Da Fenestrelle alla Jugoslavia passando per l’Africa, svarioni e falsi storici di un anti-italiano
Angelo Del Boca fu tra i primi a inaugurare il filone storiografico dedicato ai presunti crimini di guerra del Regio Esercito. Ma secondo gli addetti ai lavori c’è più clamore che sostanza nella corposa produzione dello scrittore ed ex partigiano novarese, che ha trasformato l’oikofobia in un cliché letterario…
Il giornalista e pubblicista Angelo Del Boca è conosciuto al pubblico per la sua torrenziale produzione letteraria sulle colonie italiane, ma è stato spesso criticato da non pochi storici di vaglia.
Le contestazioni hanno riguardato la metodologia di Del Boca, che si traduce in una narrazione evenemenziale condita da giudizi politici ed etici; la selezione parziale (a volte faziosa) delle fonti, in cui quelle italiane sono spesso neglette od omesse; l’evidente e da egli stesso ammesso parteggiare per gli africani.
[Sono di notevole interesse i due volumi di Federica Saini Fasanotti, Etiopia 1936-1940. Le operazioni di Polizia Coloniale nelle fonti dell’Esercito Italiano, Roma 2010 e Libia 1922-1931. le operazioni militari italiane, a cura dell’Ufficio Storico Stato Maggiore dell’Esercito, Roma 2012, ambedue scritti con ricorso ad una amplissima ed accurata documentazione e che trattano con equilibrio e senso della misura di vicende già affrontate da Del Boca, offrendo una ricostruzione assai lontana da quella del giornalista novarese. Cfr., inoltre, le contestazioni mossegli dallo storico Pierluigi Romeo di Colloredo Mels in due suoi articoli: https://www.ilprimatonazionale.it/cultura/i-crimini-di-guerra-in-etiopia-la-verita-oltre-la-faziosita-anti-italiana-1-29121/; http://www.ilprimatonazionale.it/cultura/i-crimini-di-guerra-in-etiopia-la-verita-oltre-la-faziosita-anti-italiana-2-29156/].
Anche se è noto principalmente per i suoi scritti sull’Africa italiana, Del Boca si è cimentato anche su altri argomenti, come ad esempio nel suo libro Italiani, brava gente? Un mito duro a morire (Vicenza 2005), che riporta molte ipotesi discutibili o certamente sbagliate.
Ad esempio, Del Boca cade in un errore storico innegabile quando accoglie acriticamente l’infondata congettura su Fenestrelle quale lager. Egli scrive che i militari ex borbonici «furono deportati […] al Nord, in carri bestiame», alcuni nel «forte di Fenestrelle, un autentico campo di repressione», poco dopo definito «lager». Del Boca si basa sul libro del giornalista Gigi Di Fiore, I vinti del Risorgimento, che ripete i canovacci di questa narrativa revisionista, inclusa la cosiddetta vasca di calce (in realtà mai utilizzata) in cui sarebbero stati distrutti i corpi di presunti soldati morti. Il professor Alessandro Barbero, nella sua lunga e documentata monografia che dedica alla mitologia di Fenestrelle lager, di cui prova la totale inconsistenza e spiega anche la genesi, parla di «una denuncia mediatica rapidamente trasformatasi in mistificazione».
[Alessandro Barbero I prigionieri dei Savoia. La vera storia della congiura di Fenestrelle, Roma-Bari 2012 pp. 327].
Lo storico torinese risponde anche alle asserzioni di Di Fiore, scrivendo che si tratta di «affermazioni gratuite, tratte da lavori che di scientifico non hanno nulla […]. Di Fiore, infatti, la faccenda della vasca l’ha letta in un testo che normalmente nessuno storico serio includerebbe fra i propri riferimenti».
[Barbero, I prigionieri dei Savoia, cit. p. 347; sulle critiche di Barbero a Di Fiore, cfr. anche pp. 341-347].
Sarebbe superfluo approfondire qui oltre la questione di Fenestrelle, su cui Barbero ha pronunciato la parola definitiva nel suo studio, basato su documenti d’archivio, sull’esame incrociato delle fonti e sull’analisi dello star dell’arte sull’argomento. D’altronde, ciò è confermato da una monumentale ricerca compiuta sui ruoli matricolari dei Cacciatori Franchi.
Il mito di Fenestrelle lager rientra nel tentativo di Angelo Del Boca spacciare la repressione del brigantaggio come «una guerra di tipo coloniale, che anticipò, per le inaudite violenze e il disprezzo per gli avversari, quelle poi combattute in Africa», sebbene la teoria del colonialismo interno sia contestatissima, per non dire rifiutata dalla storiografia accademica.
