Stop al lockdown ma non alle idiozie
La fine della fase uno non vuol dire che siamo fuori dai pericoli. Da alcuni guai non usciremo mai: il campanilismo esasperato e i pregiudizi tra italiani, che ora sembrano essersi scatenati a parti invertite. Sud contro Nord….
«Il vizio delle banalizzazioni caricaturali e l’abitudine di parlare senza sapere, è dura a morire. Salverò i miei polmoni dal virus – a Dio piacendo – ma non il mio fegato dagli imbecilli».
Parola di Vincenzo De Luca diventato uno dei volti più noti del Paese durante il lockdown, da lui gestito con draconiana ironia.
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La paura della pandemia, tuttavia, non è riuscita a cancellare certi vizi atavici del carattere nazionale. Ed ecco che, da Nord a Sud, sono esplosi scontri sociali, antagonismi, pregiudizi, e si è verificato il consueto scambio di invettive poco della cultura italiana, sulla scia di localismi incancreniti e duri a morire.
Ordinanze regionali e misure restrittive, che avevano il solo scopo di tutelare a livello preventivo i territori del Sud, hanno dato lo spunto ad accuse di razzismo e di mancanza di solidarietà.
Di più: alcuni gruppuscoli meridionali, scarni nella sostanza ma virulenti sulla rete, hanno invertito i poli della polemica e hanno esibito, nelle loro accuse ai nordisti, un campanilismo degno della retorica pre-bossiana della peggiore Liga Veneta di fine anni ’80.
Tutto questo, sulla scia di valutazioni sgangherate, in cui i fatti sono ridotti a optional e a cui è sfuggito un concetto basilare: le diverse scelte regionali hanno riflettuto solo allarmi diversi ed esigenze diverse.
Facciamo un passo indietro per capire meglio: all’inizio di questa seconda fase di convivenza con il virus l’Italia è apparsa perfettamente divisa in due, ma solo a livello statistico: il Centrosud aveva un contagio contenuto e limitato, a fronte di un Nord che contava ancora tra i 400 e i 1000 casi quotidiani.
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Questa divisione ha indotto alcuni politici (il governatore della Campania, appunto) a rimandare, con la diligenza del buon padre di famiglia, il rompete le righe, in nome di una prudenza, che in questi casi, non è mai troppa.
Il che ribadisce un concetto basilare: è facile essere Zaia in Veneto, ma non lo è altrettanto essere De Luca in Campania, o Santelli in Calabria.
Ma al di là delle differenze economiche, sociali, sanitarie e culturali delle realtà che si è chiamati a governare, il senso di responsabilità e la misura delle parole che vengono pronunciate in sede istituzionale deve essere un elemento comune e imprescindibile ad ogni latitudine.
In caso contrario, l’effetto negativo di libere e soggettive interpretazioni politiche, diventano i classici cerchi prodotti dalla pietra lanciata in uno stagno.
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E questi cerchi si traducono in distorsioni: ne è un esempio la comparsa, in queste ultime settimane, di cartelli affissi in luoghi di villeggiatura delle coste meridionali, che declamano «non si fitta ai settentrionali».
Inutile dire che non è difficile notare in quest’espressione un tocco di soddisfazione maligna per la raggiunta nemesi storica.
Il Covid-19, si è dimostrato capace di inginocchiare il mondo intero, ma non in grado di «stringere a coorte» un popolo che «l’Italia chiamò».
La prudenza preventiva ha prestato il fianco al riacutizzarsi di ataviche contrapposizioni, che indeboliscono lo spirito e la fratellanza esortata da Mameli, al punto che occorre chiedersi: riusciremo mai ad essere italiani per davvero? Purtroppo, ancora e solo ai posteri l’ardua sentenza.
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