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The Great War, un’opera metal per ricordare la Prima Guerra Mondiale

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Gli svedesi Sabaton celebrano le battaglie, i caduti e gli eroi del tragico conflitto che cambiò la storia dell’umanità in un concept album evocativo e potente, senza retorica militarista e pose pacifiste

Si può parlare di guerra senza per forza cadere nei contrapposti circoli viziosi del militarismo o del pacifismo a oltranza?

Che piaccia o meno, i Sabaton, eredi svedesi della grande tradizione del power metal europeo, ci sono riusciti.

I Sabaton in un’immagine recente

Nel loro The Great War, ambizioso concept album uscito la scorsa estate per la storica Nuclear Blast, la Prima Guerra Mondiale diventa un grande racconto epico. Con tutti i suoi orrori, certo. Ma anche con i suoi momenti di gloria, i suoi eroi e le sue luci.

Ma, soprattutto, con una colonna sonora all’altezza: un metal forte (ma mai pesantissimo) dalle melodie dirette ed efficaci e non banali.

Forse si sarebbe potuto pretendere di più a livello di originalità. Ma il metal vive più di canoni che di innovazione. E nell’interpretazione di questi canoni il quintetto scandinavo è capace di un’efficacia rara, con risultati gradevoli per i puristi del genere e apprezzabili per gli ascoltatori colti, che hanno di che deliziarsi con le soluzioni armoniche e il sound tutt’altro che scontati di quest’album.

Il quintetto si ripresenta al suo pubblico (e, più in generale, alle platee metal internazionali) in gran forma, con una line up stabilizzata nel 2016 in seguito all’ingresso del chitarrista Tommy Johansson, che si è integrato alla grande con gli altri membri, a partire dall’altro chitarrista Chris Rorland, assieme al quale sforna un wall of sound compatto e ben armonizzato che risalta ottimamente sulla sezione ritmica granitica e versatile composta dal batterista Hannes Van Dahl e dal bassista Par Sundstrom, membro fondatore superstite assieme al frontman Joakim Brodén.

La copertina di The Great War

Il tutto ben amalgamato dalla produzione compatta di Jonas Kjellgreen.

Torniamo alla musica. E, ovviamente, alla Grande Guerra secondo i Sabaton.

Il primo episodio ricordato dagli scandinavi nell’open track The Future Of Warfare è la durissima battaglia di Fleurs-Courcelette, lo scontro più significativo sul fronte della Somme, in cui i soldati britannici diedero l’assalto alle linee tedesche per una settimana tragica, dal 15 al 22 settembre del 2016.

Il riferimento futuristico del titolo non è un caso: in questa battaglia fecero la loro prima comparsa i carri armati, per la precisione i Mark I utilizzati dai soldati di sua maestà britannica. La musica è in linea con la poetica: i riff durissimi e marziali si sposano bene con gli effetti elettronici e fanno da degna cornice al cantato maschio di Broden.

Ma la Grande Guerra fu anche il palcoscenico di grandi personaggi. Al riguardo, non poteva mancare l’omaggio a un eroe affascinante e controverso come Lawrence d’Arabia, immortalato nell’epica e ariosa Seven Pillars Of Wisdom, che riprende la grande lezione degli Helloween prima maniera e mescola potenza e melodia con grande efficacia.

Lawrence d’Arabia

Forse è vero che non c’è epica senza retorica. E la retorica dei Sabaton risulta convincente nell’ottima 82nd All The Way, dedicata all’impresa strabiliante di Alvin York, caporale dell’82° Divisione di fanteria dell’esercito americano, che l’8 ottobre 1918 mise fuori combattimento da solo, armato di un fucile a ripetizione e di una Colt, venticinque soldati tedeschi e ne catturò centotrentadue sul fronte francese.

Nulla di meglio di un altro pezzo power da manuale per rendere le emozioni di un gesto unico, in cui il valore, le capacità e il coraggio individuali prevalgono sulle strategie e sulla tecnologia.

Il caporale Alvin York

Ma l’eroismo non è solo una virtù dei vincitori. Non a caso, The Attack Of The Dead Men è dedicata alla resistenza eroica dell’esercito russo (la Russia zarista fu l’unico Paese sconfitto della coalizione vincitrice) nel forte polacco di Osowiecz. I difensori del forte rifiutarono di arrendersi sebbene bombardati coi gas e tentarono persino delle sortite per rompere l’assedio.

I Sabaton rendono il clima epico e tragico della battaglia attraverso una linea melodica virile su una base cadenzata e a tratti marziale.

La più spedita Devil Dogs è invece dedicata all’attacco eroico e tragico dei marines alle armate tedesche nel bosco di Balleau agli inizi dell’estate 1918. Fu uno dei combattimenti più violenti e sanguinosi del conflitto, che culminò in feroci corpo a corpo con la baionetta e a mani nude.

Anche in questo caso, la colonna sonora degli svedesi è un power metal potente ed epico, dai cori grandiosi.

