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No Lombroso, fine della corsa? Motta Santa Lucia non partecipa al ricorso

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Il sindaco Ivano Egeo fa dietrofront sull’ipotesi di ricorrere alla Corte europea dei diritti umani per ottenere il cranio di Giuseppe Villella dal Museo Lombroso di Torino. Ma l’ex sindaco e il partito di Pino Aprile si giocano il tutto per tutto e fanno pressioni…

Niente titoli di coda cubitali né chiusure ad effetto, magari sui fortissimi di un’orchestra hollywoodiana.

La guerra, dichiarata circa dieci anni fa dal Comitato tecnico-scientifico “no Lombroso” e dal Comune di Motta Santa Lucia al Museo Lombroso di Torino, rischia di finire non solo in nulla (come sarebbe anche giusto, a questo punto) ma addirittura in sordina.

Il padre della criminologia moderna Cesare Lombroso

L’epilogo è annunciato da una nota del Movimento 24 Agosto-equità territoriale, fondato da Pino Aprile nel cuore della scorsa estate e inaugurato a settembre a Cosenza:

«Il M24a-et resta basito nell’apprendere che il comune di Motta Santa Lucia, nella persona del sindaco Ivano Egeo, abbia deciso di non proseguire il ricorso presso la Commissione Europea di Giustizia avverso la decisione della Cassazione che ha respinto l’istanza perorata dall’ex sindaco Amedeo Colacino e dal Comitato no Lombroso in base alla quale si chiedeva la restituzione dei resti di Giuseppe Villella e degli altri meridionali uccisi dai Savoia e in mostra presso il Museo Lombroso. Secondo la Cassazione e quindi anche per lo stesso Egeo, i resti umani e i crani dei nostri avi sono beni culturali e non meritevoli di degna sepoltura».

Fin qui, la solita paccottiglia, con cui il Comitato “no Lombroso” ha sostenuto per circa un decennio la propria battaglia giudiziaria contro il Museo torinese.

Un interno del Museo Lombroso di Torino

Stupisce solo che, di fronte al doppio stop della Corte d’Appello di Catanzaro (2017) e della Cassazione (2019), si continui a rimestare la stessa acqua nella medesima pentola.

È quasi noioso, a questo punto, ripercorrere la vicenda su cui sta per calare il sipario. Chi vuole saperne di più, può spulciare il dossier che abbiamo prodotto attraverso i link che alleghiamo in coda a questo articolo.

In questa sede, ci limitiamo a pochissimi cenni. Come quasi nessuno sapeva fin quando non è esploso il revisionismo antirisorgimentale di matrice neoborbonica, lanciato dal successo di Terroni di Pino Aprile, il celebre criminologo Cesare Lombroso basò la propria teoria dell’atavismo criminale (o, se si preferisce, dell’uomo delinquente o del delinquente nato) sull’esame del cranio di Giuseppe Villella, un pastore calabrese originario di Motta Santa Lucia e morto in carcere a Pavia, dov’era detenuto per furto, nel 1864.

Nella vulgata neoborbonica, il fatto che Villella fosse calabrese diventa l’input per una battaglia ideologica: le tesi di Lombroso diventano improvvisamente razziste antimeridionali e il celebre scienziato assurge al rango sinistro di teorico dell’inferiorità biologica dei meridionali, magari al servizio dei piemontesi, che sulla base delle sue teorie avrebbero sterminato le popolazioni del Sud con la scusa della repressione del brigantaggio.

Domenico Iannantuoni, il presidente del Comitato “no Lombroso”

Insomma, balle sesquipedali, che non hanno retto il vaglio della storiografia e della ricerca.

Ma le ragioni e il linguaggio della scienza hanno sempre meno impatto di quelli di chi cerca notorietà (e magari scorciatoie politiche). Infatti, la predicazione di Domenico Iannantuoni, ingegnere meneghino di origine pugliese e fondatore-animatore del Comitato “no Lombroso”, ha attecchito in parte dell’opinione pubblica e della classe dirigente calabrese. A partire da Amedeo Colacino, all’epoca sindaco di Motta Santa Lucia, che ha schierato da subito il suo Comune nella battaglia contro il Museo Lombroso di Torino.

La battaglia, da culturale e politica, e diventata quindi giudiziaria e, dopo alterne vicende, è finita in niente.

Solo Iannantuoni non si è dato per vinto e, di fronte alla bocciatura della Cassazione, ha tentato l’ultima carta: il ricorso alla Corte europea dei diritti umani (e non, come riporta la nota del M24a-et, Commissione europea di giustizia).

