Il revisionismo e il falso mito di Pino Aprile
Il business del giornalista pugliese, dalla navigazione a vela alla controstoria
Vi ricordate Oggi e Gente? I due settimanali ora fanno a gara a sparare in prima pagina le immagini di soubrette, conduttrici tv e donne di successo, il meno vestite possibili. Tra gli anni ’70 e ’80 gareggiavano in cose più serie, almeno dal punto di vista storiografico: ritratti e titoli sui membri della famiglia Savoia, allora in esilio, sui superstiti della famiglia Mussolini e sullo scià di Persia.
In quei giornali fece la sua brava carriera il giornalista pugliese Pino Aprile, che fu direttore del primo e vicedirettore del secondo. Aprile, di cui – come per tanti giornalisti, che non ne hanno – sono sconosciuti i titoli accademici, proveniva dalla classica gavetta nei giornali locali, come La Gazzetta del Mezzogiorno.
Parliamo, ovviamente, dello stesso Pino Aprile che, dal 2010 in avanti, dopo una fortunata parentesi come esperto di navigazione sportiva a vela, si è riscoperto ultrameridionalista (almeno in pubblico, visto che altre tracce precedenti di questa sua passione non ce ne sono), ha buttato alle ortiche la precedente attività di divulgatore storico e si dedica al revisionismo antirisorgimentale.
I Savoia restano in cima alle sue preoccupazioni, ma non come personaggi da prima pagina bensì come bestie nere. L’Unità d’Italia, a sentire l’Aprile di oggi, è stata la iattura del Sud. Il Risorgimento fu una guerra di conquista, con tanto di genocidio annesso, almeno tentato e, a sentir lui, in parte riuscito.
Con questa ricettina, il Nostro ha scritto uno dei più grandi best seller del decennio: quel Terroni (Piemme, 2010) che, forte di oltre 250mila copie vendute, ha suscitato un dibattito fortissimo, che dal mondo della cultura (e nonostante esso) è tracimato nella politica. Se sette anni fa non ci fosse stato Terroni oggi il Movimento 5Stelle non avrebbe lanciato l’idea di una giornata della memoria dedicata alle vittime meridionali dell’Unità d’Italia. Senza il successo di Terroni, che ha trasformato il suo autore in una specie di Messia dei movimenti sudisti, le tesi dei neoborbonici giacerebbero in una nicchia più piccola di quella che occupano adesso. E non ci sarebbe, soprattutto, il battage editoriale che, a sette anni dal centocinquantenario dell’Unità, continua a martellare l’opinione pubblica, a dispetto della crisi dell’editoria.
Inutile dire che tanta fortuna si basa sul nulla o quasi: le tesi storiografiche di Aprile suggestionano al primo impatto ma si smorzano non appena si inizi una seconda lettura. Non solo per una questione di stile, che non è proprio gradevole (irrita ad esempio la scrittura in prima persona e l’abbondanza di dialettismi, roba che ad altri verrebbe censurata in qualsiasi giornale di provincia), ma soprattutto di contenuti e di onestà intellettuale.
Evitiamo di scendere nei dettagli del corposo revisionismo apriliano e soffermiamoci, piuttosto, su un’espressione che ricorre come un mantra in tutti i libri dell’autoproclamato storico di Gioia del Colle: «Certe cose non le sapevamo perché nessuno ce le ha mai raccontate». Non sapevamo, ad esempio, che l’Unità d’Italia fu la guerra di conquista vinta da uno Stato, il Regno di Sardegna, nei confronti di tutti gli altri della Penisola. Non sapevamo che all’Unità seguì un periodo di disordini profondissimi con episodi tragici, stermini e abusi da guerra civile. Non sapevamo che, in effetti, il Sud iniziò ad arretrare con l’Unità (o meglio, restò al palo mentre le altre zone, altrettanto non sviluppate, crebbero).
Ma non è vero che non sapessimo tutto questo perché «nessuno ce l’ha mai raccontato». Non lo sapevamo perché semplicemente non abbiamo studiato oppure non ci siamo documentati a dovere.
Dopodiché, persino il cinema si è occupato di certe cose. Si pensi all’eccidio di Bronte, rievocato da Aprile col tono di chi rivela novità assolute: a quest’episodio, tragico ma non sconosciuto, il regista Florestano Vancini dedicò nel 1971 Bronte, cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato, una coproduzione italo-jugoslava trasmessa varie volte dalla Rai e perciò vista da milioni di telespettatori. Nel 1999, invece, Pasquale Squitieri (la cui recente scomparsa è passata inosservata ai neoborbonici e agli aficionados di Aprile) girò Li chiamarono briganti, dedicato, appunto, alle gesta del brigante lucano Carmine Crocco. Anche la musica ha fatto la sua parte: nel 1974, ben prima che il milanese Povia si convertisse alle tesi neoborboniche per rilanciare la sua carriera con la stucchevole Al Sud, gli Stormy Six, band di punta dell’underground milanese, dedicarono una canzone al massacro di Pontelandolfo.
Se ci concentriamo invece sui libri, che poi sono le uniche fonti utilizzate da Aprile, che tuttavia ben si guarda dal fornire una bibliografia, ci accorgiamo che tutto era stato già scritto, anche con un certo rigore e che nessuno, a partire dal compianto Carlo Alianello e da Franco Molfese, autore di una pregevolissima Storia del brigantaggio dopo l’Unità, è mai stato censurato. Tutt’altro.
Tutto ciò che è riportato nei libri del pugliese a partire da Terroni era già stato pubblicato prima. È stato solo grazie al clima d’odio creato dalla crisi economica e politica del Paese e dalla rinascita dei pregiudizi localistici, in particolare quello antimeridionale sfruttato alla grande dalla Lega Nord dell’era Bossi, che certe tesi sono state distorte e trasformate nella clava politica che in tanti, adesso soprattutto i grillini, cercano di brandire per cattivarsi un po’ di consensi.
Ma secondo Aprile, che ha rincarato la dose nel suo ultimo Carnefici (Piemme, 2016), non sapevamo altro, e cioè che il Risorgimento è stato quasi un genocidio concertato ad arte. Peccato che il nostro non sia riuscito a provare le cifre da Prima Guerra Mondiale snocciolate per avallare la tesi che il Sud è quel che è perché i settentrionali, a furia di massacri e rapine, l’hanno depauperato. Peccato, inoltre che certe narrazioni siano state smontate nel frattempo.
Ad esempio, quella secondo cui Fenestrelle, il forte alpino in cui erano alloggiati i Cacciatori Franchi, cioè il corpo punitivo del Regio Esercito (italiano e non piemontese), fosse nientemeno una sorta di Auschwitz sabauda in cui sarebbero stati macellati a migliaia i soldati del disciolto esercito delle Due Sicilie. Al riguardo, val la pena di menzionare la polemica a distanza tra Aprile e lo storico torinese Alessandro Barbero, autore di I prigionieri dei Savoia. La vera storia della congiura di Fenestrelle (Laterza, Roma-Bari 2012). Per parare il colpo dello storico piemontese, Aprile scende piuttosto in basso: definisce in Carnefici il suo contraddittore «un medievista e romanziere prestato alla storia contemporanea» e si arrampica sugli specchi, non riuscendo a controbattere coi documenti. Su questo punto si potrebbe rispondere non senza ironia che un medievista è uno storico e, in quanto tale, applica un metodo affinato sullo studio di documenti difficili come quelli medievali, redatti in latinorum o, peggio, in volgare. Di Aprile si sa, per sua stessa pubblica ammissione, che è un perito industriale. Nulla di male in ciò. Ma si ammetterà che il passaggio da perito industriale a storico attraverso il giornalismo è più tortuoso e dà meno garanzie sulla qualità della ricerca, o no?
Al netto delle polemiche, si potrebbe concludere che il potere di firma permette ad alcuni ciò che i titoli non consentono ad altri. Nel caso di Aprile si va oltre e il potere di firma diventa transitivo e generazionale. Infatti, Marianna Aprile, figlia di Pino e piezz’e core come tutti i figli d’arte, è una firma di Oggi e, di tanto in tanto, fa comparsate in Rai. Questo lo sappiamo.
E sappiamo altro. Sappiamo che i guai del Sud di oggi non sono il prodotto dei Savoia di ieri, ma di quella classe dirigente corrotta, incapace, impreparata e collusa che, spesso, ricicla il sudismo alla Aprile per dotarsi di una linea culturale. Sappiamo queste cose perché ce le raccontano tanti giornalisti che sfidano il precariato e le querele in redazioni spesso improbabili e fanno i conti in tasca a chi amministra quel po’ di potere rimasto e i suoi dividendi. E sappiamo che il compito di questi giornalisti è difficile perché la censura, anche fisica, è un rischio quotidiano. Diffamare i morti (se il generale Cialdini risuscitasse, quante querele beccherebbe Aprile?) invece è facile. Sappiamo anche questo, per averlo sperimentato di persona.
Ma prima o poi le mode passano. Sono passate quelle estetiche, che hanno condannato alla bulimia e all’anoressia qualche migliaio di ragazze, passeranno quelle culturali, che condannano all’odio migliaia di persone. Forse questo non lo sappiamo di sicuro. Ma ci speriamo.
Saverio Paletta
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X puro caso mi sono imbattuto nel suo articolo, a dir poco vergognoso non x Pino Aprile ma x il fatto che è evidente il divario ma i ciechi non vedono serve v un buon oculista x lei ovvio
Ormai rispondere ai troll come Lei è un esercizio sadico. Ad ogni buon conto: un oculista bravo può aiutare a leggere meglio uno come me ma non uno come Lei, che avrebbe avuto bisogno di un buon maestro elementare (presumo che non si rilegge quando scrive).
Cordialmente
AL MOMENTO NON SONO UN FAN DI PINO APRILE. MA AL DOTTOR SAVERIO PALETTO SUGGERISCO DI LEGGERE TUTTE GLI STUDI PUBBLICATI DAL PROF. STEFANO FENALTEA RECENTEMENTE SCOMPARSO. VENNE IN ITALIA DAGLI USA PER RICERCHE STORICHE; ESSENDO DI ORIGINE ITALIANA (DI FRASCATI PER L ESATTEZZA). LE SUE OPERE SONO STATE PUBBLICATE DALLA BANCA D’ITALIA E DIMOSTRANO PER LA PRIMA VOLTA INEQUIVOCABILMENTE CHE GLI INDICI DI SVILUPPO DEL SUD PRE UNITARIO ERANO CHIARAMENTE SUPERIORI A QUELLI DEL RESTO DELLO STIVALE. MI SEMBRA POI ALTRETTANTO INEQUIVOCABILE CHE L’UNIFICAZIONE FU CONDOTTA LUNGO UN PERCORSO DEFINITO DA CAVOUR E DALLE POTENZE EUROPEE. MEGLIO SAREBBE STATO CHE AVESSE INCISO MAGGIORMENTE GARIBALDI E/O MAZZINI, NON TROVA? SE NE HA VOGLIA ANCHE LEI POTREBBE APPASSIONARSI ALLA STORIA. LE DICO QUESTO CON RISPETTO POICHE’ NOTO CHE E’ UN NOSTRO FRATELLO CALABRESE DIVERSAMENTE NON AVREI SPRECATO IL MIO TEMPO PER QUESTA MENZIONE (IN ONORE DI STEFANO FENALTEA AFFINCHE’ LA SUA OPERA NON SIA STATA VANA).
Gli studi di Fenaltea sono ripresi e attualizzati da Vittorio Daniele, altro bravo studioso disinterpretato dai seguaci di certo “revisionismo”.
Per quel che riguarda il processo di unificazione, sarei d’accordo con Lei, ma le cose sono andate altrimenti e dobbiamo prenderne atto.
Grazie per l’attenzione,
Saverio Paletta
Ps: sono già appassionatissimo di storia
Ma prima o poi le mode passano. Sono passate quelle estetiche, che hanno condannato alla bulimia e all’anoressia qualche migliaio di ragazze, passeranno quelle culturali, che condannano all’odio migliaia di persone. Forse questo non lo sappiamo di sicuro. Ma ci speriamo.
Saverio Paletta
Il riferimento all’anoressia e bulimia mi pare davvero di pessimo gusto.
Chiedo scusa: decido io, in quanto autore e sotto la mia responsabilità, cosa sia buono o cattivo gusto.
Cordialmente,
Saverio Paletta
E sei pure di Cosenza,
Complimenti
Cosa intende?
Addirittura Cialdini che querele be Pino Aprile…
E dai…
Egregio Sabatino,
grazie per la simpatica osservazione (che le sarebbe riuscita meglio senza il refuso). Io ho scritto: se fosse vivo, Cialdini querelerebbe Aprile. Infatti, attribuire a qualcuno cose che non ha fatto attraverso un libro o un supporto mediatico concreta il reato di diffamazione a mezzo stampa. Aprile ha attribuito a Cialdini condotte criminali che in realtà non sono mai esistite (né lui riesce a provarle). Quindi, per restare nella fantastoria, se Cialdini vivesse oggi, querelerebbe Aprile. Se, invece, Aprile fosse vissuto nella seconda metà dell’Ottocento si sarebbe beccato una bella sfida a duello…
Grazie per l’attenzione,
Saverio Paletta
Tempo fa un mio amico siciliano condivise su FB un video dove un signore di non giovane età e dai modi un po’ rozzi si esprimeva sulla questione dell’autonomia differenziata, allora in voga. Nel suo italiano con pesante accento meridionale diceva cose terribili: la gente del Sud sarebbe morta a migliaia nei letti d’ospedale, senza possibilità di essere curati a causa della mancanza di fondi per la sanità del Sud. Non si riferiva solo agli anziani, blaterava con frasi a effetto del tipo: “Si chiamava Francesco, aveva 19 anni, voleva fare l’astronauta. Ma è morto perché non c’erano i soldi per curarlo, servivano per arricchire le regioni del Nord!”
Siccome sono una Lombarda di ampie vedute e mantengo amicizie anche con chi ha opinioni diverse dalle mie, ho provato a chiedere qualcosa in più all’amico in questione . Scoprì così chi era l’uomo del video: Pino Aprile. Mi era stato presentato come “grande giornalista, storico controcorrente, meridionalista vero e speranza per l’intero popolo meridionale”. Sembrava interessante, ma vuoi perché mi interessano molto poco i problemi del Mezzogiorno (ne abbiamo già abbastanza qui sulle sponde del lago di Como) vuoi perché la sua comunicazione così rancorosa e rivendicazionista non mi piaceva affatto, non ho approfondito molto. Di recente però ho saputo della polemica sul Recovery Fund e della protesta della classe politica meridionale e ho scoperto che questo personaggio è in prima fila nell’agitare le acque.
Ho fatto quindi un po’ di ricerche combattivissimo Pino. Ho visto che è stato ospite in varie trasmissioni televisive (soprattutto Agorà su Rai3 e Tagadà su La7), è stato intervistato svariate volte da testate nazionali, ha un blog e una pagina FB seguitissima (oltre 200mila follower, nemmeno io che pubblico costantemente foto di me scosciata e scollata o desnuda su IG riesco ad avere tutto questo seguito). Eppure in svariati interventi che ho ascoltato si lamenta di avere poco spazio mediatico. Che Dovrei dire io, ormai quasi 50enne con lunghissima carriera di traduttrice e scrittrice erotica alle spalle? Avessi avuto un centesimo delle attenzioni mediatiche suscitate da lui!
Ora che le mie ricerche mi hanno condotta fino a qui, sono contenta di aver trovato voci critiche nei suoi confronti e che arrivino dai suoi stessi conterranei. A leggere certi commenti online, pareva che fosse una sorta di profeta, un novello Masaniello a capo degli oppressi del Sud, pronti a vendicarsi sui “prenditori” e sugli “avvoltoi” polentoni (come se qui da noi non avessimo sacche di povertà).
Scusatemi il lungo sfogo, ma davvero mi danno sui nervi certi aspiranti capipopolo di dubbio gusto.
Buona giornata da Roberta
Egregia Roberta,
Io considero Pino Aprile una specie di cura omeopatica per il Sud: con le sue fake e – perché no? – con la sua rozzezza ha avuto il merito di risvegliare l’interesse per i problemi del Mezzogiorno.
Io e il mio team abbiamo sottoposto a critica serrata la produzione di Aprile perché la riteniamo tendenziosa, piena di errori e falsità. Centra il problema (il Sud è letteralmente abbandonato) ma sbaglia il bersaglio e deresponsabilizza le classi dirigenti meridionali, spostando sul (presunto e tutto da dimostrare) egoismo del Nord ogni colpa.
Insomma, è una narrazione sbagliata che rischia di danneggiare ancora di più il Sud, che almeno il problema delle fake può evitarselo.
Concordo con lei su un punto: Aprile ha avuto un grande successo di vendite e spazi mediatici immeritati perché non supportati da un messaggio di qualità.
Tuttavia, non è corretto paragonare l’attività social di Aprile alla sua: lui lancia un messaggio civile, senz’altro sbagliato, lei posta foto (a proposito: complimenti). Lui si improvvisa storico, lei è una traduttrice e scrittrice. Sono cose diverse.
Per il resto, lei è libera di disinteressarsi del Mezzogiorno e dei suoi problemi. Io, da meridionale, non mi disinteresso del Nord, perché credo che ciò che capita dalle sue parti riguardi anche noi “terroni” e viceversa: fino a prova contraria, siamo un solo Paese e se una sua parte va in crisi e sprofonda le conseguenze negative sono per tutti.
Ultima cosa: mi sarei occupato di Aprile anche se fossi stato settentrionale come lei, allo stesso modo in cui mi sono occupato, in passato, delle fregnacce della Lega bossiana vecchia maniera.
Grazie per l’attenzione
Saverio Paletta
Pino aprile con il suo romanzo che rasenta la barzelletta crea altri danni aumentando la mentalità di piangersi addosso. Mi auguro che il nostro sud si svegli sfruttando le tante risorse non usate a causa di una classe dirigente locale spesso incapace se non peggio! Altro che furbacchioni alla pino aprile o Matteo Salvini!!
Negazionismo in salsa di gossip disprezzante che le tv tutte ci propinano tutti giorni in quei dibattiti dove la lite verbale la fa da padrone. Pino Aprile svolge le sue ricerche da più di 50 anni e sull’argomento ha certamente consultato più archivi e testi di Barbero (dichiarato da lui stesso sull’argomento Fenestrelle). Perché tanto astio nei suoi confronti? Questo è il tipo di giornalismo che non vorrei mai leggere. La saluto nella consapevolezza che il suo articolo è un ottimo esempio di giornalismo effimero di cui oggi siamo bombardati.
Egregio Minopoli,
potrei risponderLe con una battuta: Lei è il classico lettore che non vorrei mai avere e quello di Aprile è un esempio di quel giornalismo effimero e inconsistente che ha contribuito a mandare in crisi la professione che ancora mi sforzo di esercitare.
Ovviamente penso tutt’altro: e cioè che Lei sia in malafede (mi critica senza dimostrare se quanto ho scritto è falso) e che Aprile, quando non si occupa di storia e non fa politica, riesce a essere un valido professionista.
Inoltre, rispetti la lingua italiana prima di criticarmi: “lite” è femminile, quindi “la fa da padrona”.
