Intelligence, anche le multinazionali… piangono
Rapisarda, il top manager dell’Eni, al Master in Intelligence dell’Unical: sulla sicurezza aziendale l’Italia è indietro. I problemi di sicurezza di una multinazionale all’opera in zone a rischio
Da azienda di Stato combattiva e, a tratti, eversiva dell’economia energetica mondiale a multinazionale a tutto tondo.
I numeri dell’Eni fanno impressione: attività di vario tipo in 73 paesi del mondo per un totale di 33mila persone che ruotano attorno a questa azienda, che definire gigantesca è poco. E poi la ricerca: non bastano più petrolio e gas, data il recente accordo sulla fusione nucleare col Mit di Boston.
Va da sé che in questa sede non vogliamo fare marchette all’Eni, di cui abbiamo citato le statistiche più vistose solo per chiarire un concetto: un’azienda così grande e dalla attività tanto estese e ramificate in settori sensibili ha enormi problemi di sicurezza, che oltrepassano la semplice sfera economica, dato che il settore dell’energia ha pesanti ricadute politiche e geopolitiche.
E questo concetto ha un corollario indispensabile: l’intelligence è il principale elemento della sicurezza aziendale, specie nelle attività trattate da aziende come l’ex moloch di Stato. Se ne accorse negli anni 50 il leggendario fondatore Enrico Mattei, che prestò più attenzione alla sicurezza dei pozzi e dei giacimenti che alla propria e lo ribadisce oggi il top manager Alfio Rapisarda, intervenuto al Master in Intelligence dell’Unical diretto da Mario Caligiuri.
Stavolta, insomma, il protagonista non è uno 007 né un alto funzionario né uno studioso. Ma l’esperienza di Rapisarda consente di inquadrare l’intelligence, di solito considerata attività statale o legata alla sfera pubblica sotto un altro punto di vista. Intendiamoci: non che l’intelligence economica non sia anch’essa attività tendenzialmente di tipo pubblico e, in quanto tale, suscettibile di far parte a pieno titolo delle attività statali. Tuttavia, la prospettiva privatistica di una grande multinazionale può far capire tante cose: soprattutto i rapporti tra la concezione privata della sicurezza e quella pubblica. In altri termini: Rapisarda rappresenta lo sguardo del privato su vicende che, per entità, dimensioni e fattori di rischio sono pubbliche e tendenzialmente politiche, laddove, viceversa, lo sguardo dell’operatore di intelligence (o della sicurezza) pubblico inquadra i fatti privati nella cornice di esigenze più globali.
Complesso? Certo. E la complessità cresce quando si ha a che fare con soggetti privati di enormi dimensioni, visto che le loro esigenze di sicurezza tendono a somigliare sin troppo a quelle dei soggetti politici.
Puntuale, al riguardo, Rapisarda: «Bisogna tener presente che le variabili geopolitiche sono una componente di rischio da valutare attentamente nell’ambito di una strategia energetica sia nazionale che internazionale». Infatti, ha proseguito il top manager, «l’economia energetica costituisce una leva importante per la crescita economica e sociale, specie per quei Paesi in via di sviluppo che si trovano ad affrontare complessi scenari geopolitici, dove si registrano tensioni legate a conflitti regionali e minacce terroristiche e criminali». Occhio: Rapisarda non ha parlato di economia, che evidentemente considera un semplice presupposto, né di Geoeconomia, che è un altro presupposto, poiché è il corollario geografico delle attività economiche delle multinazionali. Ha parlato, senza mezzi termini di Geopolitica e di scenari geopolitici, come a dire che comunque l’aspetto politico resta quello determinante quando si parla di sicurezza. Almeno per un’azienda come l’Eni.
Proprio per questo, ha spiegato ancora il manager, «L’Eni adotta rigide politiche di security improntate a logiche di prevenzione per misurare, stimare e governare rischi di varia natura: il terrorismo, la pirateria, i sabotaggi, la criminalità, lo spionaggio industriale ed il cyber crime, una nuova forma di minaccia che, per sua natura, è senza confini e quindi ancor più pervasiva e pericolosa».
Quest’elenco nutrito di rischi fa capire ancora di più quanto sia labile il confine tra pubblico e privato nella problematica della sicurezza quando i soggetti a rischio oltrepassano determinate dimensioni. Certo, tra pubblico e privato cambiano i metodi e perciò, secondo Rapisarda, si può tranquillamente parlare di «intelligence aziendale, che è una disciplina fondamentale per integrare una serie di competenze complesse, dalla sociologia alla psicologia, dalla statistica alla giurisprudenza, dall’economia all’informatica, dalla logistica alle scienze della comunicazione. Ogni piccola parte contribuisce alla comprensione dell’insieme». Ed è proprio quello che fa l’Eni, la cui security «monitora ed analizza centinaia di paesi: l’Africa, sia nella parte settentrionale che ad ovest, dove Eni è la prima compagnia petrolifera, il Sudamerica dove è presente da molti anni, l’Europa, il Medio Oriente e l’Asia centrale. Per ogni Paese Eni ha elaborato una mappa dei rischi e delle minacce, analizzando puntualmente una molteplicità di dati. Gestire il rischio significa anzitutto saperlo valutare».
E nel resto d’Italia? Anche nella sicurezza aziendale siamo piuttosto indietro, visto che «non c’è ancora una legge che disciplina la security e le regole che ciascuna azienda adotta vengono mutuate dalla safety, in particolare dalla legge sulla sicurezza nei luoghi di lavoro e dai vincoli relativi alla responsabilità amministrativa delle aziende».
Altro settore poco disciplinato (e, purtroppo, altrettanto poco affrontato) è la cybersecurity. Eppure, ha insistito il top manager, «in un mondo che usa in maniera rilevante internet e che diventerà sempre più “virtuale” la rete sarà sempre più un campo di battaglia. L’aumento esponenziale delle connessioni imporrà perciò di approntare strumenti adeguati per coniugare business e sicurezza non solo nelle aziende ma anche per proteggere la sfera privata».
Un mondo di macchine? Facile a dirsi. In realtà, secondo Rapisarda «anche in questo settore resta centrale il fattore umano, che è l’anello debole della sicurezza». E infatti, ha concluso: «Bisogna pensare alla sicurezza prima che serva. La fiducia, il coinvolgimento e la sensibilizzazione di tutti gli operatori dell’azienda sono decisivi per lavorare nell’ambiente più sicuro possibile». Se non è intelligence, questa…
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