Amedeo Colacino, l’ex sindaco di Motta Santa Lucia

Peccato solo che, nel frattempo, il clima sia cambiato e l’attuale sindaco abbia preso le distanze da certe battaglie.

Il che lo si può notare da un altro, lungo passaggio della nota del partito di Aprile:

«Non comprendiamo la decisione del sindaco in pectore, il quale, insieme al vice sindaco Artibani, votò a favore della deliberazione di consiglio comunale che diede inizio a tale battaglia».

Non è difficile notare il sottinteso maligno: Egeo, quand’era sindaco Colacino, si sarebbe accodato. Ora che è sindaco lui, fa marcia indietro. Per capire a fondo i sottintesi occorrerebbe immergersi nella realtà politica di Motta, un paesino di 800 e rotti abitanti nell’entroterra di Lamezia.

Su questa realtà apre uno squarcio un altro passaggio della nota:

«Dopo dieci anni Motta Santa Lucia, città simbolo della battaglia antilombrosiana, città che ha ottenuto il sostegno di 160 comuni, di una Regione, di una Provincia e di 40mila aderenti, grazie anche alla battaglia portata avanti dal comitato Nolombroso, rinnega se stessa e il proprio passato. Così agendo si pone la parola fine al festival del brigante, si sconfessa Colacino, padre politico putativo di Egeo, il quale ha addirittura dato spazio alla presentazione di libri pro Lombroso. Libri privi di alcun fondamento scientifico e impregnati di razzismo».

A questo punto, alcune precisazioni sono d’obbligo.

Ivano Egeo, se i cognomi non sono opinioni in realtà piccole come Motta, non è solo figlioccio politico di Colacino: ne sarebbe addirittura parente, perché, parrebbe, cugino di Caterina Egeo, moglie di Colacino e avvocata e, in questa qualità, legale del Comitato “no Lombroso”. Ciò fa capire come lo strappo sia stato grosso e, al netto di beghe paesane di cui non siamo comunque a conoscenza, sofferto.

Una vetrina del Museo Lombroso di Torino

Evidentemente, Egeo ha deciso che non fosse più il caso di schierare il proprio Comune in una battaglia che si annuncia perdente per l’ennesima volta e stavolta senza possibilità alcuna di appello. Già: è davvero difficile sovvertire la sentenza d’Appello di Catanzaro, che ha correttamente qualificato i referti del Museo Lombroso come beni culturali sulla base di una normativa statale in linea con la legislazione europea. Diciamo questo con buona pace di chi, in buona e in mala fede, ha sostenuto il Comitato “no Lombroso”: la verità storica e la giustizia c’entrano davvero poco col consenso numerico. E non è colpa di nessuno se i desiderata di Colacino abbiano trovato un macigno piuttosto pesante sulla loro strada, cioè una sentenza, confermata anche in Cassazione, che certifica una verità storica e una tesi scientifica.

Il resto, è solo una serie di contumelie e di illazioni: quali sarebbero i «libri pro Lombroso» di cui parla la nota? E su quali basi si dimostrerebbe il loro preteso scarso valore scientifico? E, peggio ancora, il loro razzismo?

Se Egeo non ha voluto proseguire oltre in questa vicenda e ha deciso di dissociare il proprio Comune, ma soprattutto l’immagine della Comunità da lui rappresentata, dalle tesi neoborboniche, ha fatto bene.

Stupisce, semmai, l’ostinazione con cui il Movimento 24 agosto-equità territoriale continua in questa retroguardia.

La politica, come la storia e la giustizia, sono cose serie. Si eviti di strumentalizzarle, quando questa strumentalizzazione non porta a nulla, se non a intorbidire ancor più le acque. Si vuol far politica e rivendicare i diritti negati al Sud? Lo si faccia, ma sulle cose più urgenti per i cittadini: i bilanci, i servizi pubblici, le infrastrutture.

Lasciamo riposare Lombroso e Villella nel Museo torinese, che custodisce i resti di entrambi. Lasciamoli agli studiosi e alle persone di cultura. E voltiamo davvero pagina: il Sud e la Calabria hanno problemi più seri e meritano risposte più concrete, anche dai seguaci di Pino Aprile.

Per saperne di più:

Lo strano processo, parte 1

Lo strano processo, parte 2

La sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro

L’intervista al discendente ed erede di Giuseppe Villella

La sentenza della Cassazione

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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