Infine, nessun astio nei confronti di Aprile: in questo articolo, tra l’altro piuttosto datato (risale alla tarda primavera del 2017) ho fatto solo un po’ di debunking sulla produzione “storica” di Aprile. Possibile che non si possa criticare qualcuno senza essere accusati di covare chissà che malvagità nei suoi confronti?
Grazie comunque per l’attenzione,
Saverio Paletta
chiedo scusa per il mio commento decisamente scritto con un ritardo a dir poco abissale ma ho un dubbio sulla sua affermazione che la storia dell’ insediamento industriale di Mongiana sia ancora tutto da scrivere ,la verità è sotto gli occhi di tutti basta solo guardarla, basta una visita al sito di mongiana e uno sguardo ai dati della produzione metallifera del periodo storico in questione,per capire che industrialmente l’importanza economica era limitata e piuttosto modesta.per fare due esempi in un anno si lavorava tanto ferro quanto quello prodotto in pochi giorni nel regno unito.L’architettura a pianta quadra degli alti forni dimostra che la tecnologia fusoria era arretrata in quanto nello stesso periodo storico nel nord Europa già si era adottato da tempo il sistema a pianta rotonda, più redditizia in quanto permetteva un forte risparmio energetico. I dati relativi a tutto quello da me affermato sono a disposizione di tutti coloro che volessero approfondire basta fare una seria ricerca anche sui canali telematici che sono accessibili a chiunque. Distinti saluti, Giovanni Guerini.
Buongiorno, converrà sul fatto che il divario, tra Nord e Sud è notevole, e che la cassa per il mezzogiorno è stata una vergogna per il sud che ha fatto bene alle imprese del Nord. Infine le faccio notare che il Sistema bancario, ha sempre privilegiato le imprese del Nord. infatti il costo del denaro aveva un divario di almeno 8 punti e gli impieghi della raccolta dei risparmi che avveniva in modo rilevante al sud veniva poi immessa maggiormente nel Nord. In sintesi e con i numeri, nel 1985, su 1.000.000 del vecchio conio 750.000 lire il sistema bancario lo raccoglieva nel sud e quando concedeva prestiti alle imprese, il rapporto era inversamente proporzionale, per il Nord vi era la disponibilità del 75 % al tasso del 11 % mentre al Sud le risorse erano non solo irrisorie ma il costo per la migliore clientela si attestava al 18 % per arrivare sino al 22 %. Non a caso in quegli anni il parabancario spopolava nelle nostre città. Infine la invito ad una riflessione, e mi creda lo faccio con l’augurio che qualcuno approfondisca l’argomento, 25.000.000 di emigranti per lo più meridionali, in un secolo dal 1860 l 1960 , quanto hanno contribuito con le loro rimesse a far grande la nostra Nazione ? Nella mia cittadina negli anni 65 /70 gli emigranti che lavoravano nel nord Europa, inviavano i loro risparmi per costruire le loro abitazioni, e l’edilizia è sempre stato un grande volano per l’economia. Cordali Saluti Angelo Quaranta
Egregio Quaranta,
Le porgo le mie scuse per il ritardo di questa risposta.
Converrà con me che il suo ragionamento economico, in cui ci sono spunti senz’altro interessanti, non riguarda l’articolo che ha commentato?
Per il resto, ci riserviamo approfondimenti.
Intanto, un cordiale saluto e grazie per l’attenzione
Saverio Paletta
Gentile Paletta,
ho letto con piacere l’articolo e mi sono entusiasmato a leggere le sue risposte ai commenti vari. Una calma olimpica e molta professionalita`. La ringrazio, lei sta facendo una meticolosa opera di ricucitura di un’Italia pieno di risentimento in piena crisi dove l’ignoranza viene pilotata che sia al Nord o al Sud.
Buoni Saluti
Alberto
Egregio Alberto,
Grazie per la stima e tanti auguri di Buone Feste.
Saverio Paletta
Mi perdoni errori dovuti alla scrittura da smartphone….
Non si preoccupi: avevo capito benissimo che si trattava di “refusi” da T9, segno che la scrittura touch non è poi così smart…
Tuttavia, colgo l’occasione per invitare Lei e i lettori che volessero intervenire a usare di più la tastiera o di fare attenzione agli errori: questo è un giornale e non una bacheca social. Perciò un po’ di correttezza formale non guasta: anzi, è un segno di rispetto nei confronti di chi ci lavora e degli altri lettori.
Un cordiale saluto,
Saverio Paletta
Io propongo, per tagliare la testa al toro, di ri-separare l’Italia. Al Nord la vera Italia Civile e Laboriosa. Noi al Sud ce ne stiamo per i fatti nostri e tanti saluti cari. Speace solo per i tanti ragazzi del Sud morti durante la I Guerra per le montagne alpine. Forse si potrebbe rendere l’Alto Adige un enclave della Repubblida Sud …. E’ una proposta
Egregio Via,
la Sua, più che una proposta, mi sembra una provocazione. Il Sud (parlo da meridionale) è pieno di persone civilissime e laboriose. E proprio pensando a loro abbiamo iniziato il debunking sul cosiddetto “terronismo” e “neoborbonismo”.
Per quel che riguarda secessionismi e federalismi vari, mi permetta di dire che ogni volta che qualcuno vi accenna mi si alza il livello di istamina.
Il vecchio Stato accentrato, con tutti i suoi difetti (che non erano pochi né leggeri), ci ha resi comunque una nazione, anche nostro malgrado.
I meccanismi centrifughi, innestati dalle autonomie – tra l’altro messe ko dall’attuale pandemia – hanno invece ripiombato il Paese nei suoi vizi atavici: il provincialismo, il localismo, il territorialismo, ecc. Ed è inutile ribadire che questi vizi hanno preso, soprattutto al Sud, una piega criminale.
Separarci? Proprio no. Semmai mettere un freno a certe tesi deliranti.
Grazie per l’attenzione,
Saverio Paletta
Pino Aprile si nutre di odio e lucra sull’odio, questo è il frutto di un Sud purtroppo lasciato ignorante, spesso per colpa di sé stesso.
Un terrone.
Egregio Enea,
mi dissocio un po’ dalla sua posizione, che considero troppo netta, e dal linguaggio con cui la esprime.
Non le voglio certo dar torto, perché quel che ha espresso su Pino Aprile coincide alla perfezione con il pensiero di molti lettori.
Tuttavia, mi permetta due rilievi.
Il primo: non si può rimproverare al solo Aprile quel che fanno tutti i giornalisti quando scrivono libri, cioè di mirare a venderli e ottenere un ricavo coi diritti d’autore.
Certo, è discutibile farlo sulla base di fake e svarioni, come quelli contenuti in “Terroni” e “Carnefici”, ma credo che, da questo punto di vista, anche i lettori hanno la loro fetta di responsabilità.
Secondo rilievo: è vero che “Terroni” ha “attecchito” sul malessere diffuso e crescente al Sud. Ma ciò non prova l’eventuale intenzionalità di aprile di «lucrare» sull’odio.
Diciamo solo che, grazie al malessere che ha risvegliato vecchie ferite, i “libelli” di Aprile sono diventati best seller, perché hanno intercettato le ansie di rivalsa e i moti di rabbia che, mi creda, non sono immotivati.
Io voglio sperare che Aprile affermi certe cose perché ci crede davvero. In questo caso saremmo solo di fronte a un cortocircuito culturale. Invece, l’ipotesi della manipolazione in malafede dei fatti storici a fini politici sarebbe inquietante. Tanto più inquietante perché fatta da una firma di lungo corso come lui.
Ma, siccome non sono psicologo né telepate, non riesco a entrare (né mi interessa farlo) nella testa di Aprile per cercarvi la malafede.
Mi accontento di contestare le sue tesi e di smantellare, nei limiti del possibile, la sua “narrazione”: solo così posso rendere alla collettività e ai tanti “terroni” come me il servizio che ci si aspetta da un giornalista.
Grazie per l’attenzione e prego Lei come tanti di una cosa: non usiamo il linguaggio aggressivo di chi sostiene certe cose. Il fatto che non ci identifichiamo in certe tesi vuol dire che siamo diversi da lorsignori. Cerchiamo di esserlo anche nello stile.
Saverio Paletta
Egregio Ettore,
questa dei Borbone “tangentisti” o “ladri di Stato” mi mancava.
Al riguardo, la penso diversamente: nei sistemi assolutistici il re non rubava per il semplice motivo che non ne aveva bisogno: di fatto, il patrimonio dello Stato era cosa sua.
Oltre a disporre del tesoro per amministrare, il sovrano aveva un appannaggio di tutto rispetto. Però se ha dei documenti li metta a disposizione degli storici.
Ricambio il saluto con altrettanta cordialità
Saverio Paletta
Gent.le Sig Paletta, lei ha ragione sul fatto sulla monarchia assoluta (come lo era quello dei Borbone a Napoli, come in Francia o in Spagna), però qualche “aiutino” lo avevano. Leggendo Settembrini noto come, durante il processo ai settari dell’Unità d’Italia (come in altri processi nel Regno delle Due Sicilie), spesso i condannati facoltosi, subivano, oltre alla condanna al carcere o all’ergastolo, anche delle multe. Faccio un esempio: Barilla Federico ergastolo+1000 ducati, Nisco Nicola 30 anni+1000 ducati, Margherita Luciano 30 anni+500 ducati, Catalano Francesco 25 anni+50 ducati, Vellucci Lorenzo 25 anni+600 ducati, Poerio Carlo 24 anni+600 ducati, Settembrini condanna a morte+600 ducati, Braico Cesare 25 anni+600 ducati, Barrafaele Angelo assolto dopo 2 mesi di carcere ma costretto a pagare 100 ducati. Non conosco l’ammontare di queste entrate durante i processi. D’altronde gli stessi austriaci accusavano il feldmaresciallo Radetzky di essersi arricchito nel Lombardo-Veneto confiscando, guarda caso, i beni ai rivoluzionari del 1848-49 (insieme al generale Strassoldo, friulano e suo cognato che proprio negli anni del governo militare si arricchì). Non so se il Sig. Galimberti ha qualche altra fonte da potermi indicare per ulteriore ricerca perché glie ne sarei grato. Grazie e un cordiale saluto
Egr. Dott. Paletta Saverio,
la domanda che i fan di Aprile dovrebbero farsi, loro che parlano tanto di vittime, latrocini, criminali etc, è la seguente: “Come hanno fatto i Borbone a diventare così ricchi?”
Non dico altro, li invito solo a documentarsi, a cercare informazioni sulla storia della dinastia in questione, perché è evidente che alla casa regnante da qualche parte i soldi sono arrivati, e io, che ho letto qualcosina a riguardo, posso garantire che non è stato vincendo la lotteria di Capodanno.
Cordiali saluti
Egregio Sig.Paletta,
Mi sono interessato da poco alla controstoria risorgimentale,in particolare in merito a tutte le vicende concernenti la “Questione Meridionale” e le cattiverie operate dallo stato sabaudo nei confronti delle terre meridionali
Per ora ho letto due libri,rispettivamente di Lorenzo del Boca e Pino Aprile,due autori a cui,in alcuni articoli di questo sito,avete rivolto alcune critiche
Considerato ciò,e anche il fatto che questo è un argomento che mi sta a cuore e che soprattutto sono interessato alla Verità,e quindi mi dispiacerebbe leggere testi che raccontino falsità,approssimazioni,notizie non verificate e altro,mi potrebbe gentilmente consigliare i nomi di alcuni controstorici risorgimentali che a suo parere sono affidabili,oppure qualche libro che tratti questi argomenti in maniera approfondita e soprattutto Vera ?
Distinti saluti
Egregio Andrea,
Premetto un concetto basilare: non sono uno storico ma un giornalista che, tra le varie, si occupa anche di storia, con tutti i limiti inevitabili di chi svolge una professione “generalista” come la mia.
Detto questo, riguardo a Del Boca e Aprile, posso dire con tutta sincerità e buonafede una cosa: non sono storici né “controstorici”, se non nel senso che vanno contro la storia.
Spiego ulteriormente: non esiste una storia “di regine” a cui loro fanno il controcanto e oppongono verità finora “occultate”. Soprattutto, questa storia non esiste per quel che riguarda il Risorgimento: la maggior parte degli storici che se ne sono occupati, ha svolto una serie di critiche, a volte eccessive, sul processo di unificazione nazionale.
Ma c’è da dire che nessuno è arrivato a formulare le tesi “estreme” sostenute dai miei due famosi colleghi (Del Boca, tra l’altro, è stato presidente nazionale dell’Ordine dei giornalisti): nessuno ha mai parlato di genocidio dei meridionali, di sterminio degli ex soldati borbonici o ha considerato i briganti “patrioti” o “partigiani” avant la lettre.
Il motivo è semplice: questo presunto genocidio non è mai esistito, i soldati borbonici non furono sterminati a Fenestrelle o in altri forti e molti briganti erano delinquenti comuni, che hanno anticipato il cosiddetto “agire mafioso”.
Ciò, si badi bene, non vuol dire che il Risorgimento sia stato una marcia epica e che il Sud da esso abbia avuto soltanto benefici e progresso.
Vuol dire solo che nessuno ha commesso deliberatamente atrocità, rapine e nefandezze da Roma in giù.
Non vuol dire, inoltre, che non ci siano stati abusi e violenze da parte del Regio Esercito o che, in effetti, le classi dirigenti del Nord non abbiano avuto in parte atteggiamenti da colonizzatori. Vuol dire, più semplicemente, che questi abusi, queste violenze e queste forme di razzismo più o meno larvato non sono stati la parte predominante del processo di unificazione.
E vuol dire, ancora, che la “conquista” del Sud (che non era nelle intenzioni originarie delle classi dirigenti piemontesi) fu fatta davvero per creare una nazione e non per sottomettere una popolazione.
Ora, se a Lei proprio piace la “controstoria”, faccia pure. Ma si documenti anche sulla storia. Le consiglio, al riguardo, alcuni ottimi autori: Renata De Lorenzo, Paolo Macry e Salvatore Lupo. Ho avuto anch’io modo di apprezzarli e trarre qualche crescita dalla loro lettura.
Nella “controstoria” (che tra l’altro non è quasi mai scritta da storici professionisti), le consiglio Gigi Di Fiore: scrive da Dio, è meno livoroso e più documentato di Aprile e Del Boca. Non è uno storico ma, almeno, gli somiglia.
Aggiungo, tra gli storici più sensibili ai problemi dell’unificazione nazionale, Eugenio Di Rienzo.
Ci dia dentro e buona lettura. Nel salutarLa cordialmente mi permetto di darLe un piccolo suggerimento: la Verità non è una categoria storica ma, al massimo, religiosa. Il che significa che non ce l’ha in tasca nessuno.
Grazie per l’attenzione
Saverio Paletta
Gentile Sig. Paletta mi permetto di consigliare la lettura di “24 martiri per il Risorgimento di San Giovanni Rotondo” scritto pochi anni fa da Giulio Siena. L’ho finito di leggere in questi giorni e ritengo che sia una ricerca attenta, meticolosa, priva di faziosità, al contrario di tanti libri che vengono messi in mostra in libreria, purtroppo. Auguro a Vs e a chi leggerà un cordiale saluto ed un felice Anno Nuovo
Egregio Fernando,
mi scuso per il ritardo nella risposta. Ho già procurato il libro e gli darò un’occhiata attenta.
La Sua segnalazione ribadisce una cosa: che gli storici locali, molto più e meglio dei cosiddetti “revisionisti” sono riusciti a portare avanti un’opera di scavo serena e spassionata. Soprattutto, lo hanno fatto prima (non a caso il libro da Lei segnalato è del ’98).
Grazie per l’attenzione e gradisca i miei auguri tardivi.
Saverio Paletta
Egregio sig. Direttore, i suoi articoli sono sempre puntuali e pungenti e mi piacerebbe leggere anche le sue risposte ai tanti commenti che ne seguono ma preferisco tralasciarli per evitare il ripetersi di leggere falsi storici su primati o altro, o leggere e rileggere fake o bufale passate per verità storiche assolute che nascondono solo la ricerca di un poltrona. Il tempo è un bene prezioso. Continuerò a leggere i suoi articoli ma mi scusi se eviterò di scrivere in risposta a commenti di personaggi che si firmano Socrate. Un cordiale saluto
Egregio Fernando,
La capisco benissimo. Finora ho risposto ad alcuni personaggi discutibili per difendere le tesi che io e il mio staff sosteniamo. Detto questo, abbiamo anche deciso di non accettare più i commenti di chi non si firma per esteso e in maniera riconoscibile.
Lo facciamo anche per rispetto dei lettori seri come Lei.
Ormai abbiamo capito le strategie di questi signori: per non esporsi mandano avanti il consueto esercito di troll per dare fastidio con il consueto cumulo di sciocchezze e di insulti.
Non li asseconderemo, stia tranquillo.
E grazie per l’attenzione.
Con stima,
Saverio Paletta
Egr. Dott. Paletta Saverio,
Le faccio i complimenti per l’articolo in questione e condivido in toto quanto sopra. Il signor Aprile è un abile venditore, sa come piazzare bene la sua merce perché ben conosce il popolo dei lettori, così come Barbara D’Urso sa come intrattenere le massaie davanti alo schermo, ma davanti agli storici sono convinto che pure lui fa scena muta. Estrapolare concetti qua e là per scrivere libercoli che possono essere gustati magari in spiaggia in alternativa ai romanzi rosa e alla Settimana Enigmistica va bene, ci può stare. Ma sono pur sempre libretti che sottolineano alcuni punti (da dimostrare) e ne omettono altri (già verificati dalla Storia ufficiale) e che servono per intrattenerci, senza alcuna pretesa, e difatti nessuno può farli passare per trattati od opere grandiose, e lo dico ai fan di Aprile, ci vuole coraggio per prendere la difesa di quel testo. Ai signori che lodano l’opera di Aprile e che tutto ignorano della Storia del loro Paese, suggerisco di passare più tempo in biblioteca, magari di iscriversi all’università o alla facoltà di Storia e solo dopo avere conseguito titolo, rileggere gli scritti di Aprile con mente critica. Scopriranno cose che nemmeno immaginano. Questo, ovviamente, se si vuole apprendere la Storia, perché se lo scopo è solo quello della piacevole lettura e di non andare oltre, ci si può dedicare anche alle fiabe di Gianbattista Basile. Cordiali saluti.
Egregio Ettore,
Le rispondo, per cominciare, con una battuta: pur non essendo un suo fan o spettatore, la D’Urso non mi dispiace affatto.
Il motivo è semplice: sa di non essere una giornalista né una intellettuale e, con molta coerenza, fa ciò che dichiara di voler fare, cioè dà al popolino le cose che più gli piacciono senza pretese culturali di sorta. È una onesta mestierante della televisione.
Diverso è il discorso su Aprile: da giornalista ha scantonato in maniera impropria nella storia e, purtroppo, ha contribuito a incancrenire il malessere di molti meridionali con il suo storytelling.
Ora, non sono io che posso permettermi di contestare ad Aprile la sua abilità di venditore: tutti noi giornalisti scriviamo per un pubblico che sentiamo già nostro o che vogliamo conquistare.
Lui scrive libri per venderli. E in questo fa benissimo: è il suo mestiere.
