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La Calabria secondo l’Eurispes: riforme urgenti subito, altrimenti affondiamo

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Ci scrive Roberto Bevacqua, il direttore calabrese dell’importante agenzia di sondaggi: qualcosa si muove anche da noi, ma non basta. Serve un forte intervento statale per metterci in grado di competere alla pari col resto del Paese…

Il rapporto tra istituzioni, legalità e sviluppo impone un’analisi articolata ma necessaria, poiché è un tema quanto mai complesso, specie in un’area del Paese piena di vincoli e criticità, ma ricca di potenzialità spesso inespresse. 

Le istituzioni europee, che hanno accompagnato l’idea di un Europa unita, si sono scoperte incapaci di realizzare fino in fondo l’integrazione. L’unione monetaria senza unione politica ha determinato un processo di unificazione monco, generando, di fatto, squilibri territoriali sotto un dirigismo di ispirazione finanziaria.  A causa della rigidità delle norme e dei vincoli di bilancio si sono ingessate le economie più deboli o quelle più esposte alla globalizzazione e alle crisi ripetute degli anni passati, e che ancora si trascinano tra recessioni, stagnazioni economiche e attacchi speculativi di una finanza deregolata ed emotiva.

Le istituzioni nazionali, dall’altra parte, continuano a scontare l’atavica incapacità ad affrontare i bisogni reali del Paese attraverso le grandi riforme: il fisco, la scuola, la giustizia, una politica economica di medio e lungo periodo, azioni strategiche sul sistema logistico intermodale del Paese, una seria pianificazione industriale.

I vincoli finanziari dell’austerità, la speculazione finanziaria legata ai tassi di interesse sul debito, l’alto debito pubblico che continua a crescere come variabile indipendente rispetto ai governi che si succedono, sempre legati al calcolo politico-elettoralistico, impediscono una seria riflessione sulle azioni da intraprendere con responsabilità che, per le grandi riforme, presuppone anche una certa unità nazionale che guardi all’interesse generale del Paese.

Le istituzioni regionali appaiono ancor più disarticolate da un disegno strategico nazionale poco chiaro: mentre le Regioni settentrionali mirano a una propria autonomia che spazi sulla scuola, le finanze, i servizi e la gestione allargata delle competenze generali, il Sud, alle prese con risorse e perenni difficoltà amministrative limitate, rivendica diritti di spesa proporzionali, nella cornice di livelli minimi dei servizi garantiti.

In questa criticità si continua a sentire l’esigenza di rendere più snella ed efficiente la pubblica amministrazione che appare in ritardo, rispetto alle necessità del tessuto imprenditoriale, dei bisogni dei cittadini e della velocità di risposta richiesta dal monto attuale.

Il ritardo nell’efficientizzazione, nella digitalizzazione e nella produttività della macchina burocratica assume lentezze scoraggianti per i detentori di capitali stranieri, spaventati a investire nel Belpaese e nel Mezzogiorno in particolare.

La politica dovrebbe fare delle scelte coraggiose nell’interesse dei cittadini, ma il più delle volte si divide, arretra, evita di assumere responsabilità e non coglie le sfide della programmazione nel medio e lungo periodo.

Vi è poi un terzo fattore di blocco dello sviluppo di intere porzioni del territorio meridionale (e oggi possiamo dire non solo meridionali): le holding criminali e in special modo ’ndrangheta.

Questo grave problema, sottostimato per decenni, è stato affrontato con colpevole ritardo. Ed ecco che le ’ndrine hanno avuto una crescita esponenziale, passando da mafia tribale ad holding ramificatissime con capacità di movimentazione finanziaria impressionante.

Questi i termini di uno sviluppo mancato e frenato del Mezzogiorno. Frustrato da decenni di mancate decisioni sulla sua infrastrutturazione, di una trascurata crescita dei fenomeni mafiosi, di sistemi politici regionali preoccupati a garantirsi posizioni di rendita, con sistemi clientelari, forti di liste bloccate e consensi emotivi.

I gruppi di potere locali per anni hanno sperperato risorse e non hanno utilizzato a dovere i fondi comunitari, contribuendo così alla marginalità di un Sud ricco di prospettive e di sogni spesso disattesi da una classe dirigente locale preoccupata solo alle proprie rendite di posizione.

Le tinte fosche in Calabria diventano addirittura tenebrose a causa di un sistema scolastico che ci consegna ritardi formativi degli alunni calabresi rispetto al resto della nazione. I dati Invalsi ribadiscono le criticità, denunciando insufficienze pari e oltre il 40%.

