che pretendono di parlare per tutti i gay.

Eppure sta prendendo piede una nuova Inquisizione del Politicamente Corretto, pronta a risvegliare tutti i fantasmi, soprattutto i peggiori, e a lanciare fatawi che neppure in Sudan o in Yemen.

Già: è peccato mortale ricordare alla sinistra che fare la sinistra oggi significa battersi per il welfare e le tutele dei lavoratori e non continuare improbabili cacce al fascista? È grave violazione dei diritti umani ricordare che la sessualità è un fatto privato e non un programma politico?

Eric Gobetti, lo storico neotitino

È manifestazione di insensibilità culturale affermare che la storia coi suoi drammi è una disciplina per studiosi e non uno slogan per striscioni?

Questa attitudine non è segno di mediocrità piccoloborghese, ma di buonsenso, che sembra essersi volatilizzato dal dibattito pubblico.

Già, ma quando le intossicazioni dell’opinione pubblica col relativo corredo di fake (che non sono solo appannaggio dei populisti) continuano imperterrite, si affaccia un altro dubbio inquietante: a chi giova tutto questo? Non ci sono teorie del complotto da evocare e applicare, niente paura. Semmai viene il sospetto che la realtà sia più prosaica e meschina.

Tutto questo giova a certi circuiti mediatici ed editoriali sfiancati dalla crisi e costretti a imitare i peggiori meccanismi del web. Ed ecco che per vendere libri ci si affida alle dinamiche di Facebook o, peggio, di Twitter con le loro distorsioni: le “echo chambers” e la polarizzazione tra “haters” e “followers”.

Già, non si pubblicizza più un libro sulla resistenza (vale lo stesso, d’altra parte, per un libro revisionista) per il suo contenuto, ma facendo leva sulla tifoseria politica di chi è pronto a identificarsi nelle sue tesi, che più sono radicali e meglio è.

Non si cerca di combattere il razzismo sulla base dei principi della vita civile e dell’umanitarismo, ma lo si rovescia: non si spiega allo xenofobo che l’“altro” deve essere conosciuto più che temuto, se ne fa oggetto d’odio col bollino di razzista. Ecc.

Alessandro Zan

E in tutto questo si assiste a una bizzarra trasformazione, per la quale il dibattito culturale rischia di diventare un duello perenne tra skinhead e punkabbestia, mentre la vita politica reale implode verso quel blob informe che è diventato il nuovo centrismo italiano.

Permettete che da questo ci chiamiamo fuori? Non abbiamo fatto nulla di male per meritare la destra rozza e incolta che ci ritroviamo. Ma non abbiamo fatto nulla di peggio per avere una sinistra così cretina.

E soprattutto, risponderemo botta su botta a tutti i novelli Savonarola che si azzardino a fiatarci contro. L’IndYgesto non è di destra né di sinistra. È solo un giornale che fa il giornale: dà notizie quando ne trova e valuta i fatti e le idee, a prescindere dai propri colori politici.

Non vogliamo metterci camicie rosse o nere, ma semplicemente raccontare le cose per come le vediamo e senza filtri, a partire da quelli delle ideologie vecchie (che lasciamo agli storici) e nuove (che, data l’inconsistenza, non prendiamo sul serio).

Cerchiamo di stare dalla parte del lettore, quando legge per davvero (e in questo caso lo temiamo) e dell’intelligenza critica, nei limiti nostri e con la speranza che nell’attuale caos qualcuno la coltivi ancora.

E i Savonarola 4.0? I fiorentini si ribellarono quando non ne poterono più. Noi, che non possiamo permetterci di arrivare al punto limite, proviamo a prevenirli.

Saverio Paletta

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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