Io ne ho criticato a lungo (e continuo a farlo) la produzione letteraria perché la trovo semplicemente pericolosa. Di sicuro questa produzione attecchisce, come Lei ha giustamente ribadito, sulla scarsa cultura storica degli italiani di tutte le latitudini (e mi permetto di ricordare che per tanti che si sono bevute le sciocchezze “terroniste” ce ne sono stati e ce ne sono altrettanti che si sono abbeverati alle boiate della Lega vecchia maniera…).
Tuttavia, alla base di questa incultura c’è una grande colpa del mondo degli storici contemporaneisti: hanno tralasciato a lungo l’alta divulgazione e, spesso, messo tra parentesi il Risorgimento. In pratica, sono i responsabili di quel vuoto che di fatto Aprile e altri “revisionisti” hanno cercato di riempire.
Io credo che la narrazione “apriliana” sia quasi al capolinea. Proprio per questo mi permetto di spezzare una paradossale lancia a favore del giornalista pugliese: ha avuto il merito di riaprire il dibattito sulla nostra storia e ha costretto gli accademici a “sporcarsi” con la divulgazione e parlare, finalmente, a noi cittadini comuni, che non saremo storici ma abbiamo il diritto di conoscere la storia.
Se non fosse stato per “Terroni”, i pezzi grossi della storiografia non sarebbero scesi in campo. Barbero, per esempio, avrebbe continuato ad occuparsi di medioevo, Renata De Lorenzo, Paolo Macry e Carmine Pinto (per fare tre esempi) avrebbero continuato a scrivere solo per gli addetti ai lavori e Salvatore Lupo sarebbe rimasto, per i più, solo un bravissimo storico della mafia.
Evidentemente, c’è voluto l’impatto choc di certo rozzo “revisionismo” per spingere gli storici veri a rispondere e, soprattutto, a rispondere bene: cioè a raccontarci, finalmente, la nostra storia.
Dobbiamo solo sperare che tanti cittadini comuni, come me e Lei, sappiano approfittarne: non è mai troppo tardi per farsi un po’ di cultura.
La ringrazio di cuore per la stima e l’attenzione.
Cordiali saluti
Saverio Paletta
Buongiorno,
letto il suo articolo, vorrei fare un passo avanti.
Mi piacerebbe conoscere il suo punto di vista in merito al dibattito attuale sulla ripartizione dei Fondi Europei (MES, RF) tra Nord e Sud, nonchè i dati forniti dallo Svimez sulla consistente disparità esistente (da decenni) tra le regioni settentrionali e quelle meridionali nella ripartizione delle risorse.
Infine cosa pensa del criterio della spesa storica, quale criterio di assegnazione delle risorse?
Grazie.
Egregio Flagiello,
più che un passo avanti, il suo mi sembra un salto vero e proprio.
In altre parole, mi chiede di spostare lo sguardo dal terronismo di ieri, basato essenzialmente sul “revisionismo” storico, a quello attuale, che fa leva su una lettura dei dati economici.
Non mi tiro indietro e, anzi, colgo l’occasione per dire a Lei e a tutti i lettori che abbiamo iniziato a lavorare anche su questo aspetto e a breve forniremo il nostro punto di vista.
Vengo al dunque: la disparità nella distribuzione delle risorse tra le macroaree del Paese, fotografata in buona parte dallo Svimez, è un fatto.
È, inoltre, un fatto che la spesa storica è diventata il perno di questa disparità redistributiva.
Ancora: è un fatto che la disparità non avviene nella spesa dello Stato, che invece continua ad avvantaggiare il Sud, ma nella cosiddetta spesa pubblica allargata, che comprende più voci (e di cui, conseguentemente, la spesa statale è solo una parte).
Detto questo, mi permetto di aggiungere che i fatti e i loro collegamenti sono suscettibili di interpretazioni, che possono portare a conclusioni diametralmente opposte rispetto a quelle di Marco Esposito, Roberto Napoletano e, più di recente, lo stesso Pino Aprile.
Ne offre un esempio il Sole 24Ore, quando afferma che l’adozione del criterio dei costi standard (su cui dovrebbe far leva il regionalismo differenziato) potrebbe dare più opportunità al Sud. Questa tesi, che non mi convince a livello pratico, tiene a livello logico e dimostra che anche l’altra “campana” ha i suoi rintocchi.
Il criterio della spesa storica è la fotografia dell’Italia di dieci anni fa, con i suoi pregi e i suoi difetti.
Questa fotografia, purtroppo, inchioda il Mezzogiorno a una condizione di minorità in buona parte ingenerosa, perché taglia le gambe alla possibilità di crescita. Però, come tutte le foto, immortala dei dati veri: il Sud era ed è anche quel che spende.
Il che, detto in parole povere, implica che in buona parte il Sud si è fatto male con le sue stesse mani: non è colpa del fotografo, neppure di quello più malevolo, se il soggetto ritratto non è bello.
Per quel che riguarda, invece, i fondi europei (Mes e Recovery Found) la vedo così: soccorsi al Nord e investimenti seri, soprattutto in infrastrutture, al Sud.
Il Nord è saturo di investimenti e continuare a spendere lì sarebbe semplicemente infruttuoso. Al Sud, purtroppo e per fortuna, ci sono ancora spazi consistenti perché le pratiche keynesiane (ché di questo si tratta) possano attecchire.
Piaccia o meno, la situazione è la seguente: il motore dell’economia italiana resta il Nord, ma l’eccezionalità della crisi indotta dalla pandemia, ha collocato il serbatoio della benzina e il carburatore al Sud, che ha l’inedita prospettiva storica di poter trasformare la sua arretratezza in precondizione del rilancio di tutto il Paese.
In quest’ottica, che è tutt’altro fuorché rivendicativa, io andrei ben oltre le richieste di riequilibrio e, per ciò che riguarda gli investimenti in infrastrutture, chiederei più della semplice quota demografica, cioè del 34%.
Francamente, la tesi del “Nord ladrone” è poco convincente al pari di quella del “Sud parassita”. Poco convincente e pericolosa, perché implicherebbe la creazione di un conflitto tra il Settentrione in crisi e il Mezzogiorno abbandonato.
Credo (e su questo Napoletano ha ragione) che il nodo sia più politico che economico e che la partita vera la si dovrebbe giocare sul terreno delle autonomie.
Io sono contrario al regionalismo differenziato – che tra l’altro è irrealizzabile nelle misure richieste – perché sono scettico, da sempre, sul regionalismo in sé e sulla eccessiva territorializzazione della politica che ne è derivata.
È da folli mettere in competizione le parti di uno stesso Paese. La crisi, al contrario, ci ha dimostrato due cose: i guai si superano con la solidarietà e non con le contese; le reti che uniscono (quella telematica soprattutto) travalicano i fattori divisivi.
Con tutto questo la logica rivendicativa adottata dai tre autori che ho citato sopra collima poco.
Abbia un po’ di pazienza e ci segua per saperne di più.
Intanto, grazie per l’attenzione
Saverio Paletta
Scusatemi se mi permetto di intervenire nella questione, pur capendoci poco sia di ordinamento dello stato che di economia. Mi pare di capire che si chieda a gran voce di investire al Sud. Eppure lo si è sempre fatto, con o senza casse del Mezzogiorno, con esiti che definire deludenti o disastrosi sarebbe in entrambi i casi un ossimoro. Personalmente ho conosciuto tanti meridionali che qui al Nord, ovvero lontani dal loro ambiente di appartenenza, riescono a farsi valere. Ma, nonostante la bravura dei singoli, dal Sud non è mai venuto fuori nulla di buono. Le ultime innovazioni o primati risalgono ai tempi della Magna Grecia, più di 2000 anni fa. Da lì in poi il nulla. E badate bene: il mio non è un discorso razzista, è la pura e dimostrabile verità!
Credo che investire giù da voi sia quanto di più sbagliato si possa fare. A conferma di ciò cito alcuni investitori di mia conoscenza, cresciuti alle vostre stesse latitudini, che mi hanno confessato di trovare più fruttuoso fare investimenti nel deserto del Sahara che in Calabria, Puglia o Sicilia. Per loro l’unica via fattibile è quella di inviare il minimo di soldi necessari per far funzionare i servizi del Sud Italia (ospedali, scuole, tribunali ecc), controllando però accuratamente ogni centesimo speso e privatizzando il più possibile. Ovviamente, tagliando via ogni forma di sussidio, tipo il RdC che è stato creato (anche se mai ammesso) unicamente per pescare voti in quella parte d’Italia.
Nel frattempo dalle regioni meridionali molta gente scappa via, di immigrati non ne arrivano, di conseguenza la popolazione scende. Questo è un bene perché così sempre meno persone camperanno di elemosina.
Egregia Roberta,
L’ha detto e lo conferma: non capisce granché di economia e diritto. Gli investimenti al Sud vanno fatti, ma per motivi diversi rispetto a quelli che motivarono la Cassa per il Mezzogiorno e altri interventi straordinari: il sistema Paese non cresce più e lo sviluppo, ancora notevole, del Nord non può trainare il resto dell’Italia.
Lo stop sarebbe drammatico, senz’altro per il Meridione, che precipiterebbe ancor più in una deriva maghrebina, ma anche il Settentrione non ne uscirebbe indenne, perché diventerebbe – definitivamente – il Sud delle aree avanzate della Mitteleuropa.
Concordo con lei sul fatto che gli investimenti, dalla Toscana in giù, debbano essere “guardati” a vista perché siano produttivi. Ma non si può ridurre tutto al minimo sindacale di mettere Ospedali, Scuole e Infrastrutture in grado di funzionare. Ci vuole di più, perché se il Sud sprofonda il Paese si ferma del tutto.
Vengo alla Cassa per il Mezzogiorno: lei è proprio sicura che quei soldi, tra l’altro non tantissimi, siano stati tutti sprecati?
Io dico di no: sono stati l’iniezione di liquidità necessaria per trasformare il Sud in un mercato interno privilegiato per l’acquisto dei prodotti del Nord. Per creare, in altre parole, quella circolarità che ha consentito all’Italia performance economiche spettacolari negli anni del boom.
La sua analisi è pressappochista e basata sul “sentito dire”: con che tipo di imprenditori ha parlato? Per caso con qualche aspirante speculatore simile a tanti che riempiono le cronache sindacali? Io conosco altrettanti imprenditori che resistono, sorretti da una passione per il territorio che ha del miracoloso.
Inoltre l’affermazione secondo cui dal Sud, eccettuata la Magna Grecia, non sia venuto nulla di buono, mi pare azzardata: non siamo l’inferno, ma solo un territorio problematico e marginale, che tuttavia offre qui e lì esempi di buone prassi.
Si tratta di far rete e aiutarle a crescere. Ecco tutto.
Il fatto che non ci beviamo le fregnacce dei “rivendicazionisti” meridionali non vuol dire che siamo disposti a credere alle balle di segno opposto, cariche di luoghi comuni francamente stantii.
Grazie per l’attenzione
Saverio Paletta
gentile sig. Paletta, trovo sempre piacere leggere i vs articoli e i vs commenti, anche nelle risposte a chi non lo meriterebbe l’educazione che dimostrate. Mi è capitato di fare qualche giro sul web e mi accorgo che, come la gramigna, certe idee si diffondono e stentano a morire. Mi permetto di intervenire dicendo che se qualche revisionista o neoborbonico o meridionalista (o come si vorrà far chiamare) vorrà fare qualche ricerca attenta può farlo benissimo prima di gridare come assoluta verità ciò che scrivono i vari Aprile o Di Fiore o Ciano. Per Pontelandolfo e Casalduni siamo a 13 come ha trovato Padre Panella (se non ricordo bene), anche se personalmente ho trovato altri 30-40 nominativi di cittadini fucilati per rappresaglia nei giorni successivi (molti però a Cerreto Sannita). Sto cercando di scoprire anche i nomi dei 37 soldati e 4 carabinieri uccisi dai “partigiani borbonici” di Pica e Giordano (non solo uccisi ma fatti a pezzi e bruciati tanto che non fu possibile poi ricomporli e furono seppelliti in una fossa comune: questo si con un atto da SS che ricordi Sant’Anna di Stazzema o Marzabotto). Che si leggano bene i riferimenti a Giordano Cosimo o altri “capi partigiani borbonici” come Alonzi (fucilato dai suoi superiori e non dai “piemontesi”), così come quei tanti che furono catturati e imprigionati dai francesi e dai pontifici come lo stesso Carmine Crocco (ritenuto un vero bandito da Borjes a tal punto che lo spagnolo decise di lasciare la Calabria e tornarsene in patria non prima di volerlo denunciare come delinquente comune alla corte borbonica a Roma, così come riportato nel suo diario) poi incarcerato a Civitavecchia senza processo (fu processato dopo il settembre 1870 da un tribunale italiano). Su Fenestrelle ha già detto tutto Barbero (e attendiamo fiduciosi i nomi del 10 o 20.000 nomi dei prigionieri uccisi come nei lager). Inoltre chi vuole può consultare la Gazzetta Ufficiale del 1861 (precisamente 20-22-24 aprile, 4-6-7-8-20 maggio, 5-12-17 giugno) dove sono riportati i nomi delle migliaia di ufficiali borbonici che passavano nel Regio Esercito Italiano o che venivano collocati in pensione così come gli spettava per gli anni di servizio maturati sotto i Borbone (tutti traditori? e che dire degli svizzeri e i bavaresi che con la capitolazione di Gaeta avevano avuto un trattamento economico da privilegiati?). E se vogliono si vadano a leggere anche la Gazzetta Ufficiale del 12 novembre 1878 quando, dopo 18 anni dopo, venivano compilato l’elenco dei garibaldini presenti a Marsala nei Mille di Garibaldi. Magari si possono informare meglio sul Michele Caruso e sui fatti di Morcone, o della fmiglia Polzella. Perché, non ci dimentichiamo, anche delle tante vittime di questi “partigiani” di cui non si fa nome, forse perché non hanno un valore di “partito” come succede spesso nelle lotte fratricide. Sono storie che si ripetono nel nostro Belpaese e che viviamo anche oggi nell’era del covid19. un cordiale saluto
Egregio Fernando,
grazie innanzitutto per l’attenzione. E grazie per i complimenti, che in buona parte credo di non meritare perché mi limito solo a fare il mio lavoro, che è raccontare fatti e, quando capita, smentire bufale.
Se ha la pazienza di navigare L’IndYgesto, si accorgerà che nel corso di questi anni abbiamo trattato tutti gli argomenti da Lei citati e abbiamo polemizzato a modo nostro con i “produttori” e i “consumatori” del “revisionismo” (in quest’ultimo caso uso le virgolette, perché il revisionismo è una cosa seria: pensiamo a De Felice, Nolte o Furet).
Ripeto, al riguardo, una cosa che dico sempre: noi non siamo migliori di chi alza la voce e insulta il prossimo (ovviamente, non siamo neanche peggiori di loro…). Noi non siamo migliori o peggiori di chi grida al complotto ogni volta che viene contraddetto, magari con tanto di argomenti.
Più semplicemente, siamo diversi, perché è diverso il nostro modo di operare.
Noi non facciamo politica, ad esempio. Certo, abbiamo le nostre idee ma quando scriviamo ce le teniamo per noi perché siamo convinti che i lettori meritino il massimo del rispetto, soprattutto quando hanno opinioni diverse dalle nostre e, come tentiamo di fare noi, sanno sostenerle con motivazioni e documenti.
Noi non aggrediamo le persone e, soprattutto, non mettiamo le cose sul piano personale.
Tuttavia, penso di avere un motivo di gratitudine nei confronti di questi “revisionisti”: se non fosse stato per loro, soprattutto per le loro tesi abborracciate e a volte deliranti, non avrei avuto la possibilità di leggere i saggi, scritti benissimo e argomentati meglio, di Barbero, Lupo, Milicia e tanti altri autori che si sono dati da fare per fermare la deriva di un dibattito antistorico.
Già: se i “revisionisti” non avessero lanciato certe tesi, la comunità degli studiosi si sarebbe astenuta dall’intervenire e noi, come lettori, non avremmo potuto gustarci tanti bei libri.
Per quel che mi riguarda, aggiungo che, se non fossi intervenuto – coi miei pochi mezzi e i miei tanti limiti – non avrei potuto avere lettori come Lei. Che, sono sicuro, non siete pochi. Siete solo educati e non vi si nota perché non fate rumore.
Per questo è giusto darvi voce.
Un cordiale saluto
Saverio Paletta
Non avevo notato questa frase del Sig. Socrate
” Non servono prove a causa dell’evidenza dei fatti. Sarebbe come chiedere a un reo confesso le prove della sua colpa!”
Qundi per Fenestrelle esiste una ” evidenza ” dei fatti che autorizza a parlare di ” 50 mila uccisi e sciolti nella calce idrata ” ? Esiste anche una evidenza dei fatti sulle ” scuole del merione chiuse per 15 anni ” ? Il Sig. Socate e’ in grado di fornirci questa ” evidenza dei fatti ” ?
Mi permetto di intervenire per alcune brevi puntualizzazioni. 1. Dei problemi derivanti dall’unificazione, “grande brigantaggio” compreso, i libri di testo parlano da decenni. Io l’ho fatto in un libro uscito nel 1978, quasi due generazioni fa (per inciso, era un libro di testo coordinato da Sergio Zavoli). 2. La dizione “guerra civile” ricorda che la lotta fu combattuta innanzi tutto addirittura tra compaesani (è sufficiente ricordare i fatti di Isernia e per inciso, nella zona di Pontelandolfo operava anche la “Brigata Sicilia”, composta non esattamente da valdostani. 3. Trovo curioso che il mondo neoborbonico, sostenitore di una dinastia assoluta e per la quale l’alleanza fra “trono e altare” era la base del potere, faccia riferimento (ammesso che il testo citato sia davvero di Gramsci, in genere lo si cita senza averlo letto) al pensiero di un sovversivo fortemente influenzato da Lenin.
Caro Paletta,
Lei sa bene come gli studi al Meridione abbiano portato soprattutto negli ultimi anni ad un grado di consapevolezza che segna un punto di non ritorno. Credere che al Sud si possa ritornare ad una supina accettazione del ruolo subalterno e coloniale che storicamente ci è stato assegnato è una pia (neanche tanto) illusione. Perciò se ne faccia una ragione, e se proprio non ha altri argomenti da contrapporre nel merito dell’analisi storica che non siano la diffamazione e l’insulto, accetti con serenità le denunce e i procedimenti che ne seguiranno. Ma abbia una certezza: che nulla, né Lei né alcun altro più abile di Lei nella manipolazione del discorso, riuscirà a fermare quella che non è “una moda”, come la definisce Lei, ma un processo storico di acquisizione di consapevolezza di un intero popolo che è inarrestabile. Che a Lei piaccia o no. Con buona pace di tutta quella componente “ascara” che in nessuna operazione di assoggettamento coloniale (non ultimo di matrice culturale) è mai mancata. Cordiali saluti.
Sig. Augello , il Sud da quando e’ diventata una colonia va a votare . Prima no . Il Sud da quando e’ diventata una colonia ha una Costituzione. Prima no . Il Sud da quando e’ diventata una colonia , governa l’Italia . Prima era una colonia gestita in multiproprieta’ da Austria, Inghilterra , Francia , Stato della Chiesa. Lei ha recitato bene la lezione che che ha imparato a memoria. Merita i complimenti .