[Per lo status quaestionis sull’abbandono della teoria del colonialismo interno, di origine marxista, cfr. Emanuele Felice, Perché il sud è rimasto indietro, Bologna 2013; per una valutazione del brigantaggio che rifugge dagli schemi gramsciani cfr. Salvatore Lupo, Il grande brigantaggio. Interpretazione e memoria di una guerra civile in Storia d’Italia Einaudi, Annali XVIII, Guerra e Pace, a cura di W. Barberis, Torino, 2002, pp. 463-502]
Un altro caso di certo errore storico riportato in Italiani, brava gente? è quanto afferma Del Boca nel capitolo 11, intitolato perentoriamente Slovenia: un tentativo di bonifica etnica. A suo dire, l’esercito italiano durante la seconda guerra mondiale avrebbe cercato di realizzare una pulizia etnica in terra slovena.
Si può rispondere con quanto ha scritto Giorgio Rochat, uno dei maggiori storici militari italiani dopo Piero Pieri e (sia detto per inciso) dichiaratamente antifascista. Rochat, nella sua monografia Le guerre italiane 1935-1943. Dall’impero d’Etiopia alla disfatta (Torino 2005) ricorda come il Regio Esercito nei Balcani si trovò a dover fronteggiare avversari che non rispettavano le leggi di guerra e ciò comportò le reazioni abituali e tipiche di «tutti gli eserciti regolari». [Ibidem, p. 366]
Le istruzioni di Roatta, comandante delle truppe italiane in Jugoslavia, erano banali norme antiguerriglia. Commenta il Rochat: «Sono le norme classiche dell’antiguerriglia, applicate in tutte le guerre contemporanee, con ovvie varianti e qualche limitazione rispetto ai secoli precedenti». [Ibidem, p. 369].
Dello stesso parere è Gianni Oliva, anch’egli lontanissimo dal fascismo: «Vi è stata una politica repressiva del Regio Esercito, simile a quella che gli eserciti occupanti di ogni nazione (comprese quelle più democratiche), attuano in un paese nemico […] dove si sviluppa una guerriglia».
[Gianni Oliva, Si ammazza troppo poco, Milano 2006, p. 8].
Era la dottrina di controguerriglia di tutti i belligeranti dell’epoca, conforme alle leggi di guerra vigenti, che consentivano la fucilazione dei combattenti irregolari e la rappresaglia sui civili.
Le direttive di Roatta non progettavano alcuno sterminio sistematico della popolazione, ma solo repressione dell’attività partigiana. L’inesistenza di una pulizia etnica si manifesta anche dall’ordine di risparmiare chiese, scuole, ospedali, opere pubbliche, e di non servirsi di bombardamenti a tappeto sui villaggi. Il Rochat non ha dubbi sul fatto il Regio Esercito fu, tra tutti quelli impegnati nei Balcani, certamente il meno feroce: «Va comunque ricordato che in una guerra con uno straordinario livello di atrocità e massacri da entrambe le parti, le truppe italiane furono certamente le meno feroci. Anche i più duri ordini dei comandi ponevano limitazioni alle rappresaglie, come il rispetto di donne e bambini. […] Eccessi ci furono certamente, ma per iniziative individuali o di reparti minori, non come regola di condotta delle operazioni». [Rochat cit. pp. 370-371].
L’ipotesi sostenuta da Del Boca del piano di una «bonifica etnica della provincia di Lubiana» è quindi insostenibile. L’esercito italiano adottò normali misure di controguerriglia, abituali all’epoca, e lo fece con una ferocia minore degli altri contendenti.
Del Boca addirittura nega l’attività di protezione di civili condotta dalle unità militari italiane nei Balcani, mentre questo è documentato dallo studio dello storico israeliano Shelah Menachem, Un debito di gratitudine Storia dei rapporti tra l’Esercito italiano e gli ebrei in Dalmazia (1941 – 1943) (Roma 2009). Menachem, professore di storia contemporanea all’università di Gerusalemme, prova che il Regio Esercito salvò una moltitudine di ebrei e di serbi, così scampati alle stragi degli ustascia. Questo storico, dalmata d’origine, fu testimone oculare degli eventi.
Bisogna aggiungere che il capitolo del giornalista contiene anche due singolari omissioni. Primo, egli presenta lo scontro interetnico fra italiani e slavi quale provocato dal fascismo, mentre invece risaliva almeno a metà Ottocento ed era stato scatenato dall’Austria imperiale e dei nazionalisti slavi, in combutta fra loro nel cercare di cancellare l’identità etnica italiana in Venezia Giulia e Dalmazia.