Le ombre sono pesanti in tutto il Paese, dove circa il 27% dei cittadini risulta in condizioni di analfabetismo funzionale. Questo dato diventa ancor più allarmante se si pensa all’attuale disinformazione costante, attuata grazie al controllo circolare dei detentori di dati: spesso non c’è più informazione ma solo comunicazione, quasi sempre distorta e che pone problemi di sicurezza nazionale e un forte disagio digitale, separando la popolazione tra fruitori e analfabeti digitali, governati entrambi da algoritmi che gestiscono la spesa e indirizzano sempre più le decisioni di consumo.

A fronte di tali problematiche continua a mancare, anzi ad acuirsi, l’assenza diuna vera e propria politica di riequilibrio territoriale da parte dello Stato, anche nella sperequazione di risorse impiegate in questi ultimi decenni a livelli di infrastrutture. Basti pensare agli accordi commerciali sulla Via della setae alle ripercussioni positive sui porti del nord e ai risultati marginali per quelli del sud, a iniziare da quello di Gioia Tauro, ancora caratterizzato dalla mancanza di un retro porto, dall’assenza di collegamenti intermodali, con una rete stradale arretrata e disallineata che fa lievitare i costi, stante anche la mancanza di attraversamento stabile con la Sicilia. Il risultato è la forte concorrenzialità del porto di Tangeri e una scarsa visione strategica del paese sugli asset logistici meridionali.

 La spesa dello Stato per popolazione e per territoriopenalizza il Sud che ha il 40% del territorio, il 34% di popolazione e riceve solo il 28% di spesa pubblica complessiva. Ciò configura una netta sottrazione di risorse pari a decine di miliardi all’anno che, storicizzati, colmano e spiegano gran parte del ritardo meridionale in termini di servizi alla popolazione. Minori investimenti in sanità, mobilità, scuola, infrastrutture di base, reti logistiche e informatiche. Un altro dato esplicativo si ricava sugli investimenti del piano delle ferrovie di Stato con una spesa programmata di 73 miliardi di cui al Sud solo 13 miliardi, ossia il 19%, condannando gran parte del territorio meridionale al binario unico.

I dati della Calabria indicano elementi macroeconomici in lieve controtendenza strutturale. L’aumento del Pil, l’aumento generalizzato delle esportazioni, la crescita della spesa dei fondicomunitari, anche se serve approfondire il dato sulla qualità della spesa strutturale, e l’incremento delle presenze turistiche assieme a una lieve crescita dell’occupazione, spinto dal saldo di imprese positivo, fanno ben sperare. Restano le carenze del sistema formativo scolastico, i dati negativi sulla emigrazione giovanile e di laureati, i ritardi di infrastrutturazione logistica e la carenza dei servizi: in primis mobilità e sanità, che annaspa in uno stato comatoso, come ha rilevato l’indagine della Seconda commissione regionale bilancio e programmazione economica.

Servono però strategie di medio e lungo periodo, un modello di sviluppo che punti sulle caratteristiche di vantaggio del Meridione, l’infrastrutturazione paritetica col resto della nazione, livelli adeguati di spesa nei servizi in ambito sanitario, scolastico e dei trasporti. Servono innovazione e meritocrazia in ogni ambito formativo, lotta alla criminalità, emersione delle imprese, uso efficiente della programmazione comunitaria, lotta agli sprechi e una classe dirigente responsabile che sia consapevole, quanto il cittadino, dell’interesse collettivo, e che lavori per risultati e obiettivi. Ma serve anche un nuovo modello di azione statale, che rifletta sul disequilibrio territoriale e sulla spesa paritaria fra le macroaree del paese. Occorre che si capisca che non ci può essere recupero e sviluppo della nazione se non si rende il Sud competitivo, affrancandolo da una visione parassitaria, ma restituendogli dignità e risorse. Servono investimenti strategici dunque, in una cornice unitaria che rafforzi l’intero paese a doppia motrice. L’alta velocità non può fermarsi a Napoli, la logistica integrata va inserita all’interno di tutto il sistema paese e non solo di una sua parte, serve per questo un piano strategico di sviluppo locale che ristabilisca fini e priorità, determinando risorse certe. In alcune aree c’è un forte disagio sociale, alimentato da crescenti disparità economiche che non possono più essere inascoltate. L’agenda del nascente governo pone al Diciannovesimo punto programmatico il Sud. Spero che alle dichiarazioni seguano piani, programmi e azioni concrete, perché l’Italia per ripartire ha bisogno di un Sud forte che negli anni non ha mollato, pur con tutte le difficoltà citate, perché se il Mezzogiorno si ferma sotto i colpi di altri scippi è l’intera nazione che è destinata a crollare. 

Roberto Bevacqua

Direttore Eurispes Calabria

Egregio Direttore,

Concordo in parte con la Sua analisi articolata.

È vero, ad esempio, come afferma Lei, che l’Ue non è riuscita a garantire se non in parte l’integrazione.