Egregio Augello,
Mi perdonerà se ho spostato nello spam una delle Sue missive, visto che era un copia incolla di questa, a cui Le rispondo, con cui ha tenuto a farmi sapere che qualcuno mi avrebbe querelato.
La prego solo di due cose.
Prima cosa: se davvero è stata sporta querela nei riguardi miei e della testata che ho il piacere e l’onore di dirigere, tenga per se termini come “diffamazione” e “insulto” e lasci che sia un giudice a decidere. Non si sa mai: potrei persino farla franca. E, mi permetto di ricordarle, nessuno – ma proprio nessuno, inclusi i capimafia alla Brusca – si può considerare colpevole di qualcosa fino a condanna definitiva
Seconda cosa, visto che parla di «argomenti da contrapporre nel merito dell’analisi storica», navighi un po’ L’IndYgesto e si accorgerà che di analisi storiche è pieno zeppo.
Non è colpa nostra, mia e degli amici che mi onorano della loro collaborazione, se il corposo dossier che abbiamo messo assieme ha ottenuto un discreto successo. Inoltre, a proposito di insulti, legga bene quello che abbiamo scritto e lo compari con quello che dicono e scrivono di noi molti che sostengono le tesi di Pino Aprile e, più in generale, dei neoborb, di cui Pino Aprile è una sorta di idolo: capirà davvero chi è che insulta.
Va da sé che faccio il nome di Aprile perché Lei sta commentando un articolo, anche piuttosto vecchiotto, dedicato a lui. Avrei fatto il nome di De Crescenzo o di qualche altro “revisionista” se l’articolo commentato fosse stato un altro.
E, a proposito di querele: attendo ancora quella annunciata in “allusione magna” dal presidente del Movimento Neoborbonico a novembre 2018, per presunta diffamazione sistematica.
Mi permetta di dirLe una cosa in estrema, pubblica, confidenza: provengo da una gavetta giornalistica piuttosto dura, fatta di cronaca pesantissima e di inchieste e dossier a carico di “pezzi” e “tipacci” uno più grosso dell’altro. E sì, ho preso le mie brave querele, ma sono riuscito a dormire lo stesso perché so che fa parte della mia professione. Lo sapevo da quando, un bel po’ di anni fa, presi il mio primo tesserino: quello da pubblicista.
Ho continuato a esserne cosciente quando, sempre un po’ di anni fa, sono diventato professionista dopo anni passati in molte redazioni e a frequentare le aule di Tribunale come cronista e a difendermi dalle accuse che qualche notabile mi muoveva di tanto in tanto.
Tutto questo per dirLe che, nonostante tutto, sono vivo, al punto da risponderLe in piena “controra”, e che le querele non mi impressionano. Anche sulla base di una constatazione banale: chi accusa deve provare le sue accuse. Poi si vedrà.
Altra cosa: verifichi pure la quantità di articoli dedicati ai “revisionisti” che mi avrebbero denunciato (passerò all’indicativo quando riceverò la richiesta di identificazione e l’avviso di garanzia): non sono pochi ma sono solo una parte dell’archivio di un magazine in cui si parla di tutto, persino di musica e cultura rock. Tutto questo per chiarirLe che i Suoi beniamini non sono una mia ossessione ma che mi occupo di costoro solo perché trovo molta della loro produzione una collezione di svarioni e fake, che diventano pericolosi nell’attuale crisi del Paese.
È una mia opinione? Senz’altro. Ma, tranne che la denuncia non verta su qualche dettaglio, avremo modo di chiarire tutto in sede pubblica. Beninteso: se le accuse verranno ritenute attendibili dagli inquirenti, che presumo abbiano altro e di meglio da fare.
Però una cosa non la tollero: si rimangi il termine “ascari”, che è razzista e offensivo. Gli “ascari” (che vuol dire “soldati” e non “servi”) furono soldati africani valorosissimi che seppero combattere e morire per l’Italia più e meglio degli italiani. Essere considerato “ascaro” per me è un onore, ma eviti per cortesia queste allusioni spregiative. Magari il nipote di qualcuno di questi validissimi soldati potrebbe offendersi…
Per finire: non accusi il prossimo di manipolare. Non lo sa che è offensivo e diffamatorio?
Cordialmente,
Saverio Paletta
Egr. Paletta,
Inutile che le dica che ormai anche i testi scolastici, tradizionalmente conservatori raccontano della cosiddetta “guerra al brigantaggio” come di una guerra civile che portò alla mobilitazione di un numero di soldati e ad un numero di morti superiore alle tre guerre di Indipendenza messe insieme. Inutile che le ricordi il giudizio espresso in merito a ciò che espresse Gramsci (“Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono d’infamare col marchio di briganti.“), inutile anche che le ricordi chi davvero fossero gli Ascari, cui dice di onorarsi di essere assimilato, i quali come è noto furono truppe africane collaborazioniste al soldo degli europei colonizzatori che si vendettero all’invasore concorrendo al massacro delle proprie genti (non certo “valorosi soldati” come li definisce lei…
Ed è inutile non perché non sappia queste cose, ma perché ha ragione lei quando dice che ciascuno ha i suoi beniamini.
Unicuique suum (L. Sciascia)
Cordiali saluti
P. S. : Eviti gentilmente di rispondere, perché non troverebbe sponda in me… Non perché non sarei nelle condizioni di farlo, ma semplicemente perché mi rendo conto che sarebbe assolutamente inutile.
A ciascuno il suo
Informo il signor Augello che “unicuique suum” è un motto che si trova sulla testata dell’Osservatore Romano”, che lo ha ripreso probabilmente da Ulpiano. Sciascia si era limitato a citarlo, attribuirglielo è un errore.
Egregio Augello,
Tenga per sé le lezioni di storia. I programmi scolastici possono contenere quel che vogliono: ciò non implica l’automatica veridicità di certe tesi, sulle quali (mi permetto di ricordarLe sommessamente) esiste il diritto di critica.
A proposito di Gramsci: siamo davvero sicuri che un autore – a mio avviso niente più che un geniale agit prop – rimosso e mai storicizzato, possa considerarsi attuale?
Infine: gli ascari non erano nemici del “sangue”, ma soldati che tenevano fede al giuramento di fedeltà al re d’Italia e difendevano la propria gente che comunque si identificava con l’Italia.
Dopodiché, visto che scrive su un giornale e ne attacca il direttore, mi permetta di dire che rispondo quanto mi pare.
Restituisco la cordialità.
Saverio Paletta
La verità è in quello che si crede e soprattutto come si crede..….. E’ cero che nel meridione è sempre più ridondante la VERITA!
Quale verità?
Gentile dottor Paletta, poichè in qualche intervento se ne è fatto cenno, forse può interessare i suoi lettori conoscere in quale modo l’art. 8 della legge 646/1950 disciplinava l’assegnazione degli appalti:
“Art. 8. La Cassa può affidare l’esecuzione delle opere ad organi dello Stato e ad aziende autonome statali o ne dà la concessione ad enti locali e loro consorzi, a consorzi di bonifica e di irrigazione, all’Opera nazionale combattenti e ad altri enti di diritto pubblico, nonché agli organi per legge autorizzati ad eseguire per conto dello Stato le opere di riforma e di trasformazione fondiaria.
È vietato la subconcessione, sotto qualsiasi forma, delle opere concesse dalla Cassa agli enti di cui al comma precedente.
Per le opere di sistemazione dei bacini montani di competenza forestale la Cassa può anche affidarne l’esecuzione al Corpo forestale dello Stato.
Per le opere che non siano eseguite con le modalità di cui ai commi primo e terzo del presente articolo, la Cassa procede agli appalti, a norma di legge, avvalendosi anche dei competenti uffici del Genio civile e del Corpo forestale dello Stato. A tali uffici, o ad altri competenti organi statali, spetta il collaudo dei lavori compresi nei programmi.
Si osservano, in quanto applicabili, le norme vigenti per l’esecuzione delle opere pubbliche di competenza del Ministero dei lavori pubblici”.
Cordiali saluti.
Nel 1861 parlavano di “Italia” e di “italiani” solo una piccola percentuale degli abitanti della Penisola. Il senso di appartenenza era limitato al paese natale, al barone e al sovrano di riferimento. I “cari bersaglieri di Cialdini” erano considerati stranieri se non pericolosi nemici, soprattutto quando per “rappresaglia” (cioè per vendetta e non per giustizia), bruciavano un paio di paesi e uccidevano “solo” 13 inermi cittadini. L’ex Capitano dei carabinieri a cavallo dell’esercito delle Due Sicilie Cosimo Giordano nel 1861 aveva una fedina penale più leggera di Giuseppe Garibaldi, fu considerato “brigante” e non eroe solo perché stava dalla parte degli sconfitti.
Non so in quale archivio Socrate ha trovato i documenti con le fedine penali di Garibaldi. Ovviamente e’ stato condannato , ma come cospiratore. Quindi una ” carriera del tutto diversa di quella si Carmine Crocco.” I cari bersaglieri di Cialdini ” anno 1861 , erano per il 45% meridionali . Socrate puo’ consultare gli archivi dello Stato Maggiore. E le 13 vittime erano 13 , non 300 , non 1000, e non 2000 come ha scritto qualche storico che va a ” spannometro ” Se sono 13 perche sparare cifre a vanvera ? Garibaldi stava dalla parte dei vincitori ? Ma Socrate ci sa dire se nella sua avanzata verso Napoli c’e’ stata un minimo di resistenza popolare ? Di solito gli invasori non fanno 600 / 700 km in poche settimane se il popolo non li gradisce. Quindi Garibaldi stava dalla parte del popolo . Socrate sta dalla parte della tirannia? Non ci sono problemi , in fondo Hitler aveva milioni di seguaci.
Egregio Socrate,
vengo meno, stavolta, alla promessa di non risponderLe (Le ricordo: questo è un giornale online e non un social) giusto perché mi fa simpatia il suo stalking.
Vengo ai punti.
1) i bersaglieri (e non solo di Cialdini) furono considerati “stranieri” solo da quelle parti della popolazione del Sud, tra l’altro non maggioritarie, sensibili alla propaganda borbonica e contigue ai briganti. C’è quanto basta per creare un immaginario ma non per dare l’idea di un consenso diffuso verso l’ex Casa Reale (che tra l’altro non c’era…).
2) Pontelandolfo e Casalduni: le 13 vittime furono, come usa oggi dire nel gergo militare, “castualties”. Io le definisco tragedie. Ma l’esatta ricostruzione di quelle vicende, iniziata in tempi recenti da Davide Fernando Panella e proseguita da Giancristiano Desiderio, dovrebbe far capire come il Regio Esercito non avesse volontà genocidiarie di sorta. In questo caso, contano i dati. E i dati ci dicono che i due paesi non vennero neppure rasi al suolo, come al contrario insiste la vulgata neoborb.
3) Non dubito che la fedina penale di Garibaldi fosse chilometrica e, di sicuro, superiore a quella di Giordano. Infatti, quelli a carico dell’Eroe dei due mondi erano i capi d’imputazione tipici dei regimi assoluti nei confronti dei “sovversivi”, cioè accuse politiche. Ben più gravi le accuse a Giordano precedenti e immediatamente successive alla battaglia del Volturno, visto che si trattava di reati comuni, tra cui un omicidio. Giordano avrebbe finito in galera i suoi giorni anche in seguito ad accuse comuni, quali estorsione, furto e rapina. L’ideale per un “eroe”, no?
Ciò detto, Le ricordo che di queste vicende ci siamo occupati a lungo in questo magazine. Le consiglio di nuovo di spulciarlo. Se ha dei dati, replichi pure: saremo lieti di imparare qualcosa. Se, invece, insiste senza peraltro rivelarci la Sua reale identità, terrò fede alla mia promessa e, per usare la sua espressione, la “censurerò” volentieri.
Saluti
Saverio Paletta
Saverio Paletta non intendo offendere i lettori e tanto meno intendo mancarle di rispetto. Che mi firmi Socrate o Mario Rossi non cambia il senso dei miei interventi. Io non sostengo tesi personali, mi limito a riportare fatti facilmente riscontrabili e verificabili da chiunque. Piuttosto le prove del contrario di quello che scrivo dovrebbe produrle lei, visto che mi dà del bugiardo.
E’ evidente che Giuliano Amato non è uno storico di professione, il suo ruolo istituzionale è stato semplicemente quello di riconoscere un torto commesso ai danni di una intera popolazione da storici scorretti.
Continuerò a scrivere anche senza le sue gradite risposte. Spero non vorrà censurarmi!
Le ripeto per l’ennesima volta: importa a tutti sapere chi Lei sia, perché questo non è un social ma un giornale.
Dopodiché, se ha la pazienza di spulciare L’IndYgesto troverà parecchi articoli in cui abbiamo abbondantemente smantellato lo storytelling neoborb con tanto di documenti, inclusa la vicenda di Pontelandolfo, sulla quale Amato si è incautamente sbilanciato.
Non è il caso, in questa breve risposta, di elencarle tutto il lavoro fatto: c’è ed è disponibile. Lo legga e poi magari risponda pure: se lo farà con dati veri, saremo lieti tutti di apprendere cose nuove.
Saluti,
Saverio Paletta
Ps: qui non si censura nessuno. Semmai è capitato a me di essere “censurato” in un dibattito con Pino Aprile, episodio documentato in questo magazine con tanto di articoli a corredo.
Lei mi chiede: sulla base di quali prove sostiene che la “narrazione” sulle vicende risorgimentali sia stata non corretta?
La “narrazione” è stata talmente scorretta che non occorrono prove per capirne la falsità. A titolo di esempio mi limito ad accennare solo alcuni curiosi accadimenti.
Il famoso furto del “Piemonte” e del “Lombardo” non è mai avvenuto. Rubattino si incontrò a Modena in gran segreto con il Re V.E.II e Benso il 4 maggio 1860 alla presenza del notaio Baldioli per acquistarli a caro prezzo. A tutt’oggi non c’è un solo testo scolastico che ne fa cenno.
I criminali di guerra Pier Eleonoro Negri ed Enrico Cialdini ancora oggi sono ritenuti mitici eroi Risorgimentali.
La triste fine di Ippolito Nievo e del suo prezioso carico di documenti compromettenti è ancora riportata come semplice disgrazia…
Quanto agli incontri di Benso e Lanza, peraltro notturni e segretissimi, non c’è stato nulla di male, è vero, perché allora raccontare le frottole sull’epopea garibaldina?
Egregio Socrate,
Le rispondo solo per far capire ai lettori l’assurdità del suo ragionamento.
Su questa scia, lei manderebbe in galera una persona solo perché è così palesemente ladra o assassina che non servono prove…
Infatti, senza aver letto un emerito nulla, al di fuori di certi deliri revisionisti, insiste con la storia di Negri e Cialdini “criminali” ecc, ecc.
Inoltre, una cosa è appassionarsi a letture suggestive e dietrologiche (noi giornalisti, in fin dei conti, campiamo anche di questo) altra è bersi “controstorie” come se fossero distillati di verità.
Detto questo, di fronte all’inutilità di qualsiasi ragionamento, è inutile insistere… Le piacciono i revisionisti? Faccia pure. Ma eviti questi comportamenti da troll oppure, ci metta la faccia e si firmi.
Saverio Paletta non ciurli nel manico, ha capito benissimo il senso del mio paradosso e sono certo lo avranno capito anche i suoi lettori. Non servono prove a causa dell’evidenza dei fatti. Sarebbe come chiedere a un reo confesso le prove della sua colpa!
Tuttavia le ricordo che Giuliano Amato per nome e conto del Presidente della Repubblica pro tempore Giorgio Napolitano ha chiesto formalmente scusa ai cittadini di Pontelandolfo e, per quanto mi riguarda, alla Storia (quella con la S maiuscola). A tal proposito consiglio la lettura dell’articolo dell’ottimo Gian Antonio Stella del 14 agosto 2011 sul Corriere della Sera. Sicuramente lei avrà letto molto più di me, ma vede il problema non è quanto ma cosa si legge e cosa si comprende.
Ebbene si mi piacciono i revisionisti, uomini liberi che non si stancano mai di cercare.
Egregio Socrate,
questa è l’ultima volta che le rispondo. Se vuole proprio fare il troll, ci metta almeno la faccia, perché questo è un giornale online e non una pagina social.
Quindi, chiederle un minimo di rispetto per i lettori è doveroso.
Detto questo: uno può sostenere quel che vuole. Purtroppo, occorrono prove, che né lei né i suoi “revisionisti” avete fornito.
Di questo può facilmente rendersi conto anche navigando L’IndYgesto, dove abbiamo pubblicato un corposo dossier sull’argomento.
Inoltre, la invito a essere educato: io, che faccio informazione coi miei sacrifici (e sì, anche coi miei limiti), e lei, che si limita a fare l’ultrà senza nemmeno dirci chi è, non siamo proprio uguali.
Per il resto: le risulta che Giuliano Amato sia uno storico?
Saluti
Saverio Paletta
L’economia mista italiana degli anni cinquanta e sessanta, ha arricchito le industrie e le attività commerciali del nord determinando la nascita di una classe dirigente onnipotente. Questa vera e propria casta dominante non consentiva a nessuno, se non solo in apparenza, di decidere o di scegliere. La “classe dirigente del Sud” non era “inadeguata” perché, semplicemente, non esisteva!
Vale la risposta precedente. Però visto che lei cita il periodo storico (anni ’50 e ’60) in cui la “forbice” tra Nord e Sud si è ridotta al minimo (circa sei punti) mi permetterei di rinviarla alle analisi di due storici del calibro di Paolo Macry (napoletano) e Salvatore Lupo (siciliano), i quali affermano che il Sud è senz’altro cresciuto meno del Nord, ma è cresciuto molto comunque, e in misura ben maggiore di quanto sarebbe potuto crescere al di fuori di un contesto unitario (e, aggiungo io, di Stato accentrato con poche autonomie).
Ora, immagino che il suo bagaglio culturale le consentirà di smentire agevolmente anche questi due autori…
Penso che Pino Aprile faccia un disservizio e arrecchi un danno al Sud, perche’ con la sua narrativa vuole creare un alibi al degrado del Sud. Le condizioni del Sud odierno hanno dei nomi e cognomi, sono i politici meridionali che in maniera predominante hanno gestito la politica nazionale italiana dal dopoguerra ad oggi con risultati fallimentari. La Cassa del Mezzogiorno nasce nel 1951, fiumi di denaro sono confluiti in questa Cassa e a tutt’oggi dobbiamo constatare che la questione meridionale e’ ancora irrisolta, i soldi sono volatizzati, ,nessuno e’ responsabile, mentre le varie cosche criminali secondo’l’Economist portano a casa 10 punti del PIL e secondo la procura di Catanzaro 90 miliardi di euro all’anno.
Allora da Veneto deve reiterare che la Repubblica Veneta non aveva bisogno dei soldi borboniani, era’ gia’ prospera per conto suo fino a che Napoleone non decreto’ la fine nel 1797. Caduto Napoleone arrivarono gli Austriaci fino al 1866, quando fu annessa al Regno d’Italia con un plebiscito truffa, 641.757 si, 69 no, 366 schede nulle. Con i Savoia arrivarono poverta’ e degrado, causando emigrazioni di massa verso il Sud America alla fine dell’ottocento, nell’immediato dopoguerra verso il Belgio con l’accordo di Saragat: tante braccia tanto carbone, poi anche verso il Nord Europa, Australia e Canada. Piano piano il Veneto e’ passato da economia agricola a economia industriale, la provincia montana come Belluno e’ diventa la capitale mondiale del’occhialeria, Vicenza polo mondiale dell’oreficeria con l’aggiunta del settore tessile con Lanerossi e Marzotto, Verona centro di produzione del mobile.
