Cara Boldrini, la libertà di stampa non è pensiero unico
La deputata del Pd striglia Mattia Feltri: mi hai censurato. Ma siamo sicuri che Feltri figlio, al di là del palese familismo, abbia avuto tutti i torti?
L’ultima, infelice sortita di Laura Boldrini fa venire un dubbio legittimo: non è che la recente giornata mondiale contro la violenza sulle donne è diventata l’ennesima occasione per polemiche giornalistiche “rituali”, simili a quelle (neo-antifascisti vs neo-neonostalgici) a cui assistiamo in occasione della Giornata della memoria, del Giorno del ricordo, del 25 aprile ecc.?
La coincidenza della celebrazione neofemminista dell’Onu con il risveglio mediatico improvviso dello stupro Genovese – avvenuto il 10 ottobre, un mese e mezzo prima – e con il richiamo alla vicenda, a nostro giudizio più tragica, della maestra di Torino vittima di revenge porn, fa pensare che sia proprio così.
Il tritacarne di certa informazione, famelico di share, clic e like (ma anche di unlike), macina tutto con la stessa imparziale mancanza di riguardo e di rispetto: le grandi tragedie della storia e i drammi privati.
Siamo in malafede se pensiamo che l’intervento della Boldrini (con annessa denuncia di censura a carico di HuffPost) sia ispirato dalla stessa dinamica che ha mosso Vittorio Feltri?
È opportuno chiarire: Vittorio Feltri è intervenuto sull’affaire Genovese con perfetto tempismo e con la solita scorrettezza politica, per capitalizzare il più possibile lettori. Secondo voi, la Boldrini non ha fatto la stessa cosa, seppure da un punto di vista opposto?
Basta leggere l’intervento della deputata del Pd, pubblicato sulla propria pagina Facebook (leggi qui) dopo che l’HuffPost l’aveva rifiutato, per capire che è così.
La Boldrini ha citato l’affaire Genovese e la vicenda della Maestra come esempi delle violenze sulle donne. Poi, con una furbizia più politica che giornalistica, ha puntato l’indice su Vittorio Feltri. Infine, quando Mattia Feltri – figlio di Vittorio e direttore di HuffPost – ha fermato l’articolo, ha urlato alla censura e ha sollevato il caso davanti all’Ordine dei giornalisti (leggi qui).
Non è il caso di difendere a spada tratta Mattia Feltri, perché nel suo rifiuto pesa comunque una componente familistica. Tuttavia, Feltri figlio ha ragione da vendere su un punto: il direttore responsabile di un giornale si assume la responsabilità di quel che viene pubblicato e perciò può decidere in piena autonomia cosa pubblicare o meno.
Non ha, invece, ragione la Boldrini. Innanzitutto, per il suo ragionamento, che è a dir poco scorretto: nell’articolo in questione ha preso due casi limite (lo stupro della “Terrazza Paradiso” e la vicenda della maestra), che daranno non pochi grattacapi ai magistrati che dovranno applicare la legge e ai giuristi che ne commenteranno le decisioni, e li ha usati come esempi delle violenze diffuse a danno delle donne.
In seconda battuta, è altrettanto scorretto il j’accuse lanciato al direttore editoriale di Libero: «Mi riferisco polemicamente a quei giornali che fanno di misoginia e sessismo la propria cifra. Cosa dire del resto dell’intervento di ieri di Feltri su Libero, in cui si attribuiva la responsabilità dello stupro non all’imprenditore Genovese ma alla ragazza diciottenne vittima?».
Magari avremo letto male, ma non ci sembra affatto che l’editoriale di Feltri somigli a una pagina di de Sade o di la Bretonne. Semmai, Feltri ha espresso, senz’altro in maniera becera, un punto di vista conservatore (leggi qui la nostra riflessione) e a modo suo bacchettone.
Tutto qui il problema?
Al riguardo, occorrerebbe ricordare a Laura Boldrini alcune cose.
Partiamo dalla censura. Che ne sa lei delle censure vere, a volte pesantissime, a cui i giornalisti che vivono di giornalismo sono sottoposti o si sottopongono? Avete mai letto una firma della vecchia Repubblica tirare in testa a De Benedetti (o, di converso, una del giornale fare altrettanto con Berlusconi) per le loro politiche imprenditoriali? Pare proprio di no.
La Boldrini il giornalismo l’ha praticato poco e in maniera e ambienti confortevoli. Non sa, a differenza di Feltri padre e figlio, cosa significhi far notte in redazione a caccia di notizie o titoli, far la fila davanti alla porta di un magistrato o di un poliziotto per avere quel dettaglio su cui imbastire un’inchiesta. Non sa cosa significhi guadagnarsi il pane mediando tra le esigenze della proprietà e quelle del pubblico, generalista e specializzato.
Perciò non capisce che è facoltà di un direttore di una testata privata decidere anche di non pubblicare l’intervento di un esponente politico.
Ed è il caso, anche qui, di sottolineare un passaggio: la Boldrini non ha esternato a titolo professionale o intellettual-culturale. Lo ha fatto in qualità di rappresentante di partito.
Siamo davvero sicuri che lei, l’onorevole, si possa ritenere censurata e che l’omessa pubblicazione del suo articolo concretizzi la lesione della libertà di stampa? Quanti politici, che non vengono pubblicati, potrebbero lamentare altrettanto tutti i giorni? Ma siamo seri.
La libertà di stampa non coincide col diritto di veder pubblicata ogni propria esternazione, opportunità comunque assicurata dai social media alla Boldrini. È un equilibrio di opinioni, in cui trovano posto le tirate rozze di Feltri e di chi la pensa (e la scrive e dice) come lui e le critiche legittime di chi, legittimamente, non approva.
Altrimenti diventa pensiero unico. Quello in cui sguazza alla grande certa intellighenzia di sinistra, che non si accorge di perdere il contatto col Paese reale e si meraviglia ogni volta di essere scavalcata a sinistra dai populisti, che soffrono semmai del problema opposto.
Una noticina per concludere: siamo sicuri che faccia tanto bene alle due vittime (la maestra del revenge porn e la ragazzina della “Terrazza”) tanta attenzione mediatica?
Non sarebbe, piuttosto, il caso di lasciar liberi gli inquirenti e i giudici di fare il loro lavoro con la serenità richiesta dalla delicatezza di questi casi?
Non sarebbe, infine, il caso di dare un alt a tutta questa caccia di clic sulle tragedie altrui? Di cessare le chiacchiere e dare la parola all’unica voce davvero competente, quella del diritto?
Saverio Paletta
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