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La strana corsa di Puidgemont e le lobby della peggiore Europa

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Puidgemont è scappato a Bruxelles, come sappiamo. Ma davvero per chiedere aiuto al Belgio, che considera l’ex president catalano un ingombro? Oppure sotto sotto (e neppure tanto sotto) gatta ci cova? L’annunciata tragedia della Catalogna è finita in farsa: lo Stato spagnolo, con l’avvio dell’indagine su Puidgemont, ha ripreso la sua sovranità e gli unionisti sono scesi in piazza per invocare le manette. Eppure in tanti, fuori dalla Catalogna e dalla Spagna, hanno avuto un ruolo in questa curiosa vicenda di una secessione partita in pompa magna e terminata con una fuga in auto. A partire dalla grande stampa, che ha preso fischi per fiaschi, non si sa con quanta malafede, e ha raccontato male tutta la storia

Ora che tutti gli danno addosso e si ritrova mollato da chi fino a poco prima del referendum lo sosteneva quasi a spada tratta, Carles Puidgemont assapora il gusto amaro della sconfitta.

«Non chiedo l’asilo politico», ha dichiarato a Bruxelles, nella piccola sala (che tutti i media hanno fatto a gara a definire inadeguata) stipata di giornalisti convocati dall’ex capo di un’effimera repubblica durata nemmeno 48 ore.

«Voglio solo sensibilizzare l’Europa». Già: l’Europa che ha detto no al sogno dell’indipendenza catalana, un sogno, tra l’altro che non ha smosso neppure troppo i sonni dei concittadini di Puidgemont, molti dei quali, c’è a scommettere, vedono l’epilogo delle agitazioni iniziate col referendum del primo ottobre come la fine di un incubo un po’ ridicolo.

L’Europa, d’altro canto, non avrebbe potuto dire sì neanche se avesse voluto, perché la Spagna, stato membro e fondatore dell’Ue, non avrebbe mai riconosciuto l’eventuale repubblica indipendente di Catalogna.

I dubbi sono spariti nel bel mezzo della crisi spagnola, mentre il governo di Madrid guidato dal moderato (e politicamente debole) Mariano Rayoj, si apprestava ad attivare il commissariamento della Comunità catalana previsto dall’articolo 155 della Costituzione. In quel momento anche il Partito socialista francese, forse per solidarietà verso i compagni iberici, letteralmente accerchiati dagli indipendentisti che si annidano in tutte le regioni ma si collocano comunque alla sinistra del Psoe, aveva dichiarato la propria vicinanza alla Spagna. E forse proprio allora Puidgemont e i suoi hanno capito che la partita non solo era finita, ma che rischiava di finire peggio rispetto alle previsioni più pessimistiche.

Ora è facile dare del cialtrone all’ex president. È facilissimo persino accusarlo di aver messo a soqquadro un intero Paese per poi scappare assieme ai più indifendibili dei suoi.

Ma chi prima lo ha spalleggiato, fino a farne quasi un eroe, dov’è ora?

Chi lo ha difeso, fino a spacciarlo per martire della democrazia, ora che fa? Basta una banale spulciata su Google per capire meglio: le principali testate italiane ora ridimensionano la vicenda catalana in analisi più o meno sofisticate, mentre prima, quando la partita sembrava ancora aperta, si divertivano a tracciare scenari ipotetici in cui lo Stato spagnolo usciva comunque malconcio.

Ricordate i commenti al referendum del primo ottobre? Tutti o quasi fecero a gara a sottolineare il 90 per cento dei sì uscito dalle improvvisate urne catalane senza tuttavia pesare le medesime. Lo avessero fatto, si sarebbero accorti che queste erano leggerine: contenevano infatti solo il 40 per cento delle schede degli elettori catalani. Ciò significa che, al netto delle statistiche, solo il 36 per cento circa della popolazione voleva l’indipendenza. La vera sconfitta degli indipendentisti, che tra l’altro sono divisi in più movimenti politici (di cui solo due rappresentati nel Parlament) e non costituiscono un fronte compatto, iniziò con la chiusura delle urne.

Peccato solo che quasi nessuno dei tanti osservatori mediatici – difficile a questo punto usare il termine giornalisti – si sia accorto che le tante incertezze di Puidgemont, i suoi tantissimi errori, non fossero altro che le reazioni di un uomo in trappola, stretto tra le pressioni dei suoi ultrà e il timore delle certe conseguenze legali.

Possibile che nessuno o quasi si sia reso conto che il governo di Madrid non avesse alternative al di fuori del commissariamento della Catalogna e dell’avvio delle inchieste giudiziarie, che sono puntualmente partite?

Invece molti giornalisti occidentali hanno continuato a far finta che il proprio pubblico sia più impreparato e sciocco di loro e hanno messo sullo stesso piano un governo regionale animato da velleità secessionistiche, che tra l’altro non avevano il sostegno convinto della popolazione (come ha ribadito l’impressionante manifestazione degli unionisti che hanno invocato in piazza le manette per i vertici della Comunità “ribelle”) e un Paese democratico che tentava di difendere, anche negoziando prima di mettere in campo la polizia, la propria integrità.

E non basta: ancora oggi in tanti hanno insistito in questa favola idiota, paragonando la comica di Puidgemont alla tragedia di Lluis Companys, l’indipendentista fucilato dai franchisti.

A proposito di favole: siamo davvero sicuri che l’ex president sia andato a Bruxelles per chiedere asilo politico? O solo per questo? Non amiamo le dietrologie, ma gli imbarazzi del governo belga e dei nazionalisti fiamminghi nei confronti dell’ingombrante ospite fa sospettare che Puidgemont non sia andato a Bruxelles per chiedere aiuto ai belgi – che difficilmente potrebbero negare l’estradizione data la consistenza, giuridica e sostanziale, delle accuse – ma per lanciare un segnale ben preciso a una parte di quell’eurocrazia che forse ha incoraggiato certe fughe in avanti e ora, a partita persa,fa finta di niente.

A proposito delle accuse: c’è da credere che l’inchiesta avviata dal procuratore generale sia solo l’inizio. Tra le varie, gli scissionisti sono accusati di malversazione di fondi pubblici, che poi sono i quattrini del bilancio usati per il referendum e per la relativa campagna. Ma tutto il resto, le campagne elettorali spettacolari, le manifestazioni di piazza ogni tre per due con abbondante impiego di mezzi, chi lo ha finanziato? Quali poteri si sono nascosti dietro gli indipendentisti? Quali benzinai hanno alimentato certe automobili, guidate da conducenti incapaci persino di rallentare?

Ecco, quando si inizia a indagare sui fondi e sui finanziamenti, possono uscire molte sorprese. E tutto lascia capire che i timori del fuggiasco Puidgemont siano dovuti a molto più e a ben altro delle accuse istituzionali che finora gli sono state mosse.

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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