Questo e’ stato possibile con il duro lavoro e la buona amministrazione. Se questo miglioramento e’ stato possibile per il Veneto non si capisce perche’ non e possibile nel Meridione. Quando Pino Aprile punta il dito contro il Nord fa pura demagogia, il Veneto con la questione Meridione-Casa Savoia e’ estraneo, il Veneto si e’ fatto da solo senza chiedere niente a nessuno, piuttosto e’ stato derubato, pero’ le accuse di Regione egoista sono gratutite e infondate.
Diceva Kennedy nel suo discorso inaugurale il 20 gennaio 1960: Chiedeti cosa puoi fare per il tuo paese e non cosa il tuo paese puo’ fare per te.
Il Meridione deve assumersi le sue responsabilita’ e diventare protagonista del proprio destino. Piangersi addosso o cercare alibi non aiuta, come pure la narrativa di Pino Aprile.
La Cassa del Mezzogiorno (legge 646 del 10 agosto del 1950) soppressa “formalmente” nel 1984 da Bettino Craxi e definitivamente nel 1993 da Giuliano Amato, investì per il Sud circa 140 miliardi di euro. All’inizio funzionò: si costruirono alcuni chilometri di strade, qualche fognatura e poco altro. La legge però aveva un “difetto”: gli enti locali potevano aggiudicare gli appalti attraverso trattative dirette evitando le gare. Fu così che “Si precipitarono quindi nel Sud le industrie del Nord, che fecero man bassa” (Gerardo Marotta). Qui non restò altro che miseria, degrado e rabbia, tutta la ricchezza finì così nelle regioni del nord.
Belluno è diventa la capitale mondiale del’occhialeria grazie anche ad un emigrante barlettano!…
Mi scusi, che c’entra la Cassa per il Mezzogiorno? Quello che scrive rafforza semmai la tesi opposta alla sua: l’inadeguatezza della classe dirigente (inclusa quella imprenditoriale) del Sud.
P.S. Mi scuso con Paletta per l’errore nella grafia del suo cognome.
Noto che molti lettori, nel replicare a Saverio Palertta che ringrazio per la liberalità con la quale ospita i miei interventi, affermano che Aprile “cita sempre le sue fonti”. Ora, a parte il fatto che dovremmo chiarire il concetto di “fonte”, faccio un esempio proprio delle fonti e del metodo usati da Aprile. Commentando sarcasticamente un articolo di Andrea Mammone sullo sciocchezzaio neo-borbonico apparso sul “Corriere della Sera” il 2 settembre 2018, il giorno 4 su Algonews Pino Aprile ci informava – ma l’aveva già fatto nel libro “Terroni” – che il Regno delle Due Sicilie era talmente avanzato sotto il profilo tecnologico che «lo stesso Piemonte comprò a Napoli le locomotive per la sue rete ferroviaria». Il buon Aprile ignorava – e ignora – che quella pretesa vendita è uno smaccato falso, malgrado si tenti di accreditarlo con una citazione bibliografica completa perfino del numero delle pagine (107, 137 e 139) del volume “Il centenario delle Ferrovie italiane 1839-1939”. Peccato che quel testo, pubblicato dall’I.G.D.A. di Novara nel 1940, alla p. 107 riporti effettivamente soltanto i nomi delle locomotive prodotte a Pietrarsa su modello inglese – e spesso con materiali giunti dalla “perfida Albione” – ma non solo nelle pp. 137 e 139 non contenga una sillaba sulla pretesa vendita che non ci fu mai – e non avrebbe potuto esserci perchè Pietrarsa era uno stabilimento militare e non poteva esportare alcunchè – ma precisi a p. 338 che le sette locomotive furono consegnate «alla Reale Strada Ferrata Napoli-Capua». Non solo l’acquisto delle locomotive da parte delle ferrovie sarde dunque, ma anche la citazione, sono letteralmente inventate.
Saverio Paletta, che in 150 anni i rapporti di ricchezza tra nord e sud si siano invertiti è un dato di fatto, che questo stato di cose sia casuale è difficile crederlo, se guardiamo le statistiche quando questo avviene è perché c’è qualcuno che opprime e fagocita qualcun’altro. Non le piace Aprile e disprezza il suo successo letterario questo è evidente, mi dispiace ma in questa storia lei risulta il meno credibile di tutti.Negare serve solo a lasciare che le cose rimangano così come sono e sinceramente io apprezzo di più chi cerca di cambiarle in meglio.
Egregio Saponaro,
Una premessa è indispensabile: non disprezzo nessuno, non a livello personale. In questo articolo mi sono limitato a rilevare che Pino Aprile non ha l’attitudine, la cultura e il distacco necessari per occuparsi di storia.
Detto questo, ognuno è libero di credere a quel che vuole. Mi permetto di rispondere anche a lei con una domanda che rivolgo a tutti i contraddittori: è vero o no quel che ho scritto? Se non è vero (oppure è sbagliato), prego lei come ho pregato tutti, di fornirmi i dati concreti che dimostrano come e perché sono in errore: magari è la volta che imparo qualcosa. Ma se, anche per puro caso, risultasse che non ho detto cose inesatte, non sarebbe il caso di tacere?
Visto che ci siamo, mi permetto di rivolgerle qualche altra domandina. Siccome sono convinto che la cosiddetta “inversione dei rapporti di ricchezza” non ci sia stata perché, semplicemente, non c’era alcuna ricchezza diffusa da invertire (parlo di pil pro capite, come avrà intuito, e non di eccellenze inattingibili per i più), sarei curioso di conoscere queste fantasmatiche statistiche, con la speranza che lei possa darmi (e darli soprattutto ai lettori de L’IndYgesto) i lumi che nessun altro è riuscito a fornire.
Detto questo, auguro ad altri di riuscire a risollevare le sorti del Sud.
Sa: in venti anni di cronaca pesante, trascorsi in stralarga parte a denunciare il malaffare della mia Calabria (e ad espormi con perfetta incoscienza ai rischi che comportano tutte le denunce), non mi è proprio riuscito di smuovere una mezza coscienza. Probabilmente perché non scrivo bene come Aprile & co.. Ne prendo atto e me ne faccio una ragione…
Ma, mi creda, non nego un bel nulla (non si può negare ciò che si nega da sé perché, semplicemente, non esiste) e la mia passione civile ribolle ancora.
Detto questo, voglia gradire i miei
Cordiali Saluti
Saverio Paletta
A proposito di meridione, meridionalismo, questione meridionale, vorrei aggiungere di mio questo. È indubbio che il Regno delle due Sicilie e di Napoli era un regno degno di questo nome, numeri alti per popolazione, ricchezza dei monumenti, secolare durata del regno. È stato un colpo di stato con furto e scasso ai danni di questa dinastia i Borbone che non erano né migliori né peggiori di tanti alti stati europei, comunque era uno Stato onorabilissimo, una delle capitali più importanti del mondo intero, una marina tra le più antiche al mondo. Purtroppo un miserando staterello del regno giovanissimo dei Savoia (1723 o giù di Lì) si trova al momento giusto nel posto giusto. E così nasce il Regno di Italia, dopo secoli di divisione ci possiamo dire italiani anziché piemontesi, duosiciliani, toscani ecc. Tralascio di evidenziare che il Regno di Napoli risale almeno all’epoca di Federico II cioè 1220. Che qui ci sono le radici dell’italiano parlato da Dante, Petrarca e Boccaccio, che tutto è nato a Napoli, teatro, musica, poesia, SanCarlo non è secondo a nessun teatro d’opera e Mozart aveva ricevuto un ingaggio dal re di Napoli. Dove sarebbe rimasto se il padre non avesse tramato per Salisburgo e poi Vienna, capitale di un Impero. Ma oggi che sono trascorsi più di 150 anni da quella data gli studiosi si dividono su numeri ed esiti. Restano i fatti, di un sud ricchissimo di ogni bene, materiale e immateriale, passato o presente, ma poverissimo di uomini oggi degni di un tale passato, che non sa dare il giusto peso ai suoi candidati politici e scema verso il plebismo. Questo è la deriva del presente. Dove ancora leggo e sento testimonianze di chi al civilissimo nord invoca di essere liberato da quelli del. SUD TERRONI E puzzolenti. Frasi incomprensibili, segno di una scuola che ha fallito sul piano civile e costituzionale.
Spero non mi si consideri troppo fastidioso se mi permetto di aggiungere poche considerazioni a quanto scritto dal dottor Paletta. 1. Non è mai esistito un “Regno delle Due Sicilie e di Napoli”. È esistito, e di quello parliamo, il Regno delle Due Sicilie, nato grazie ad un gioco lessicale l’8 dicembre 1816. Pochi ricordano poi che Vittorio Amedeo II era diventato re proprio ottenendo la Sicilia (il suo regno durò dall’11 ottobre 1713 al 2 novembre 1720), e solo successivamente dovette cedere la Sicilia a Carlo VI d’Austria, ricevendo in cambio la Sardegna. 2. Rispetto molto il patriottismo napoletano della signora Candelise ma purtroppo il sud “ricchissimo” non lo era affatto nel XIX secolo, anzi proprio la leggenda della sua ricchezza causò molti equivoci nel momento della nascita del Regno d’Italia. 3. Che vi siano ancora oggi frange degli abitanti delle regioni settentrionali piene di pregiudizi anti-meridionali è certo vero (e molti di essi sono, come la signora saprà, meridionali), ma meno di quanti non fossero negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo passato; quando, a dire la verità, molti di noi si battevano in quei territori per affermare i diritti degli immigrati – che dormivano spesso nelle cascine abbandonate della pianura padana, per non dir d’altro – ma al nostro fianco degli attuali “meridionalisti” non vedevamo neppure l’ombra.
Cara Anna Letizia,
Innanzitutto, grazie per l’attenzione.
Vengo al dunque: dire se il Regno delle Due Sicilie sia stato un Paradiso Mediterraneo usurpato, depauperato e devastato dai “piemontesi” non tocca a me, che sono solo un giornalista, né ai lettori: è compito degli storici professionisti.
Per il resto, si può affermare una cosa: il Sud ricco e potente distrutto da un colpo di Stato (per usare la Sua espressione) e quindi ridotto ad area marginale non è mai esistito. Certo, ci sono zone depauperate dai rivolgimenti politici e dalla storia: pensiamo alle zone della ex Ddr, che ai tempi del Reich guglielmino erano floridissime e poi sono state devastate dalla guerra e depresse dal regime comunista. Ma quello tedesco è un caso eccezionale, determinato da rivolgimenti catastrofici e cambiamenti epocali.
Il che non è avvenuto nel Mezzogiorno.
Quindi, il Sud paradisiaco, dipinto dalla propaganda borbonica, ripresa dai “revisionisti” antirisorgimentali non è mai esistito.
Ma non è mai esistito neppure il regime infame che deprimeva il proprio territorio dipinto dalla contrapposta propaganda risorgimentale.
La verità sta nel mezzo? Proprio no.
I tanto vituperati Borbone hanno avuto una colpa sola: l’incapacità politica di promuovere e completare le riforme che essi stessi avevano progettato e che avrebbero, se realizzate, potuto modernizzare il loro Regno. E chissà… magari l’Italia l’avrebbero potuta unire loro.
Il piccolo Regno di Sardegna ebbe, in effetti, una marcia in più: una classe dirigente selezionata non più solo tra la nobilità, ma soprattutto nei ranghi di una borghesia perfettamente sintonizzata su quel che accadeva in Europa. Una classe politica di cui le Due Sicilie, per colpa della miopia dei Borbone, era sprovvista.
Concordo sulle grandezze passate del Sud. Ma erano passate anche negli anni ’50 del XIX secolo, quando la partita si giocava con altre carte.
Tra queste, non secondaria la geografia, visto che il centro propulsore dell’economia e della civiltà non era più il Mediterraneo dei tempi di Federico II ma l’Atlantico.
Come vede, questi pochi dati sono complessi e non di immediata lettura. E tuttavia danno una cornice credibile per capire cosa fosse successo.
Per capire come mai un territorio (il Mezzogiorno) ricco di potenzialità e non privo di eccellenze fosse in declino e come altri territori, politicamente più “giovani”, fossero in ascesa.
La storia è troppo complessa per essere ridotta a slogan o per capirla sulla base delle nostre preferenze ed emozioni senza dare importanza al resto.
Ancora grazie e spero che quel che leggerà sul sito, se avrà la pazienza di navigarlo, sia di Suo gradimento.
Saverio Paletta
E’ saltato ilmio nome, sono Leonardi Salvatore
Egregio Sig. Paletta, trovo stimolanti le sue osservazioni su quanto da me scritto. Tuttavia sento la necessità di proporle alcune precisazioni anche in relazione a quanto aggiunto alla discussione dal sig. Marinelli. Mi avete fatto osservare che Gramsci era un teorico rivoluzionario e quindi le sue critiche erano subordinate alla ricerca del successo delle sue teorie per il sovvertimento dello stato liberale e poi fascista dell’epoca. Allora voglio sperare che una citazione dello storico napoletano Pasquale Villari (1827-1917) sia per voi fonte attendibile ed incontrovertibile. Scriveva dunque il Villari “Quando torno a Napoli ritrovo le cose come le lasciarono i Borboni… i medesimi infelici, forse ancora più oppressi, più affamati di prima…i borghi sono oggi purtroppo quel che erano prima” e ancora “Il Governo costituzionale è in sostanza il regno della borghesia. La classe dei proprietari, in mancanza d’altra, divenne governante, e i municipi, le province, le opere pie, la polizia rurale furono nelle sue mani”. Questo per dirle che sono ben conscio della pochezza delle classi dirigenti meridionali dell’epoca e attuali. Ma… ma allora uno stato unitario ci dovrebbe essere anche per riformare ciò che non funziona e invece da oltre 150 questo cancro che concorre, con gli interessi e gli egoismi localistici del Nord a tenere in scacco una rinascita dei territori del Sud è ancora lì. Si è solo trasformato in clientele che controllano voti perché tutto cambi senza che nulla cambi. Ricorda la politica della DC?: voti in cambio di assistenza e di posti, non di lavoro, ma di posti, meglio se fissi, un “do ut des” che ha reso ancora più succubi le popolazione meridionali. Ricorda la scarpa destra promessa dal cosiddetto “Comandante” Lauro in cambio del voto e consegna della scarpa sinistra ad elezioni avvenute? Diseducazione per controllare, economia di sussistenza per non reclamare diritti e dignità fondata sui bisogni che devono restare a livello di sussistenza altrimenti il giocattolo non funziona più. Politica assistenzialista per una politica economica di sottosviluppo programmato.
Per quanto riguarda Bruno Giordano Guerri e Pino Aprile stigmatizzati per aver cavalcato l’onda delle celebrazioni del 150mo anniversario dell’Unità d’Italia per lucrare con libri, definiti tutto sommato propagandistici di un meridionalismo straccione di ritorno, mi lasci dire che non concordo affatto. Secondo lei non è proprio in concomitanza di anniversari, di ricorrenze, di fatti accaduti che fiorisce una letteratura relativa a questi fatti? Si parva licet allora cosa dovremmo dire a tutti quelli che editano libri in coincidenza del 500mo anniversario della morte di Michelangelo quest’anno o dell’Imperatore Augusto qualche anno fa? Queste considerazioni hanno il sapore di strumentalizzare un fenomeno sempre più palpabile di una parte non piccola di popolazioni meridionali che cominciano a mal tollerare un paese ostaggio degli appetiti egoistici di una sola parte del paese e che da ultimo vorrebbero ulteriormente penalizzare le popolazioni meridionali con un concetto di autonomia espressamente escluso dalla nostra Costituzione.
Per quanto riguarda più specificatamente le osservazioni del sig. Marinelli, ritengo che abbia mal interpretato, forse a causa di una mia inadeguata e poco chiara esposizione, che gli episodi da me accennati: Pietrarsa, Mongiana, le industrie tessili del Salernitano, erano esempi volutamente sparsi temporalmente in un lungo arco di tempo per significare che la politica economica del Regno d’Italia ha costantemente penalizzato, o se preferisce premiato, una sola parte del nuovo Regno. E proprio in riferimento a quei singoli episodi che si appalesa un approccio duale di politica economica. Se è vero che Mongiana era sì mal servita logisticamente, il Governo aveva due scelte: chiudere e trasportare tutto a Terni, come avvenuto, o collegare con infrastrutture appropriate la fonderia. Pietrarsa ha chiuso da qualche decennio ed ora è solo un museo, bello, ma museo. E perché, visto che lì, prima dell’Unita d’Italia si produceva tra l’altro materiale ferroviario con un numero di operai che non aveva quasi riscontro nel resto d’Italia ed era un polo ben collegato col porto di Napoli si è preferito dare impulso ad altre zone d’Italia, guarda caso tutte situate nel nord d’Italia. E’ pur vero che il triangolo industriale Torino, Milano, Genova non esisteva ed una politica protezionista e di investimenti massici ne ha permesso lo sviluppo. Ma allora non è contraddittorio dire che se non esisteva al Nord come al Sud bisognerebbe chiedersi come mai poi la “rivoluzione industriale” ha coinvolto solo una parte d’Italia e non l’altra? Come si fa a non pensare che una parte non sia sempre e comunque discriminata dall’altra fin dal 1860? Come si fa ad accettare una contraddizione così stridente tale da far accettata come normale che nel 2019, Matera, Capitale Europea delle Cultura, non ha dopo 150 anni un treno che la raggiunga? Non aggiungo altro, ma tengo a precisare che la mia partecipazione a questo dibattito è solo il desiderio di dimostrare che una politica unitaria e paritaria tra territori dello stesso paese ha una lunga storia iniziata e mai veramente mutata dall’ormai lontano 1860. Una unità siffatta appare essere solo una “Malaunità”.
Egregio Leonardi,
Lei cita senz’altro delle fonti prestigiose. Ma non sono né possono essere le uniche in un dibattito così complesso come quello relativo alla Questione Meridionale.
A proposito di fonti, mi permetto di rinviarLa agli studi recenti di Salvatore Lupo, Paolo Macry ed Emanuele Felice (tre meridionali) che sostengono quanto segue:
1) il Sud, dopo l’Unità è cresciuto tantissimo. Non come il Nord ma è crescito;
2) il Sud è cresciuto soprattutto in regime di accentramento amministrativo. Con l’istituzione del regionalismo la crescita è rallentata e poi è iniziata la regressione, che ci ha portati al disastro attuale;
3) il Sud è arrivato alla prova dell’Unità con una classe dirigente (mi riferisco soprattutto alla burocrazia e al ceto proprietario-imprenditoriale) inadeguata e, quel che è peggio, con un sistema sociale arretrato.
Morale: molte colpe sono soprattutto nostre.
Veniamo alle eccellenze: Lei cita Mongiana. Benissimo: le rispondo che nessuno volle smantellarla per cattiveria. La ferriera funzionava in un sistema protezionista (quello duosiciliano) e grazie a un committente unico (lo Stato). Finita quella situazione, non ha retto il mercato. Ecco tutto.