Il palco spettacolare dei Sabaton

Altra canzone, altro eroe. E stavolta si cambia schieramento: il protagonista di The Red Baron è Manfred von Richtofen, forse il più grande pilota di una guerra in cui l’aviazione fece la sua comparsa come arma autonoma.

Introdotto da una breve citazione bachiana, il brano è veloce e tirato e vira verso certo hard d’annata (al riguardo, vengono in mente gli Uriah Heep di Return To Fantasy).

Nulla di meglio per descrivere una concezione ancora primordiale della guerra aerea, erede sotto molti aspetti della tradizione cavalleresca medievale, basata sul coraggio e sul valore individuali.

Manfred von Richtofen, il Barone Rosso

Great War è invece una riflessione complessiva sulla guerra come fenomeno di massa, che è poi l’aspetto inedito emerso nel primo conflitto mondiale. Una riflessione spassionata, anche a dispetto del tema eroico, che sembra riprendere un po’ le intuizioni del primo Ernst Junger (anche se occorrerebbe chiedersi se mr Brodén abbia mai letto qualcosa del grande filosofo tedesco). Il motivo ispiratore del pezzo è la battaglia di Passchendaele, nota anche come terza battaglia di Ypres, combattuta dall’esercito del Reich contro una coalizione anglo-franco-belga per il controllo delle Fiandre.

Con l’epica e spedita A Ghost In The Trenches la narrazione si focalizza di nuovo sull’eroismo individuale: il pezzo è dedicato a Francis Pegahmagabow, scout e tiratore scelto del corpo di spedizione canadese, considerato il cecchino più micidiale della Grande Guerra, con circa trecentoquattordici avversari uccisi.

Ma la storia di di Pegahmagabow ha un altro aspetto particolare: il caporale canadese era di origine inuit, probabilmente il primo nativo americano a distinguersi in operazioni militari al di fuori del proprio continente.

Il supercecchino Francis Pegahmagabow

Le tematiche della guerra di massa tornano in Fields Of Verdun, un altro brano power dalle reminescenze helloweeniane, dedicato alla battaglia più violenta del conflitto, con i suoi quattrocentomila morti, dovuti a un impiego a dir poco massiccio delle artiglierie (circa quattro milioni di proiettili sparati).

Piuttosto varia (inizio strumentale lento e suggestivo, sviluppo massiccio su un riffing di vaga ispirazione orientaleggiante), The End Of The War To End All Wars è un omaggio tragico a tutti i caduti, civili e militari del conflitto.

In chiusura, un omaggio particolare alla memoria della Prima Guerra Mondiale: la versione per coro e orchestra di In Flanders Fields, il poema scritto nel 1915 dal tenente medico canadese John McCrae.

Il tenente medico John McCrae

Frastornante, densissimo, massiccio e a tratti un po’ barocco, The Great War è decisamente qualcosa di più di un concept: è il tentativo di imbastire una grande narrazione su una delle massime tragedie dell’età contemporanea, ricordata in tutti i suoi aspetti e, ciò che più conta, al di fuori delle comode narrazioni ideologiche (sinistrorso-pacifiste ma anche militar-destrorse) in cui indulge ancora non poca cultura rock.

Che i Sabaton abbiano tentato di andare oltre il già ambizioso concept (tra l’altro, quasi una tappa obbligata per gli artisti metal), lo si capisce anche dalle varie edizioni uscite in contemporanea di The Great War.

Tra queste spicca The Soundtrack To The Great War, in cui i brani dell’album sono resi in versione strumentale (tranne The Future Of Warfare, interpretata dalla bravissima Floor Jansen dei Nightwish). Anche in questo caso il risultato è notevole, perché gli ottimi arrangiamenti orchestrali di Antti Martikainen valorizzano fuori dai cliché del metal il potenziale melodico del songwriting di Brodén e compagni senza scadere nel sensazionalismo hollywoodiano.

Soldati in marcia verso la battaglia

Degna di menzione anche la History Version di The Great War, in cui i brani sono introdotti dalla voce narrante di Bethan Dixon Bate, attrice famosa per aver prestato il volto ai più celebri videogiochi di simulazione (ad esempio, Silent Hill), che fa da collante ai vari episodi.

Come tutti i prodotti artistici del power metal, The Great War è tendenzialmente divisivo: lo si può rigettare in blocco per la poca originalità oppure adorare per il grande pathos interpretativo.

I Sabaton in azione sul palco

Di sicuro, i Sabaton si sono attirati non poche critiche per la scelta del tema, ma soprattutto per il taglio con cui lo hanno affrontato. Ma queste critiche, che sono il frutto di una visione ideologica dura a morire tra non pochi addetti ai lavori, lasciano davvero il tempo che trovano.The Great War è un godibilissimo invito alla riscoperta di un capitolo forzosamente sommerso della nostra storia, realizzato con un grande senso del racconto e uno spessore artistico notevole. Basta solo questo per consigliarne più di un ascolto attento

Per saperne di più:

Il sito web ufficiale dei Sabaton

Da ascoltare (e da vedere):

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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