Ma poi dobbiamo chiederci di quale integrazione parliamo, perché l’Ue non è nata come soggetto politico (quello, per capirci avrebbe garantito l’integrazione forte auspicata da Lei come da chi Le scrive), ma come organismo economico propedeutico alla nascita di un soggetto politico. Questo soggetto nel diritto internazionale “classico” pre-Onu lo si potrebbe definire al massimo una Confederazione di Stati sovrani. Una condizione incompleta, che non gli conferisce del tutto gli attributi della sovranità.

Se le cose stanno così, è una conseguenza quasi fatale che questa prima integrazione, preliminare a quella “politica”, segua le regole del mercato. Alla luce delle quali il nostro sistema risulta in buona parte perdente a causa delle sue conclamate inefficienze.

In fin dei conti, siamo entrati nell’Ue con un debito pubblico spaventoso, con una produzione industriale già in arretramento e con una burocrazia elefantiaca.

Abbiamo pagato, più di altri, un biglietto d’ingresso salatissimo, è vero. E, quel che è peggio, paghiamo ancora interessi vertiginosi su questo biglietto.

Ma la risposta non può essere la fuga. Né il ringhio sovranista. La risposta è pretendere che l’Europa diventi davvero sovrana: ciò che ci toglie la competizione economica può restituircelo il maggior peso politico che acquisiremmo in un sistema democratico più grande. Siamo il terzo Paese d’Europa per demografia e i numeri in politica contano.

Però a questo punto una riflessione è doverosa: l’allineamento delle economie dei membri Ue non è avvenuto senza sofferenze e sacrifici. Ma ciò non ci deve fare scordare che una volta questi risultati erano il prodotto di guerre e di lotte politiche, non di processi pacifici e consensuali: da Carlo Magno in avanti, il continente europeo è stato unito più volte, sul filo della spada o sulla punta delle baionette. Non sputiamo troppo sul fatto che, stavolta, il processo sia pacifico.

Bypasserei il discorso sulle mafie e sulla ’ndrangheta in particolare perché mi pare la classica foglia di fico dietro cui noi calabresi nascondiamo vergogne e incapacità. Al riguardo mi limito a far notare una cosa: come mai altrove Mafia e Camorra non ostacolano più di tanto le performance in vari settori (turismo e agricoltura)? Come mai il resto del Sud presenta vivacità, culturali ed economiche, a prescindere dalle mafie?

Ovviamente, non possiamo far finta che il fenomeno non esista e che non sia pericoloso. Però, oltre alla doverosa denuncia (magari supportata da una cronaca più precisa, che eserciti una volta tanto il diritto di critica e non si metta a fare la tifosa o la passacarte di Procure e forze dell’ordine…), occorre una riflessione seria per evitare che la presenza asfissiante delle ’ndrine diventi una specie di “mito incapacitante”.

Sulle cause del divario Nord-Sud non mi trovo del tutto d’accordo con la Sua analisi. Credo, più modestamente, che le cause di questo divario risiedano essenzialmente nel regime delle autonomie per come si è configurato a partire dagli anni ’70. Alcuni storici (in particolare Paolo Macry, Emanuele Felice e Salvatore Lupo) concordano su un dato: il Sud è cresciuto molto dal dopoguerra agli anni ’60. Poi, con il regionalismo, ha iniziato a regredire.

Il criterio della “spesa storica”, in cui crediamo di identificare la dinamica dello “scippo”, ci inchioda in realtà a un dato che pesa come un macigno: è la prova di una spesa pubblica di cattiva qualità, che si è trasformata in un parametro.

Il passaggio tra i Novanta e l’inizio millennio è stato una vera e propria mazzata, in cui le classi dirigenti meridionali hanno più di una responsabilità: si sono inchiodate nelle periferie grazie al sistema delle autonomie e sono risultate incapaci di esprimere istanze convincenti al centro.

In buona parte è un problema nostro, aggravato dall’uso pluridecennale dei servizi pubblici (trasporti, scuole e le vecchie aziende del cosiddetto “parastato”) come uffici di collocamento, al di fuori di ogni criterio di efficienza e meritocrazia. Logico, allora, che le privatizzazioni, al Sud si siano risolte in una mattanza di personale e delle residue qualità, che a dirla tutta neanche negli anni d’oro della Prima Repubblica erano granché.

Detto altrimenti, il Sud ha in buona parte quel che merita. Tuttavia, a livello politico le “punizioni” non possono durare in eterno: pena lo sfascio dell’intero sistema.

Sono d’accordo con lei sull’esigenza urgente di una redistribuzione, ma per un motivo diverso: deprimere ulteriormente il Mezzogiorno significherebbe pregiudicare il Paese proprio nel momento in cui ci si appresta ad affrontare le sfide dell’Europa.

Il Sud ha un senso compiuto in Italia e l’Italia ne ha uno in Europa, con buona pace di sovranisti, autonomisti e localisti.

Grazie davvero per la cortese attenzione.

Saverio Paletta

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