Il governo unitario doveva dotare di infrastrutture il Sud? Certo, e lo ha fatto: parlano le statistiche. Ma non sarebbe bastata la bacchetta magica a costruirne di adeguate per consentire a uno stabilimento industriale sito in una zona marginale di recuperare il gap in tempi brevissimi.
Infine: andiamoci piano con la critica alla Dc meridionale: questo partito produsse anche un gigantissimo come Aldo Moro. Glielo dice un laico a prova di bomba…
Per il resto, La invito a vagliare con spirito più critico le fonti: il Sud, checché ne pensino certi meridionalisti (coi quali da meridionale orgoglioso di essere tale non mi identifico) e certi revisionisti, non è il centro dell’universo. E, a conti fatti, la deprecata Unità ha fatto un regalo a tutti: la possibilità di discutere in maniera civile che, mi creda, altrimenti non avremmo avuto.
Cordiali saluti e, di nuovo, grazie per l’attenzione.
Saverio Paletta
Voglio solo aggiungere che tanti storici di alta levatura hanno parlato del Sud come terra di conquista dei Savoia. Ne cito uno di grande mestiere, come Giordano Bruno Guerri, con tutti i “distinguo” di metterlo a confronto con Aprile, che ha scritto un pregevole libro ” Il sangue del sud ” con un sottotitolo inequivocabile, Antistoria del Risorgimento e del brigantaggio, con una ricca bibliografia. La tesi di fondo del libro è la stessa: il Sud Conquistato, a dispetto del patriottismo risorgimentale. , come una colonia del Nord..
Un saluto.
Egregio Francesco,
Se fosse stato colonialismo, c’è da dire che dieci anni di guerra civile con un totale di circa 15mila morti (tra militari, briganti e vittime civili soprattutto di questi ultimi) non sono stati un buon affare.
Per Giordano Bruno Guerri vale un discorso più sfumato rispetto ad Aprile: è un buon giornalista, a tratti molto brillante, ma non è uno storico.
Non contesto la qualità della scrittura e delle argomentazioni, ci mancherebbe. Dico solo che titoli o sottotitoli come “controstoria” o “antistoria” dovrebbero far riflettere: il più delle volte sono dei titoli “urlati” per cavalcare mode culturali. E non è un caso che questo volume di Guerri sia uscito, come il grosso della produzione di Aprile e Gigi Di Fiore, a cavallo delle celebrazioni del centocinquantesimo dell’Unità d’Italia.
Furbate per accattivarsi i malumori del pubblico meridionale.
Dia retta a me, che faccio il giornalista e, a dispetto delle tante difficoltà, sono orgoglioso di farlo: lasciamo la storia agli storici, magari con la preghiera che usino un linguaggio più chiaro…
Ricambio il saluto
Mi scuso se intervengo, ma avendo appena pubblicato un libro sull’economia siciliana in età borbonica e dunque avendo studiato questo problema, mi permetto di rettificare, senza alcuno spirito polemico, alcune affermazioni che il signor Leonardi ripete da Antonio Gramsci. Dopo il 1860 le industrie manifatturiere del Nord (e già l’uso del vocabolo “Nord” richiederebbe più di una puntualizzazione) erano troppo deboli per poter trasformare il Sud in un mercato di consumo dei loro prodotti industriali e questo non solo nei settori “nuovi” quali l’industria meccanica ma anche in quelli tradizionali come il settore tessile. Per evitare di annoiare i lettori con numeri e citazioni, rimando soltanto a R. Romeo, Breve storia della grande industria in Italia 1861-1961, Bologna, Cappelli, 1961, pp. 16-22. Bisognerà aspettare quasi la fine del secolo perché in Italia si abbia la prima, vera “rivoluzione industriale”, che avrà come teatro principalmente Lombardia, Piemonte, Liguria per un insieme di ragioni complesse: ma dal 1860 erano ormai trascorsi quasi quarant’anni. Quanto alle industrie tessili del salernitano, dopo una breve crisi post-unitaria, ripresero a macinare utili: quanto poi accaduto dopo il 1918, non ha alcun rapporto ovviamente con le vicende dell’unificazione nazionale.
Inutile precisare che non vi fu alcun esproprio di Pietrarsa, che continuò a funzionare fino al 1975, e che la maggiore società di navigazione post-unitaria apparteneva prima a Vincenzo, quindi a Ignazio Florio che non erano esattamente valdostani. Su Mongiana, è noto che la sua produzione aveva costi superiori a quelli dei pochissimi altri stabilimenti anche perché la sua posizione periferica aumentava moltissimo le spese di trasporto.
Aggiungo infine che in epoca borbonica era la Sicilia a fungere da “colonia interna” del regno delle Due Sicilie, il che spiega molte cose della vicenda risorgimentale nell’Italia del sud.
Cordialità
Egregio Sig. Paletta, come giustamente dice lei ognuno è libero di credere a ciò che vuole e tutti siamo tenuti a rispettare le opinioni altrui. Mi permetto di esporre le mie a lei ed a quelli che mi hanno preceduto. Premetto che NON sono un neo borbonico. Avverto, me lo lasci dire, che nella descrizione del C.V. che lei ha descritto di Pino Aprile traspare un certo disprezzo per il personaggio ed il suo passato di giornalista di rotocalchi popolari, Tuttavia…Nel copioso battibecco che ho letto fin ad ora tra lei ed il suoi lettori mi appare evidente che si prendano a pretesto alcune affermazioni invero a volte esagerate a volte non provate (Fenestrelle e il milione di morti durante il brigantaggio) per screditare tutto un periodo della storia d’Italia che invece andrebbe rivisitato (non ho usato il termine revisionato non a caso) per descrivere la storia dell’Unità d’Italia non come Epopea Risorgimentale (quella che ho studiato sui libri prima del liceo e poi dell’Università) dove il fenomeno del Brigantaggio e del terrore in cui furono immerse le popolazioni meridionali per circa un decennio dopo l’unità vengono riassunte in un massimo di due/tre righe (ho ancora i libri di testo, se me lo chiederà le conterò con accuratezza). E già questa mi sembra un enorme falso storico prodotto da tutti gli storici di talento degli ultimi 150 anni per dire che appare inopportuno continuare ad affermare che quello che dicono gli storici accademici sia sempre oro colato. Non sono uno storico, solo un appassionato di storia ma non mi ritengo uno sprovveduto. Allora mi dica lei se gli storici affermano che ad un certo punto nell’ex Regno delle Due Sicilie furono inviati 120.000 uomini si dovrebbe supporre che forse non solo di brigantaggio criminale si trattava ma forse di un fenomeno che non doveva essere liquidato in due o tre righe. Se, come afferma Gramsci nella “Questione Meridionale”, ci fu “la effettiva trasformazione del Sud in un mercato di consumo dai manufatti industriali del Nord (pg 48/49), e se sempre Gramsci afferma che “la borghesia settentrionale ha soggiogato l’Italia meridionale e le isole e le ha ridotte a colonie di sfruttamento” (pag.73), e se ancora con il beneplacito del governo fascista gli industriali del nord dopo “la conquista delle società cotoniere del Salernitano trasferirono le macchine, camuffate da ferro vecchio, nella zona tessile lombarda” (pg 87) vuol dire che a circa 50 anni dall’unità continuavano le operazioni di esproprio dell’industria del sud come fecero con le officine di Pietrarsa o con le fonderie di Mongiana o con la società di navigazione napoletana e mi fermo qui. Io credo che la Questione Meridionale per il rispetto che si deve avere delle popolazioni del sud (e lei da calabrese sa cosa voglio dire quando si è cresciuti con il complesso della minorità rispetto ai concittadini dell’altra Italia) debba essere trattata con il rispetto e l’onestà intellettuale che tutti riconoscono a Guido Dorso e Piero Gobetti a Rocco Scotellaro e a Carlo Levi e nessuno di questi giganti può essere accusato di essere o essere stato neo-borbonico o amico di Pino Aprile. Un’ultima riflessione: se Pino Aprile, che lei descrive come un uomo pieno di contraddizioni e a malapena le riconosce il titolo di collega, ha alzato questo enorme putiferio, se storici “accademici”, se giornali come la Repubblica, Il Giornale ed altri quotidiani di caratura nazionale danno così largo spazio a giornalisti, studiosi, storici per attaccare Aprile dipingendolo nè più nè meno come un pifferaio che si trascina una pletora di popolani creduloni, io qualche domanda un pò meno superficiale sul successo delle sue tesi me la farei.
Un cordiale saluto
Salvatore Leonardi
Egregio Salvatore,
Innanzitutto, grazie per l’attenzione.
Nel risponderle, trovo doverosa una precisazione: io non battibecco coi lettori in alcun modo. E non sono battibecco le risposte dure – ma sempre nei limiti delle buone creanze – che ho dovuto dare a qualche persona non proprio educata, per rispetto di quelli come Lei che, al contrario, dibattono in maniera civile.
Dopodiché, come tutti gli argomenti che appassionano, anche quello trattato in questo articolo, è risultato divisivo: da un lato, chi sposa in tutto o in parte le tesi “apriliane”, dall’altra chi le rigetta.
Io da che parte sto? Da nessuna. O meglio, mi mantengo nel recinto di un’informazione deontologicamente a prova di bomba in cui gli unici padroni sono i lettori, che non censuro in alcun modo.
Credo, immodestamente, che anche l’articolo in questione rientri in questo parametro.
Detto questo, è giusto chiarire che non disprezzo nessuno, tantomeno Aprile.
Mi sono semplicemente limitato a dire che è davvero difficile che un perito industriale che non ha mai visto un’università o non l’ha vista del tutto (ed è perciò difficile che conosca i metodi della ricerca, in questo caso quella storica), possa discettare di argomenti su cui gli storici professionisti consumano le proprie esistenze per compensi da fame e senza quasi alcuna ribalta mediatica.
Nulla di particolare da dire sull’operato giornalistico di Pino Aprile: a quel che mi risulta, è stato un “integrato” fino alla pensione. Poi si è scatenato e ha scoperto il “sudismo” dopo essersi dedicato alla navigazione a vela.
Per questi motivi, trovo a dir poco pericoloso il discorso che ha imbastito sulla Questione Meridionale. Come giustamente nota Lei, non dice nulla di nuovo: mescola le polemiche ottocentesche della pubblicistica borbonica con le polemiche politico-culturali di matrice gramsciana.
Il risultato è una specie di rivendicazionismo 2.0 di grande presa sui mal di pacia di molti meridionali (escluso che scrive, che il mal di pancia ce l’ha ma non crede che certo revisionismo sia la cura) ma di scarsa consistenza scientifica. Una panacea simile a certi prodotti che gli imbonitori vendevano nei villaggi del West. Ma più pericolosa, perché deresponsabilizza le nostre attuali classi dirigenti. Già: se la colpa è di Garibaldi e del Profondo Nord, perché prendercela con gli amministratori che, a mio non sommesso parere, sono i responsabili di tanto degrado?
Glielo dice uno che, nel suo piccolo, ha speso e bruciato buona parte della sua carriera a fare i conti in tasca a questi amministratori (e ai loro oppositori, che spesso erano peggio) senza clamori ed eroismi inutili ma con un lavoro costante. Si fidi sulla parola.
Veniamo al meridionalismo classico: siamo davvero sicuri che Gramsci (che non mi entusiasma) e Gobetti (che preferisco) siano quegli intellettuali “puri” che tanta letteratura politicizzata continua a tramandarci?
Direi di no: sono statti essenzialmente dei rivoluzionari che usavano anche la cultura per fini di lotta politica. Soprattutto il discorso gramsciano risente di questo vizio di fondo, perché era lo storytelling di un leader comunista che, isolato dal Psi nelle masse operaie del triangolo industriale, cercava spazi nel proletariato rurale del Sud.
Insomma, quella di Gramsci fu una tattica politica contingente, rivolta contro il riformismo socialista e contro il ceto liberale di origine risorgimentale, non di sicuro la creazione di categorie intellettuali che possano orientare oggi una battaglia culturale.
Viceversa, ci sono cose vere e universali nel meridionalismo di Gramsci, ma perché le riprese lui, tant’è che sono presenti anche nelle elaborazioni, più realistiche e argomentate meglio, di Salvemini, un autore sicuramente più compatibile con le libertà di cui fruiamo tutti e grazie alle quali possiamo “battibeccare” quanto ci pare senza censure.
Detto questo, mi permetto di formulare una domanda: che c’entra l’indigeribile intruglio culturale di Terroni con la Questione Meridionale? Mi rispondo: è essenzialmente un modo di vincere nel mercato dell’informazione cavalcando il malessere. Funziona? Senz’altro: ma chiamiamolo col suo nome: marketing e non cultura. Tantomeno politica.
E, mi perdoni davvero, quelle su Fenestrelle e il milione di morti non sono «affermazioni esagerate e a volte non provate». Sono enormità pericolose non provate in alcun modo, che rischiano di incancrenire ulteriormente un clima già saturo di disagio e odio sociale.
Sul brigantaggio: l’invio di 120mila soldati per garantire la sicurezza alle popolazioni meridionali, le vere vittime dei briganti (soprattutto i poveri, che subirono ben più dei ricchi), non sposta di una virgola l’assunto che il brigantaggio fu una tipica politicizzazione di un fenomeno criminale, fortissima perché verificatasi in un momento di crisi (gli studiosi, soprattutto, i giuristi parlano di “rottura dell’ordinamento”) e che richiese una risposta altrettanto forte. Che ci fu, a volte sproporzionata e a volte sbagliata. Ma doveva esserci, perché in tutte le guerre civili i criminali hanno un ruolo di primo piano.
Sempre a proposito di crimini, la invito a leggersi le sentenze di condanna di parecchi briganti: vi troverà una sfilza impressionante di reati comuni, dalle estorsioni agli stupri, che poco hanno a che fare con motivazioni politiche.
Infine una nota sugli stramaledetti libri di testo: le poche righe che ho scritto dovrebbero far capire che al brigantaggio e a fenomeni simili un testo scolastico, che deve spiegare le cose a livello basilare, può dedicare poco. Non perché non meritino, ma perché sono davvero troppo complessi.
Ma non appena ci si sposta sulle monografie, ci si accorge che la narrazione prevalente è stata a lungo ipercritica e che la storia del Risorgimento si è tramutata in una critica del Risorgimento. Anche in questo caso, non è difficile cogliere un motivo politico: la classe dominante antifascista cercò di minimizzare il Risorgimento e di sostituirgli la Resistenza, politicamente più spendibile. Come si vede, un disegno egemonico che poco ha a che fare con l’amor di verità e molto con la polemica politica contingente.
Sulle vecchie industrie del Sud, è in corso una serie di ricerche importanti, a cui la rinvio.
Infine la invito a navigare il sito e a cercare i vari articoli in cui ho criticato e smontato il revisionismo, anche quello di autori più “di spessore” di Aprile (ad esempio, Gigi Di Fiore). Questo per farle capire che non odio e disprezzo nessuno, ma mi limito ad applicare il metodo giornalistico alla lettura dei fenomeni. Anche di questo.
Mi scusi per la lunghezza, ma i tanti stimoli del suo intervento meritavano una risposta articolata.
Un cordiale saluto
Mi scuso se intervengo troppo in questa discussione. Mi limiterò a ricordare al signor Casella che nel 2011 Pino Aprile era indicato come possibile “frontman” del suo partito nascente da Raffaele Lombardo, presidente della Regione Sicilia, sulla cui politica, e sugli effetti deleteri (per non dir peggio) che essa ebbe sulla Sicilia, esiste una abbondante letteratura. Come referenza per Aprile mi pare che basti e avanzi.
Egregio Sig. Paletta,
aldilà delle idee che si possono avere, degli studi e delle analisi, sono dell’idea che un giornalista affidabile debba essere privo di “simpatie o antipatie” politiche; purtroppo in lei percepisco un certo fazionismo politico e l’avvertirlo provoca dispiacere.
Fatta suddetta premessa, vorrei dire alcune cose: il Sig. Aprile potrebbe aver torto come ragione poiché, come lei saprà, su certi argomenti e su certe “teorie” (dato che a suo dire nulla degli scritti di Aprile è confermato con certezza) il filo tra giusto e sbagliato è molto sottile; tuttavia ci sono anche dati piuttosto certi e bisogna ricordare come in Sicilia si raffini circa il 40% del fabbisogno italico di carburanti (se non erro il 36%) per mezzo degli impianti di Milazzo, Priolo Gargallo e Gela, oppure potremmo parlare di Sigonella, di Birgi, del MUOS a Niscemi, del gasdotto algerino etc… Ed in cambio la Sicilia cosa ne ha? Catania-Trapani in treno in 16/18 ore? Vie di comunicazione fatiscenti? Laureati costretti ed emigrare? Assistenzialismo? Sistemi di telecomunicazione inefficienti? Assenza di opere di urbanizzazione primaria in molti grossi centri? Assenza di infrastrutture sportivo/ricreative adeguate? Tali fenomeni lei come li chiamerebbe? Potrebbe forse essere una forma di sfruttamento? Un laureato in Sicilia è costato alla famiglia un importo ma, per forza di cose, sarà costretto ad emigrare al nord lasciando la ricchezza prodotta (sia in termini di lavoro che in termini di stipendio) al nord stesso!
E’ vero che sarà anche colpa dei siciliani, della mala politica, dei tanto famigerati “ascari” ma se un governo centrale esiste non dovrebbe vigilare anche su ciò che succede in Sicilia? Non dovrebbe verificare, a prescindere, se le raffinerie che stanno distruggendo le nostre coste operano a norma di legge? Non dovrebbe far si che il margine di ricchezza economica tra nord e sud si riduca invece che aumentare?
Chiudo con gli interrogativi che, in verità, sarebbero ancora molti ma vorrei farle notare che i motivi per cui la questione meridionale è nata ed esiste alimentando questo sintomo di malessere magari non è solo una questione di “fantasie” del buon (o cattivo, dipende dai punti di vista!) Pino Aprile.
Saluti
Egregio Casella,
Lei scrive: «Aldilà delle idee che si possono avere, degli studi e delle analisi».
Mi permetto di risponderle: il giornalismo è fatto di idee (e certo, anche di opinioni, purché ben motivate ed espresse con civiltà) e di analisi. Questi tre, da Lei menzionati come optional, sono i dati imprescindibili di qualsiasi dibattito condotto con un minimo di onestà, non solo intellettuale.
Poi aggiunge: «Sono dell’idea che un giornalista affidabile debba essere privo di “simpatie o antipatie” politiche; purtroppo in lei percepisco un certo fazionismo politico e l’avvertirlo provoca dispiacere».
Le rispondo di nuovo: un giornalista è un cittadino normale e ha diritto a simpatizzare o ad antipatizzare con chi vuole. Con una sola differenza, dovuta a motivi deontologici e alla responsabilità del ruolo: motivare simpatie e antipatie con i fatti e non eccedere nel linguaggio.
E inoltre: quale sarebbe il mio “fazionismo”? Sulla base di quali moventi politici criticherei Aprile?
Vede, non è proprio irrilevante il fatto che Aprile abbia torto o ragione. Da giornalista trovo inaccettabile che parli dei problemi attuali del Sud un collega che, a dispetto del suo ricco curriculum, ha affrontato la questione meridionale in termini e modi inaccettabili. E cioè, con gli svarioni storiografici (e spesso con falsi storici veri e propri) di cui abbondano le riflessioni sul Risorgimento contenute in “Terroni” e “Carnefici”.