[Sia consentito qui il rimando ad un articolo introduttivo sul tema redatto dal sottoscritto, ovvero L’agonia della Dalmazia italiana sotto Francesco Giuseppe, che riporta la bibliografia essenziale sul tema, pubblicato da www.nuovomonitorenapoletano.it il 29 ottobre 2013].
Secondo, sono assenti nel capitolo di Del Boca i crimini di guerra dei partigiani jugoslavi contro i militari italiani, con le loro innumerevoli e gravi violazioni delle leggi internazionali, che furono la causa dirette delle rappresaglie italiane. [F. Saini Fasanotti, La gioia violata. Crimini contro gli italiani 1940-1946, Milano 2006.] Il giornalista si limita poi ad un rapido cenno delle foibe, malgrado esse siano state per davvero una pulizia etnica e perpetrata dagli slavi contro gli italiani, con la loro cacciata quasi totale dalla Dalmazia e dall’Istria.
Numerose altre contestazioni si potrebbero portare a Del Boca. Ci limitiamo ad un caso emblematico per ragioni di spazio. Al riguardo, ecco come Del Boca descrive il comandante militare turco che aveva combattuto le forze italiane in Libia: «Usciva così dalla scena uno degli avversari più capaci e leali che l’Italia avesse mai incontrato. Un uomo dolce, sensibile, che non conosceva l’odio» (Angelo Del Boca, Gli italiani in Libia. Tripoli bel suol d’amore. 1860-1922, Roma-Bari 1986, ristampato nel 2000, p. 202).
Si tratta del generale turco Ismail Enver, prima comandante in Libia, poi ministro della guerra sotto il governo dei Giovani Turchi. Egli fu membro del triumvirato, costituito, oltre a lui, da Taalat Pascià e da Ahmed Jemal, che assunse il controllo dello stato turco nel 1913 e che concepì e realizzò il genocidio degli armeni.
[V. Dadrian, The History of the Armenian Genocide. Ethnic Conflict from the Balkans to Anatolia to the Caucasus, Oxford-New York 1995].
Uno degli autori del “Grande male”, che quasi sterminò interamente l’antichissimo popolo armeno, è descritto da Angelo Del Boca come capace, leale, dolce, sensibile ed ignaro dell’odio!
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E sì, chiaro che anche fra i partigiani jugoslavi vi era chi veniva meno alle convenzioni internazionali, ma essi, nel bene o nel male, combattevano per il proprio paese e liberarlo dagli invasori stranieri. Noi invece avevamo violato il diritto internazionale già solo invadendo ed occupando un paese sovrano. E a nostra volta avremmo continuato a commettere crimini pure a guerra finita se l’avessimo vinta noi e non gli Alleati. Inoltre, se la vogliamo mettere su questo aspetto, vi saranno stati pure uomini di tutto rispetto tra le file della Wehrmacht (e infatti per lungo tempo oltre al mito “italiani brava gente” vi fu pure quelli della “Wehrmacht pulita e SS criminali”) ma questo non è buon motivo per negare quali erano gli obiettivi dell’Asse. Ripeto, è vero che altre nazioni non si sono comportate diversamente ma il punto sollevato da Del Boca e altri è che per lungo tempo si è detto che il nostro fu un colonialismo all’acqua di rose. Cosa oggettivamente non vera!
Egregio Fatuzzo,
Le consuete scuse per il ritardo di questa risposta.
Vengo al dunque.
Gli eserciti in guerra, fino al Secondo conflitto mondiale, non riconoscevano i partigiani come legittimi combattenti e li trattavano come banditi. Tutti, escluso nessuno (consideri che anche gli angloamericani emisero bandi non proprio leggeri nei territori che occupavano).
A riprova di quel che Le dico, cito un elemento: i britannici gestirono i contatti coi vari movimenti partigiani non in maniera diretta, ma attraverso rapporti informali gestiti dall’intelligence (la cosiddetta “diplomazia parallela”, se la vuol chiamare così). Segno che loro stessi non volevano infrangere una consuetudine del diritto bellico internazionale.
Come tutti i conflitti asimmetrici, anche quello partigiano tende a essere “sporco”. Con tutto quel che ne consegue.
Un cordiale saluto e grazie per l’attenzione,
Saverio Paletta
Ho letto il libro di Pietro Brignoli “Una santa messa per i miei fucilati” sulla occupazione da parte del regio esercito italiano della Jugoslavia e devo dire che le fucilazioni sommarie, l’italianizzazione forzata, l’incendio di case econ dentro la gente che vi abitava erano abbastanza comuni e credo che ciò configuri una sorta di una brutale pulizia etnica.
