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Il riscaldamento globale? C’era già nel Medioevo

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Fino al XV secolo si coltivava il grano in Groenlandia e nel Profondo Nord d’Europa e la vite in Scozia. Gli storici ipotizzano temperature più alte di almeno un grado e mezzo in Nordeuropa e un Mediterraneo “bollente”, al punto che i valici alpini potevano essere attraversati tranquillamente a piedi…

È acquisito in storiografia che nel Medioevo le temperature siano state, in media, superiori rispetto ai periodi successivi. Si parla per questo di periodo caldo medievale od optimum climatico medievale, durato circa mezzo millennio dal IX al XIV secolo circa.

Esiste un’ingente mole di dati empirici convergenti nel riscontrare temperature medie nel Medioevo più elevate sia di quelle dell’era moderna, sia di quella contemporanea, inizio del XXI secolo incluso.

Un’immagine simbolica del riscaldamento globale

Il confine settentrionale dell’olivo era molto spostato verso nord rispetto a quello attuale, venendo coltivata questa pianta mediterranea persino nella valle del Reno, a Colonia, città posta sul 51° parallelo.

La vite era impiantata in Inghilterra settentrionale, sino al 53° parallelo, e nell’attuale Polonia nord-orientale. Oggi la viticoltura è assente in Inghilterra ed il suo confine settentrionale è posto sulla cosiddetta linea Parigi-Nantes. Pertanto, ai tempi di Francesco d’Assisi l’area di viticoltura era spostata di oltre 500 chilometri verso nord. Lo storico anglosassone Humbert Horace Lamb ha puntigliosamente osservato che la vite richiede temperature medie estive che arrivino ad un minimo di 18,5°, mentre oggi in Inghilterra meridionale pervengono a 17°. Questo significa che le temperature climatiche in Inghilterra nel Basso Medioevo erano, come minimo, superiori di 1,5°.

I normanni fondarono in Groenlandia (alla lettera, Terra verde) una loro colonia, che durò secoli, prima di regredire e scomparire completamente nel secolo XV.

Humbert Horace Lamb

La causa fu il mutamento del clima, che dalle temperature più calde dei secoli XI-XIII prese a scendere sempre più ed a diventare freddo. Resta il fatto che in Groenlandia nel Medioevo si coltivava il frumento, ovviamente naturale e non geneticamente modificato per resistere a basse temperature. La cerealicoltura era praticata anche in Islanda e Norvegia settentrionale.

Lo studio delle Alpi ha portato ad una quantità schiacciante di prove che in passato le temperature erano più elevate.

I ghiacciai erano meno estesi, tanto che era possibile nei secoli XII-XIII superare valichi poi divenuti coperti di ghiaccio: limitandosi alle Alpi piemontesi, si possono ricordare quelli del Gigante, il Passo del Monte Bianco tra Courmayeur e Chamonix, quello del Felikjoch tra Gressoney e Zermatt e il Colle delle Loccie al Monte Rosa tra Alagna e Macugnaga, i colli d’Herens e Durand etc.

il declino dei ghiacci dal IX alla fine del XII secolo, durante l’optimum climatico medievale, è provata dall’analisi stratigrafica dei ghiacciai alpini dell’Aletsch, Allalin, Vernagt, Gorner, Fernau e da quello appenninico del Calderone del Gran Sasso.

L’archeologia e i dati documentari dimostrano che nei secoli centrali del Medioevo si coltivavano i cereali e le piante da frutto su quote divenute in seguito proibitive per il freddo, ad altezze superiori di molte centinaia di metri a quelle oggigiorno possibili per l’agricoltura e la frutticoltura. I canali d’irrigazione e le ceppaie per viti esistenti ad altitudini oggi brulle per le basse temperature e risalenti al Medioevo sono tangibile prova del raffreddamento del clima.

La piccola Greta Thunberg, icona dell’allarme climatico contemporaneo

La foresta fossile di Grindelwald, all’interno della morena dell’omonimo ghiacciaio, contiene i resti di un bosco che fu ucciso dall’abbassamento delle temperature attorno al secolo XIII, come dimostra la datazione con il radiocarbonio. Oggigiorno la zona è priva totalmente di vegetazione, mentre sino agli inizi del Duecento era abbastanza calda da consentire la vita di un’intera foresta di pini.