Non entro nel merito dei problemi della “sua” Sicilia, se non nella misura in cui mi ricordano quelli della “mia” Calabria.
Dopo anni passati nelle trincee della cronaca, trovo non bello che si possano scaricare le responsabilità delle attuali classi dirigenti (la causa reale delle nostre arretratezze, delle nostre inefficienze e delle nostre corruzioni, piccole e grandi, di cui siamo tutti a volte vittime e a volte complici), su un passato le cui atrocità sono da dimostrare (cosa che Aprile non ha fatto, a dispetto del linguaggio feroce dei suoi libri e dei tanti articoli dedicati al revisionismo antirisorgimentale).
La invito a navigare il sito: vi troverà un corposo dossier sulle questioni sollevate dai “terronisti”, in cui ho smontato, con l’aiuto di alcuni validi studiosi, le tesi “revisioniste” a partire dalle quali Aprile e altri hanno costruito la propria immagine pubblica, su cui ora tentano di lanciarsi in politica.
L’ho fatto semplicemente per amor di verità, che mi creda o meno.
E poi l’ho fatto per rispetto dei tanti studiosi che consumano l’esistenza negli archivi e dei tanti giornalisti che, a differenza di Aprile, fanno i conti in tasca alla “classe padrona” che condiziona in negativo le nostre terre, con molti rischi, poca fama, poca visibilità e ancor meno quattrini.
Se questa è faziosità…
Ad ogni buon conto, Lei è libero di pensarla come vuole: non ho la voglia né il potere di impedirglielo. Ma non metta in dubbio la mia buonafede, come io non metto in dubbio la Sua.
Cordialmente,
Saverio Paletta
Siccome non ho l’obbligo di essere ” political correct ” posso dire quello che penso di Francesco Billeri , ma onestamente faccio fatica a trovare qualcosa di appropriato . Sarebbe troppo facile dire che e’ un cretino Ma forse e’ sufficente dire che e’ un neo borbone – Non occorre altro…
Egregio Giorgio,
Grazie per la solidarietà. Io continuo a credere che Billeri sia un fake che come altri fake si diverte a “trollare”.
Se ha argomenti (ed esiste) si rifarà vivo. Altrimenti, credo che nessuno di noi ne sentirà la mancanza.
Mi dissocio solo da una cosa: rispondere a insulto con insulto. Questi lasciamoli a loro. Noi abbiamo ben altri argomenti.
Abbiate pazienza. Francesco Billeri, aiutato da Carmine Di Somma, sta cercando di scoprire in quale fondo si trovino le 2665 unità archivistiche contenenti le prove “ignorate” da Barbero. Poi dovrà leggerle. Infine risponderà. Date loro il tempo.
Francesco Billeri non ha risposto . Forse aspetta istruzioni
Sempre che questo Francesco Billeri esista per davvero e non sia un fake…
Sei solo un emerito cretino. Ma non sarà che sei tu che cerchi notorietà?
Egregio Billeri,
Sarebbe troppo facile rispondere a insulto con insulto, ma non è il mio stile. Sarebbe persino possibile rivolgermi alle autorità competenti (Polpost e autorità giudiziaria) perché provvedano a identificarla (a meno che non sia un fake, come d’altronde sarebbe tipico dei “leoni da tastiera”), ma non ho tempo da perdere.
Oppure avrei potuto semplicemente far finta di nulla e cestinare.
Preferisco risponderle con una domanda: quel che dico nell’articolo è falso o inesatto? Mi pare proprio di no…
Cordialmente
Il signor Carmine Di Somma cerca di screditare il lavoro di Alessandro Barbero sostenendo che questi avrebbe consultato “a casaccio” 265 unità archivistiche delle 2665 contenute, secondo le cifre circolanti ad opera degli ambienti neoborbonici, nel fondo interessato. Quale sia questo fondo però il signor Di Somma non ci dice, così come non precisa quali “corredi” sarebbero a suo avviso indispensabili per condurre la ricerca in questione. Ora, a parte altri fondi che non rileva qui ricordare, i principali fondi nei quali Barbero ha eseguito le sue ricerche sono: 1. Ministero della Guerra, 1861-1870. Direzione Generale dei Servizi amministrativi, che contiene documenti dall’anno 1853 all’anno 1872 per un totale di 1247 unità, 2. Ministero della Guerra. Direzione generale delle leve, bassa forza e matricola, i cui estremi cronologici sono 1821-1871, e che di unità archivistiche ne contiene 2773. È del tutto ovvio per chiunque si intenda di ricerca archivistica che per la consultazione si scartano le unità archivistiche estranee all’arco di tempo che interessa, o emanate da uffici che con il problema studiato non hanno alcuna attinenza, o appartenenti a categorie estranee al tema che si sta trattando. Indicare il totale – vero o presunto, qui il numero 2665 mi pare presunto – delle unità archivistiche di un fondo è perciò del tutto fuorviante ai fini del giudizio sul lavoro svolto.
Aggiungo. Il libro di Barbero apparve nel 2012. Da allora sono trascorsi sette anni, tempo più che sufficiente a chiunque per condurre una propria ricerca nel fondo innominato e smentire, trovandone le prove, le conclusioni di Barbero. Se nulla del genere è accaduto, giganteggia il dubbio che quelle prove non esistano affatto salvo che nelle insinuazioni di taluni ambienti.
Infine, registro che il signor Di Somma ignora che molto del sangue sparso a sud del Tronto fu sparso da meridionali che militavano in campi contrapposti. Per non rubare troppo spazio rinvio sul punto all’ottimo e recentissimo studio, condotto su decine di fondi archivistici, del meridionalissimo Carmine Pinto, La guerra per il Mezzogiorno. Italiani, borbonici e briganti 1860-1870.
L’Europa sta all’Italia , come l’Italia Sabauda sta al Regno delle Due Sicilie . Lo ha detto Giulio Tremonti che non mi pare sia borbonico . Un illustre studioso come Salvo Di Matteo , nemmeno lui di simpatie borboniche, ha affermato in un suo bellissimo lavoro letterario che l’unificazione italiana è stato un processo allogeno, egemonico, militare . Lo stesso prof. EUGENIO Di Rienzo, ha chiaramente affermato che se il Borbone si fosse staccato dal tradizionalismo cattolico, dal mercantismo e protezionismo statalista , e si fosse gettato tra le braccia di lord Palmerstone o del carbonaro Luigi Napoleone, probabilmente Napoli sarebbe ancora oggi capitale . Quanto alla storia is di Fenestrelle, il prof. Alessandro Barbero , ottimo storico, ha tirato fuori dall’archivio di stato di Torino 265 unità archivistiche su 2265 , unità sprovviste di documenti di corredo ( cioè a casaccio ) . Questa ricerca è venuta fuori solo come risposta alla crescente vigoria della narrazione filoborbonica , secondo cui i soldati del disciolto esercito napoletano , siamo stati sterminati nei campi di rieducazione militari e nell’universo concentrazionario che venne allestito al nord , per contenere quegli umili della bassa forza del Regno di Napoli . Una cosa è certa : se gli alti ufficiali borbonici avessero avuto lo stesso coraggio ed amore patrio di quei ragazzi finiti nei campi di concentramento del nord , i cosiddetti garibaldini , non sarebbero nemmeno partiti . Al di là delle fantasie storiche dell’una e dell’altra parte, basterebbe solo leggere integralmente i carteggi di Cavour, come ha tentato di fare il prof. Roberto Martucci , per capire come andarono le cose . Basterebbe leggere ciò che Massimo D’Azeglio scrisse al senatore Matteucci nel luglio del 1861, quando a sud del Tronto si versavano fiumi di sangue di contadini e popolani per mano dei liberatori scesi dal nord . Era un sangue da versare sull’altare della Rivoluzione liberale . Mi taccio . Vergognatevi .
Egregio Carmine,
Andiamoci piano con gli insulti venati di moralismo, perché non dobbiamo vergognarci proprio di un bel niente.
Detto questo, creda pure a quel che vuole. Ma su alcune cose sono costretto a fare alcune precisazioni.
La prima: il bravissimo Giulio Tremonti non è uno storico né uno storico dell’economia. È un fiscalista geniale prestato alla politica. Perciò prima di prendere per oro colato quel che dice dovremmo chiederci quanta propaganda ci sia dietro.
La seconda: non si possono interpretare vicende ottocentesche con la nostra impostazione, che in parte è novecentesca e in parte postmoderna.
Perciò sarei cauto nel tagliare con l’accetta come fa Lei i rapporti tra potenze internazionali. Da tutto il balletto diplomatico da Lei citato emerge solo un dato: la miopia politica di Borbone, che finì per isolare il loro Regno, a dispetto di alcuni ottimi risultati. Fu questo isolamento internazionale che causò il crollo delle Due Sicilie.
Terza precisazione: la ricerca compiuta da Barbero sulla vicenda di Fenestrelle non è una volgare “pesca a strascico” negli archivi ma una ricerca a campione, condotta sul dieci per cento dei documenti consultabili custoditi presso l’Archivio di Stato di Torino. Sui motivi di questa scelta si è soffermato lo stesso Barbero nel corso del dibattito avuto qualche anno fa con Gennaro De Crescenzo, il presidente del Movimento Neoborbonico, di cui tuttora esiste un video su Youtube.
Aggiungo solo che ai moderni sondaggisti bastano campioni di meno del dieci per cento per prevedere i risultati delle elezioni o un’oscillazione di Borsa. Quindi nessun affanno sulla pretesa vigoria della narrazione neoborb, ma solo una risposta rigorosa a livello scientifico.
Ultima precisazione: la storia del brigantaggio e della relativa repressione è più complessa di come se la figura Lei (e, specularmente, di come se la figura chi vuol ridurre una guerra civile a un mero fenomeno criminale). Lei, che ha citato degli storici (si spera dopo averli anche letti), sa che la storiografia è un dibattito perenne, in cui le verità si possono dare per acquisite solo in seguito a un lungo lavorio. Non sarebbe il caso di lasciar lavorare gli storici senza fare gli ultrà?
Saluti,
Saverio Paletta
Complmenti per l’articolo. Quello che più mi colpisce non sono tanto le falsità manifeste e le enormità come le decine di migliaia di morti di Fenestrelle o il milione di morti della guerra al brigantaggio. Quelle si smentiscono da sole. La cosa più irritante è il tono da scoperta della ricotta. Il racconto delle storture della nostra unificazione si trovava nel mio manuale di storia ad uso delle scuole medie superiori (il “Villari” dalla copertina rossa). Ai fatti di Bronte è dedicata una novella di Verga, fa l’altro. Lo stesso Verga, nei “Malavoglia”, parla chiaramente dell’estraneità del popolo al processo di unificazione. E vorrei ricordare anche “I Viceré” di de Roberto, oltre ai grandi autori meridionalisti (Fortunato, Salvemini…). Non erano pubblicazioni in samizdat, stampate con un ciclostile clandestino e passate di nascosto di mano in mano. Certo, se poi uno invece di leggere il manuale di storia o ascoltare le lezioni dormiva in classe…
Egregio Luigi,
Nel ringraziarLa per i complimenti, mi permetto di ribadire una cosa: questo articolo come tutti gli altri da noi dedicati all’argomento non è ispirato da faziosità (più o meno disinteressata) ma da amor di verità.
Grazie ancora per l’attenzione
Saverio Paletta
Ammetto la mia ignoranza. Sono venuta a conoscenza dell’esistenza di Pino Aprile pochi mesi fa leggendo un articolo/recensione del suo “L’Italia è finita e forse è meglio così” su La Città di Salerno, del quale ho trovato interessante la tesi della disgregazione dei stati nazionali, di cui l’Italia sarebbe un banco di prova, a causa dell’esigenze della nuova economia digitale. E di recente ho sentito un pezzettino di una sua intervista a Radio24 dove sottolineava che l’invasione e la successiva gestione del territorio del sud sia stata di tipo coloniale anche perché dietro la spedizione dei mille ci fossero gli inglesi che attuavano nel mondo politiche coloniali. Tutte tesi su cui sono d’accordo. In quinta liceo (finalmente!) ero arrivata a capire che le guerre ed i fenomeni storici non avvenivano mai per motivi ideologici, ma economici. Iniziai a capire che l’epopea risorgimentale non fosse poi così tanto un ‘”epopea” almeno dalla terza media inferiore (1978) con la lettura del libro di narrativa per ragazzi “Vento del Nord, Vento del Sud”, dove scoprii il brigantaggio ed in particolare le figure di Carmine Crocco e ‘Ninco Nanco’. E fu già allora o al liceo che ebbi un testo di storiografia che riportava documenti che attestavano, tra l’altro, l’impossessarsi del Piemonte delle risorse monetarie del Regno delle Due Sicilie. E fu ugualmente a scuola che appresi dell’interesse dell’Inghilterra per il regno borbonico, con l’invio di giornalisti che testimoniarono il malgoverno e lo stato di povertà ed arretratezza della popolazione, cosa riportata anche dal film “Ferdinando I Re di Napoli” con i De Filippo, e del sostegno materiale dell’Inghilterra all’impresa dei Mille che Cavour aveva ottenuto anche con l’invio di un contingente nella guerra di Crimea. Dai libri scolastici e dalla cultura di mio padre avevo appreso dell’esistenza di fiorenti industrie al Sud (navali, metallurgiche (con le miniere anche in Calabria), tessili etc.). A scuola mi hanno insegnato che l’emigrazione prima dell’unità d’Italia era un fenomeno delle regioni povere del Nord, in particolare Liguria e mi sembra anche Veneto. Non sono ‘novità’ che mi sta raccontando Pino Aprile. Magari tanti, anche più giovani, lo stanno scoprendo grazie alla sua attività di divulgazione e propaganda commerciale.
Cara Linda,
Mi scuso per il ritardo nel pubblicare il Suo commento e nel risponderLe: purtroppo i problemi tecnici e burocratici hanno avuto una certa priorità.
Mi permetto solo alcune piccole osservazioni su alcuni punti del suo intervento.
Punto primo: non c’è alcuna prova scientifica del nesso causale tra le esigenze dell’economia digitale e la disgregazione degli Stati nazionali. A leggere le cronache politiche, appare invece evidente che ci sono Stati e Paesi che riescono a padroneggiare le tecnologie informatiche (e, quindi, ad utilizzarle per puntellarsi meglio) e altri Stati e Paesi meno attrezzati (tra questi il nostro) che subiscono il processo senza riuscire a incidervi.
La storia conosce delle concomitanze non rapporti rigidi di causa-effetto, come quelli invocati a più riprese da Aprile.
Punto secondo: la categoria della colonizzazione interna riguardo al processo di Unità nazionale mi pare troppo abusata e non rispondente al vero, sebbene sia stata più volte sostenuta da una parte anche nobile del meridionalismo, che è poi quella che si richiama in parte a Gramsci. L’unico aspetto concreto di questa tesi riguarda la situazione di sudditanza economica del Sud, che aveva già prima del Risorgimento un tessuto economico più problematico, nei confronti del Nord, che si era già incamminato con successo sulla strada della modernità. Le poche situazioni di innegabile eccellenza (i cosiddetti “primati” di cui parla tanto la propaganda neoborbonica) del Meridione non possono smentire questo assunto, abbondantemente consolidato.
Punto terzo: la politica internazionale dell’epoca era costituita da giochi di ingerenze reciproci. Al riguardo, si può dire che il Sud faceva gola non solo ai britannici, che esercitarono a più riprese un protettorato “di fatto” sulla Sicilia anche durante il periodo borbonico, ma anche ai francesi, che miravano a controllare il territorio del Regno di Napoli. È una questione di rapporti di forza e di capacità politiche: di sicuro non fu colpa di inglesi, francesi e sabaudi se il Regno delle Due Sicilie era fragile. A meno che non si voglia credere alle teorie del cosiddetto “complotto pluto-massonico”, tra l’altro mai dimostrato.
Punto quarto: la storia degli insediamenti industriali borbonici, in particolare delle acciaierie di Mongiana, è tutta da scrivere, almeno sotto il profilo strettamente economico. Stesso discorso per la riserva aurea di Napoli su cui tanto si favoleggia ancora. Non è il caso, allora, di tifare ma di lasciar lavorare gli storici di professione.
Per il resto, creda quel che vuole. Di sicuro non contestiamo la Sua libertà di scelta.
Cordialmente,
Saverio Paletta
Caro signor Ferraro, Pino Aprile non è sopravvalutato: semplicemente come storico – come giornalista non mi interessa affatto giudicarlo – non è valutabile. Pensi che nel suo libro più venduto spaccia il regno delle Due Sicilie per la terza potenza economica mondiale e le fa vendere locomotive ad altri Stati, sostiene che per Garibaldi i garibaldini erano delinquenti, in un incubo vede gli stabilimenti industriali del Napoletano chiudere tutti nel 1860, pubblicizza lo sterminio di centinaia di migliaia di persone da parte dei “piemontesi” dopo il 1861 e così via continuando. Per concludere, dopo aver esortato a “comprare meridionale” pubblica i suoi libri con la piemontesissima Piemme, sperando dunque che non li acquisti nessuno.
In effetti Aprile mi sembra un pò troppo sopravalutato e che il suo meridionalismo sia solamente di facciata che Aprile utilizza per intercettare una fascia di persone che, invece di cercare i colpevoli dell’arretratezza del sud nei cattivi politici che il sud stesso ha prodotto e da loro votati, preferisce incolpare, in questo caso solo dare maggiori colpe, nemici scelti da altri in questo caso Aprile. Che poi la figlia, che dispensa con sicumera pillole di conoscenza politica a comando della Gruber, sia pure un’esperta di politica come il padre è sicuramente un’altra storia.
Vedo che Giuseppe ignora che, prima ancora “dell’intervento esterno”, la causa dell’implosione del Regno borbonico vada ricercata – come sostiene uno storico tutt’altro che “risorgimentale” come Eugenio Di Rienzo – nella mancata modernizzazione delle sue strutture politiche, economiche, istituzionali oltre che – e forse soprattutto, a mio avviso – nel dissidio implacabile che oppose la Sicilia al governo napoletano. Garibaldi era ancora a Villa Spinola e nell’isola nella primavera 1860 la struttura burocratica che esercitava il potere si era praticamente dissolta. Comunque registro che coerentemente il signor Giuseppe, per respingere l’identità italiana, comincia col maltrattare la grammatica italiana.
Eccellente articolo! E’ sconfortante constatare che il libro di Pino Aprile ha fatto parecchi danni e molti altri ne farà, se non si smonta pazientemente il mito di questo giornalista, al quale qualcuno afferma di “credere”, quasi si trattasse di un profeta. Il proliferare di siti revisionisti del Risorgimento e di articoli aprioristicamente antirisorgimentali procura grave danno alle ricerche serie, che non mancano e che dovremmo leggere con attenzione, per rintuzzare le fuorvianti affermazioni di sedicenti storici.
Egregio Vincenzo,
Grazie per aver letto l’articolo e per averlo apprezzato. Io sono paradossalmente grato a Pino Aprile e ai “terronisti” per aver stimolato il dibattito sull’identità italiana e aver stanato gli accademici, costringendoli a reagire, cioè ad impegnarsi in ricerche serie sul processo di unificazione nazionale.