Si calcola che durante il periodo caldo medievale l’altitudine massima della vegetazione arborea sulle Alpi fosse superiore di 450 metri rispetto all’attuale, il che corrisponde a 3° in più nelle temperature.

La variazione corrisponde a quella calcolata per la pianura padana, per la quale una serie di dati conduce alla conclusione che avesse avuto temperature superiori sino a 3° rispetto a quelle attuali, quindi paragonabili a quelle dell’Italia meridionale del XXI secolo.

Lo stesso popolamento animale avvalora il discorso suddetto. Ad esempio, sino agli inizi del secolo XVI in Val Camonica la stagione dell’alpeggio iniziò due mesi prima circa di quando prese a cadere nei secoli successivi.

La comparsa e diffusione della malaria, trasmessa dalla zanzara, insetto che richiede temperature che giungono almeno per 60 giorni a 18° circa, è un altro tassello del mosaico. La malaria comparve in Italia nell’Alto Medioevo (mentre prima pare fosse sconosciuta) e giunse successivamente in Germania, Europa centrale, Inghilterra, addirittura Norvegia.

Immagine fantascientifica di Londra durante un ipotetico surriscaldamento del pianeta

Con il lento scendere della temperatura, la zanzara prese a scomparire prima dal nord Europa, poi dall’Europa centrale, resistendo soltanto in quella mediterranea.

Numerosi storici, tra cui un’autorità indiscussa quale Emmanuel Le Roy Ladurie, sono giunti alla conclusione che l’aumento climatico intervenuto in era medievale facilitò la crescita demografica, favorendo la coltivazione agricola ed aumentandone le rese.

Emmanuel Le Roy Ladurie

Il raffreddamento successivamente sopravvenuto, che portò nell’età moderna a quella che è detta Piccola Età Glaciale, ebbe invece effetti negativi per l’agricoltura e la demografia: fu causa di molte carestie e portò, in generale, a un peggioramento di molte condizioni di vita.

La climatologia storica costituisce una branca specifica della storiografia e, sebbene si sia consolidata con l’École des Annales grazie alla sua impostazione multidisciplinare e all’attenzione alle strutture materiali, essa ha un’origine persino anteriore.

Una bibliografia essenziale per saperne di più:

 S’indicano qui alcuni studi fondamentali consultati: studi pioneristici sono quelli di Umberto Monterin, Lo spopolamento montano nelle ricerche antropogeomorfiche sulla media e bassa Valle d’Aosta con particolare riguardo alla valle di Challant, in Studi e Monografie dell’Istituto Nazionale di Economia Agraria, 16, anno 1932; Idem, Il clima sulle Alpi ha mutato in epoca storica? In CNR, Comitato Nazionale di Geografia, 1937.

Un lavoro capitale è quello di H. H. Lamb. The early medieval warm epoch and its sequel, in Palaeogeography, Palaeoclimatology, Palaeoecology, i, 1965, pp. 13-37. Fra i numerosi studi più recenti; Mario Pinna, La storia del clima. Variazioni climatiche e rapporto clima-uomo in età postglaciale, Roma 1984. Idem, Il clima nell’alto Medioevo, in L’ambiente vegetale nell’alto Medioevo, Spoleto 1990; R. Brázdil, C. Pfister, H. Wanner, H. von Storch, J. Luterbacher, Historical climatology in Europe. The state of the art, in Climatic Change, LXX, 2005, pp. 363-430.

Autore cruciale è Emmanuel Le Roy Ladurie, proveniente dall’École des Annales e professore al Collège de France, definito «Veritable créateur de l’Histoire du climat» ed il più illustre storico della storia del clima d’Europa, che egli ha analizzato in rapporto a quella umana, specie quella socioeconomica. E. Le Roy Ladurie, Histoire du climat depuis l’An Mil, Paris 1967; Idem, Abrégé d’histoire du climat. Du Moyen Age à nos jours, Paris 2007.

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