Ti invito a navigare il sito: troverai vari articoli sui cosiddetti revisionisti antirisorgimentali. Sono articoli e, in alcuni casi, saggi miei e di alcuni amici che mi hanno aiutato in questa operazione verità. Credo che troverai parecchi spunti da cui partire per smascherare certe “predicazioni” che giustamente critichi.
Un caro saluto,
Saverio Paletta
Ma quale identità italiana?
Bisogna per forza giustificare l’occupazione di uno nazione libera e indipendente da parte di un altra nazione?
Saluti
Egregio Giuseppe,
gli aggettivi “libero” e “indipendente” applicati al Regno delle Due Sicilie, che sopravviveva in condizioni di similprotettorato grazie alla politica mediterranea di Francia e Inghilterra mi sembrano decisamente una forzatura…
D’altronde se Lei preferisce Pino Aprile agli storici veri, non è un problema mio. Mi limito a prenderne atto…
Cordialmente
Condivido in pieno, specialmente la responsabilità degli accademici. Complimenti per l’articolo.
Per quanto riguarda la questione di Fenestrelle mi rendo conto che possa essere difficile dimostrarla, ciò nonostante visto che le altre informazioni sono già state dette da altri il punto è se siano vere o no! Presumo che negli archivi di stato ci siano tutte le informazioni necessarie per risalire ad una corretta verità storica.
Su fenestrelle esistono anche i ruolini matricola dellesercito , i verbali di arrivo dei prigionieri , i verbali di consegna vestiario , i verbali dei ricoveri in ospedale , i verbali di dismissone dall’ospedale , ecc ecc . Chi ha voglia di trovare trova tutto . Chi invece vuole speculare su quella vicenda puo’ continuare a farlo .
Allora, su Fenestrelle non è stato nascosto nulla. Diciamo semplicemente che lo sterminio non è avvenuto. Se ha la pazienza di cercare ne L’IndYgesto, troverà due articoli riguardo questa “querelle” storica. Riguardo agli archivi: i documenti esistono, servono solo i professionisti che li sappiano cercare, dato l’imponente accumulo di materiale e il relativo disordine. Sull’immediato periodo postunitario è stato scritto molto e le librerie traboccano di nuovi, interessantissimi saggi. Si tratta di cercarli e di leggerli. Nient’altro.
Aprile con Stella e Rizzo costituiscono un trio che ha fatto più danni dei terremoti, come si può constatare guardando quello che sta (non ) facendo l’attuale governo …
Non so darle torto. Tuttavia è giusto riconoscere che il pubblico ha le sue responsabilità: dei lettori più attenti e critici non avrebbero consentito un successo così sproporzionato a libri non all’altezza o non sempre all’altezza. Un’altra fetta di colpe ce l’ha il mondo accademico: se molti “baroni” si fossero dedicati all’alta divulgazione e avessero tenuto un contatto più serio e diretto col pubblico, certe tesi non avrebbero attecchito. I tre autori purtroppo hanno riempito un vuoto. Con i risultati che lei denuncia…
Saverio Paletta
Aprile ha menzionato TUTTE le fonti degli avvenimenti, io non sono del sud, ma credo a Pino Aprile.
Menzionare una fonte non basta, bisogna verificare. E le “fonti” di Aprile sono state tutte smentite.
Grazie: ha centrato perfettamente lo spirito della mia inchiesta che non è “anti Aprile” né ispirata da spirito da curva sud. Semplicemente, è mossa da amor di verità.
Saverio Paletta
C’è troppo astio nel testo del suo articolo per parlare di “amore della verità”. Poi, i riferimenti al titolo di studio sono volgari e classisti. Bisogna rispondere sui fatti e non sui pregiudizi, caro sig. Paletta.
Egregio Cascione,
il mio sarebbe astio? E per cosa, poi? A proposito di astio: ha mai letto davvero i testi di Pino Aprile e, soprattutto, valutato il linguaggio a dir poco aggressivo in cui sono redatti?
A proposito di titoli di studio: in cosa starebbe il classismo? A furia di scommettere sulle presunte capacità degli autodidatti, in ossequio al vecchio adagio per cui “la pratica vince la grammatica” si è rovinata la professione giornalistica.
Infine: se ha la pazienza di navigare il sito, scoprirà che ci sono molti articoli in cui io e gli altri autori abbiamo sottoposto a un serrato debunking le tesi “apriliane”.
Se non sono fatti questi…
Cordiali saluti,
Saverio Paletta
Creda pure quel che vuole e a chi vuole. Questione di gusti.
Egregio Paletta, sarà mica geloso delle copie vendute da Aprile anche senza titoli? Oltre che filo piemontese sarà anche tifosi della juve?…. Nessun neoborbonismo, il lucido è concretissimo pensiero di Aprile è per l’equità territoriale negata… Non le risulta l’abnorne dipartita’ tra i territori in questi paese?… Le infrastrutture, la sanità, la scuola, l’assenza di istituti di ricerca pubblici ed ogni rappresentanza di apparati decisionali su agricoltura, industria, nuove tecnologie..??….labcolobiabsud ha preso coscienza con o senza Aprile…..
Egregio Coticelli,
nessuna gelosia nei confronti di Pino Aprile, solo una critica doverosa e aspra a certe tesi, che consideriamo infondate, e al linguaggio con cui sono espresse.
Detto questo, mi permetto una precisazione: questo articolo risale alla tarda primavera del 2017, quindi oltre due anni prima che Aprile scendesse in politica col suo M24a-Et e motivasse questa discesa con la cosiddetta “disparità territoriale”.
Se ha ben letto l’articolo in questione, vi troverà solo la critica al cosiddetto “revisionismo”, che abbiamo successivamente dipanato in altri articoli.
Invece, ci siamo astenuti finora dall’analisi delle tesi più “politiche” di Aprile per due motivi: innanzitutto perché non tutte sono infondate e poi perché le stiamo approfondendo a dovere.
Quindi, se vuol criticare qualcosa, critichi quel che ho scritto nell’articolo che commenta, non quel che ancora non abbiamo scritto.
Inoltre, mi permetto di richiamare la Sua attenzione su un dettaglio non da poco: in calce all’articolo c’è la mia biografia, da cui si apprende che NON sono piemontese e in cui NON do alcun elemento sulle mie passioni calcistiche (che tra l’altro non coltivo).
Grazie comunque per l’attenzione,
Saverio Paletta
PALETTA..PALETTA….FAI COMMENTI COLL’ACCETTA!!SI CAPISCE CHE LE FONTI DELLE SUE AFFERMAZIONI SONO DI PROVENIENZA PIEMONTESI!!PERCHE’ INVECE DI DIRE CAZZATE NON SI DA AI SERVIZI SOCIALI,AL VOLENTARIATO,ALLE ONLUS E ABBANDONA LA STORIA…NO0N CONOSCE NEMMENO CHI ERA DAVVERO GARIBALDI..SE NE STIA A CASETTA SUA..SI METTA LA MAGLIETTA DI LANA ALTRIMEDNTI PRENDE IL RAFFREDDORE E COMINCIA A SPARARE ALTRE CAZZATE!!!
Sig. Baione allora le consiglio di leggere quello che ha scritto sull’argomento il meridionalissimo ” Portale del Sud ” dove certi argomenti vengono trattati da storici , meridonali , e non ciarlatani
E tutti i primati in ogni campo ? Le prime motonavi a vapore, il primo treno, il primo ponte sospeso a catene, la prima pubblica illuminazione, per non parlare del Bidet oggetto non identificato dai piemontesi, e divenuto argomento in una trasmissione di Alberto Angela.
Egregio Quaranta,
Mi scuso ancora per il ritardo con cui Le rispondo e La invito a navigare L’IndYgesto, dove ci siamo occupati a lungo anche dei primati.
Un cordiale saluto,
Saverio Paletta
Egregio Braione,
Non Le rispondo per le rime perché coltivo ancora l’illusione di rivolgermi a un pubblico più civile di come Lei si è dimostrato in questo Suo commento. Detto questo, per rispetto alla mia professionalità (e a chi mi legge) sono costretto a precisarLe due cose.
La prima: non sono abituato a verificare le notizie sulla base della loro provenienza territoriale ma mi attengo al criterio, più semplice e onesto, della verità o, alla peggio, della verosimiglianza.
La seconda: tutto quel che ho scritto è di facile verifica attraverso strumenti comuni e di uso non impossibile: google, wikipedia più qualche libro, neanche troppo costoso o irreperibile.
Detto questo, La invito a dimostrare che avrei scritto «cazzate» e in che modo le avrei scritte (scritte, ripeto, e non dette).
Per il resto, non si preoccupi: alla mia salute so badare da me e so coprirmi a sufficienza. Semmai, se posso permettermi, Le consiglio di pensare bene a quel che scrive prima di farlo: non tutti potrebbero essere tolleranti e limitarsi a risponderLe se il Suo tono abituale è questo.
Cordialmente,
Saverio Paletta
Saverio Paletta, mi scusi se intervengo sul suo blog, ma sento di doverlo fare per quella sua solita affermazione – perché di default nel nostro mondo all’italiana – secondo la quale chi non ha titoli accademici non avrebbe titoli per parlare, o prendere posizioni culturali, politiche ecc. ecc. Trovo vergognosissimo, sul piano morale, oltre che stucchevole e sciocco, sul piano intellettualistico, questa suo “apriorismo” da curriculum accademici, che, volendo seguire alla lettera, non avrebbe permesso neanche a geni come Dario Fo di interloquire con forza – e soprattutto con arte – nel mondo della cultura italiana. Smettetela di valutare le persone in base a questi attestati, ma cercate di basare le vostre opinioni esclusivamente sulla qualità intrinseca alle persone, cioè in base alla loro cultura, e non istruzione – una persona intelligente dovrebbe capire la differenza qualitativa tra questi due termini.
Egregio Albano,
prima di risponderLe mi pare obbligatoria una premessa: L’IndYgesto non è un blog, ma un magazine regolarmente registrato come testata giornalistica a cui collaborano vari professionisti. Quindi La invito ad assumere toni più consoni, visto che il nostro spazio editoriale non è esattamente una bacheca social.
Vengo al dunque: lei contesta un’affermazione (la necessità di titoli culturali specifici per disquisire su determinati argomenti) contenuta in una frase di un singolo articolo.
Rilegga la frase che contesta e, per cortesia, la contestualizzi. Capirà benissimo che ho confutato un’argomentazione di Aprile contro Alessandro Barbero.
Più specificamente: Aprile ha definito Barbero un medievista “prestato” alla storia contemporanea. Io ho risposto che è più credibile uno storico che parla comunque della sua materia rispetto a uno scrittore che non ha neppure una competenza formale.
Lei cita Dario Fo (che non ammiro particolarmente, ma comunque rispetto). Io aggiungo, come esempi, Benedetto Croce e Alberto Moravia. Dopodiché siamo allo stesso punto: Aprile non ha neppure di striscio il loro spessore.
Concordo con Lei su una cosa: l’abbassamento dei livelli qualitativi della cultura e dell’istruzione (e mi permetta: non c’è cultura vera senza un’istruzione valida alla base) fa sì che il titolo di studio oggi non sia indicativo di nulla.
Tuttavia, nell’attuale momento storico, in cui a tutti è consentito di discettare su tutto, mi permetto di preferire dei parametri labili, tali i vituperati e spesso inutili titoli accademici, alla mancanza di parametri.
Un cordiale saluto,
Saverio Paletta
Ps: se si desse la pena di spulciare il nostro magazine, si renderebbe conto che abbiamo “spupazzato” non poche persone “titolate”… mica siamo classisti
Grazie per la risposta, non è cosa da poco, considerato che alle critiche oggi si preferisce solitamente rispondere con il cosiddetto “ban”. Non mi sembra di essere stato volgare, semmai analiticamente feroce, e mentre la volgarità appartiene ai social, la critica ne è purtroppo alquanto lontana. A parte queste precisazioni, soprattutto in merito all’accostamento della mia persona alla “fatuità social”, io non ho detto affatto, e ci mancherebbe, che l’istruzione non conti – difficilmente mi farei aggiustare il pc da uno che non sapesse neanche cosa sia una scheda video – io volevo semplicemente contestare – ma penso che lei furbescamente abbia voluto sviare l’attenzione da ciò che mi premeva sottolineare – quella tendenza tipicamente contemporanea di considerare, tra due individui, certamente più istruito, e persino più intelligente, quello che abbia un titolo accademico. Per Cultura io intendo la capacità di porre l’istruzione al servizio dell’intelligenza, dell’uomo, della Ragione. Che uno abbia più lauree di Cartesio, non mi interessa nulla, e non lo dico perché è noto per noi oggi che il francese fosse un genio, lo avrei detto anche se fossi stato un suo contemporaneo. La sua puntualizzazione circa il fatto che non le piaccia Dario Fo, assolutamente superflua ai fini del mio ragionamento, è molto “freudiana”.
Egregio Albano,
piano coi sofismi: il fatto che non adori Fo non ha nulla di freudiano: non mi fa impazzire e basta.
Detto questo: ovvio, considerato il declino delle istituzioni culturali, che “istruzione” non equivalga a cultura.
Tuttavia, in questa società, nella quale il web dà voce a tutti, l’istruzione resta un dato imprescindibile.
E’ curioso che Lei applichi questo criterio solo all’aspetto tecnico e non lo estenda a quello umano.
Grazie comunque per l’attenzione
Saverio Paletta
Non voglio ne difendere ne accusare Pino Aprile, gli va però riconosciuto il merito di aver aperto un dibattito utile a riscrivere la Storia. Il Risorgimento così come si studia ancora oggi sui libri di testo è una colossale menzogna.
Si mente su Garibaldi e sui Mille, su Quarto, sul furto dei battelli del Rubattino, sull’eroismo delle camice rosse e sulla codardia dell’esercito borbonico, si mente sul plebiscito, sulla guerra civile declassandola con un francesismo a “brigantaggio”, si mente su Cavour, sul patriottismo di certa borghesia meridionale venduta ai corruttori sabaudi, si mente su molto altro ancora. Ma, forse cosa ancora più grave, si evita di riconoscere che il Risorgimento fu voluto, organizzato, pilotato e soprattutto finanziato più dalle cancellerie inglesi e francesi che dai patrioti italici. Molti archivi sono ancora secretati e molti documenti non sono mai stati consultati. Tutto quello che è stato pubblicato in 150 anni è frutto di ricerca su fonti ben selezionate e controllate dall’Istituto Studi Storici del Risorgimento Italiano.
Egregio Socrate,
il nickname che ha scelto avrebbe dovuto suggerirle più arguzia nel polemizzare. Infatti, Lei scrive: «Non voglio ne difendere ne accusare Pino Aprile».
Accenti a parte (si scrive «né» e non «ne» in questo caso), lei si lancia in una difesa a oltranza di Pino Aprile, al quale anche io riconosco, tuttavia, il merito non secondario di aver riaperto il dibattito sul Risorgimento.
Per il resto, dissento in maniera totale: si è scritto e riscritto tantissimo su tutti gli argomenti che ha citato. E, mi creda, nessuno ha mentito su nulla né esistono archivi secretati (e poi, perché secretarli quando sarebbe stato più facile distruggerli?).
Se ha la pazienza di spulciare L’IndYgesto, si accorgerà che abbiamo scritto su tutti gli argomenti a cui si è dedicato Aprile, smantellandone le tesi una per una sulla base di documenti veri e, questi sì, selezionati.
Sarebbe, da parte Sua, un atto di umiltà da cui ricaverebbe molto più che da una polemica banale e sterile come quella che ha tentato di imbastire.
Grazie per l’attenzione,
Saverio Paletta
Grazie per la lezione di grammatica, l’apprezzo, essendo Socrate so di non sapere, anche se un lapsus calami è sempre possibile! Quanto al contenuto ribadisco che il merito di Pino Aprile, merito che anche lei condivide, è di aver rimesso in discussione una narrazione, non corretta, di un passaggio storico cruciale del nostro paese. Nessuna “difesa a oltranza di Pino Aprile” quindi, così come da parte mia non c’è nessun “intento polemico” ma desiderio di curiosità e verità.
Ho spulciato L’IndYgesto ma le falsità scritte in 150 anni restano. Se lei crede ancora al mito dei Mille e ignora gli incontri notturni di Benso e Lanza, diventa inutile ogni tipo di confronto.
Egregio “Socrate”,
mi scuso per il ritardo con cui Le rispondo, dovuto a impegni professionali che si sono accavallati a dispetto delle feste.
Una piccola obiezione: sulla base di quali prove sostiene che la “narrazione” sulle vicende risorgimentali sia stata non corretta?
Io direi, più semplicemente, che il Risorgimento italiano, pari per importanza epocale alle Rivoluzioni americana e francese, era finito in secondo piano nella nostra storiografia. La “messa in discussione” di Aprile, efficace più tra le platee incolte che tra gli studiosi, ha semplicemente riacceso l’attenzione.
Ma questo non è un complimento ad Aprile né ai suoi lettori, che lo apprezzano solo perché digiuni di storia.
Poi, che male ci sarebbe stato nelle riunioni notturne tra Benso e Lanza? La storia è fatta di diplomazie parallele, doppi e tripli giochi. E questi cui allude non erano i peggiori.
Il resto è solo una questione di punti di vista: alcuni motivati, altri meno. Non lo sono quelli dei “revisionisti” (uso le virgolette perché il revisionismo vero è una cosa seria) antirisorgimentali, che finora non hanno proposto prove vere a corredo delle loro tesi.
Cordialmente,
Saverio Paletta
Credo che Indigesto sia il nome giusto di una pagina che tratta in questo modo le argomentazioni di Pino Aprile. Immagini Lei, caro Sig. Palella, che c’è ancora chi prova a negare persino la realtà dell’olocausto. Non mi sorprende la sua tesi. Saluti
Egregio Antonio,
non deve scusarsi per aver sbagliato il mio cognome: la scrittura dei touchscreen fa questi e altri scherzi.
Semmai, e in questo caso qualche scusa la dovrebbe, dovrebbe stare un po’ più attento ai toni che usa: questa è una testata giornalistica e non una pagina Facebook.
Detto questo, Lei ha le prove per dimostrare che io sia un “negazionista” alla Irving e Aprile, viceversa, sia il possessore di chissà che arcane verità?
Siccome l’articolo che Lei critica non è l’unico dedicato al giornalista pugliese e a chi ne condivide le tesi, la invito a leggere altro in questo stesso magazine.
Se ha qualche elemento concreto, lo esibisca pure.
Altrimenti, mi reputo soddisfatto di essere non solo IndYgesto ma anche indigesto: vuol dire che ci ho preso.
Ricambio il saluto
Paletta, chiedo scusa.
Saluti
ECCO CHE ESCE FUORI CON SOTTILI MINACCE!!MI DICA MI DICA SE NON SI LIMITASSE SOLO A RISPONDERMI COS’ALTRO INTENDEREBBE FARMI?
Ma chi l’ha minacciata? Le ho solo detto che i suoi toni maleducati e la sua completa mancanza di stile (che almeno ha dimostrato nei confronti di quel che ho legittimamente scritto) potrebbero suscitare reazioni non bellissime in persone meno civili di me. Mi limito a risponderle per la seconda volta. La terza finisce nello spam. Per quel che mi riguarda.