Egregio Vitali,
I libri si leggono (e vivaddio!) ma si dovrebbero leggere anche con occhio critico. Compreso quello di Brignoli, che è una testimonianza importante sulla tragedia italo-balcanica consumatasi durante la Seconda Guerra Mondiale.
La testimonianza del sacerdote è importantissima, ma non aggiunge né toglie niente a quanto si è detto e scritto a proposito dei presunti crimini di guerra. Le fucilazioni arbitrarie? Ci sono state. Le rappresaglie? Anche.
Ma questi comportamenti, riprovevoli da un punto di vista umano, erano la risposta dei nostri militari a una guerriglia feroce e strisciane, che non distingueva tra militari e civili.
So che è facile essere fraintesi quando si operano certi distinguo. Ma ciò non toglie che vadano fatti, se davvero si vogliono conoscere le dinamiche che portarono a certe tragedie. Al riguardo, occorre ricordare che i militari italiani ebbero senz’altro la mano pesante, tuttavia furono l’unico corpo di occupazione a muoversi dentro le convenzioni internazionali (che, ribadisco, consentivano queste ed altre rappresaglie).
Furono criminali questi comportamenti? Reputo la domanda oziosa, perché in guerra tutto può essere crimine.
Di sicuro furono criminali i comportamenti dei titini, che operarono con ferocia sulle popolazioni, italiane e slave, a guerra finita e al di fuori di ogni regola.
Con questo non voglio alleggerire i comportamenti del Regio Esercito, ma semplicemente chiarire un concetto: i paragoni tra le azioni di militari in un teatro di guerra e dei partigiani a guerra finita sono impropri.
E d’altronde neppure Brignoli parla di crimini di guerra…
Grazie per l’attenzione
Saverio Paletta
Lei sta evidentemente vaneggiando. A partire dal concetto di “rappresaglia” fino a dire che i soldati italiani (che non corrispondevano solo al Regio Esercito, vi erano anche le camicie nere) si comportarono sempre entro i limiti del rispetto delle convenzioni internazionali e non vi era la pulizia etnica come obiettivo. Ebbene, il concetto di rappresaglia che normalmente è accettato dal diritto internazionale è quello di un’azione di autotutela effettuata da uno Stato contro un altro Stato, in risposta a un precedente atto illecito commesso dal secondo contro il primo. Non è assolutamente contemplata da alcuna Convenzione, oggi come allora, quello di azione militare punitiva caratterizzata da inumanità e da violenza indiscriminata, posta in essere da una forza occupante ai danni della popolazione civile della regione occupata. Al contrario, in tal caso è legittimato il diritto della popolazione autoctona di RESISTERE con tutti i mezzi a sua disposizione contro le forze occupanti. E fino aprova contraria, noi siamo stati gli invasori mentre slavi, libici ed etiopi gli invasi. Cosa avrebbero dovuto fare, orecchie da mercante mentre degli stranieri prendevano il controllo delle loro terre?Avrei poi da ridire sul fatto che si tutelava l’incolumità di donne e bambini (quando se ne sono deportati ad Arbe e Gonars in cifre che la metà bastava) e non si colpivano obiettivi civili durante i bombardamenti quando essa era una prassi in Africa (la Croce Rossa ne sa qualcosa) come nei Balcani (sia autonomamente che in concomitanza con la Luftwaffe). Difatti, andammo contro le convenzioni internazionali ancor prima che spuntasse un solo partigiano e a difendere il paese era semplicemente l’esercito regio jugoslavo. Del resto gli ordini di Mussolini e Roatta erano chiari, gli uomini al fronte non sarebbero stati abbastanza ladri, stupratori o assassini seppur bravi padri di famiglia in patria. E sì, l’intento fu certamente quello della pulizia etnica. O forse le forze dell’Asse tripartito non avevano in mente progetti politico-razziali coerenti con le loro idee sanguinose e contorte di creare un nuovo ordine mondiale in cui la Germania avrebbe predominato sull’Euro continentale, l’Italia nel Mediterraneo ed il Giappone in Asia e le etnie giudicate inferiori sarebbero state sterminate o schiavizzate?Gli slavi erano fra questi. L’Italia e la Germania non sono entrate in Jugoslavia per sbaglio, ma avevano delle mire politiche e la condotta della prima fu abominevole quanto quella della seconda. E su questo si è sempre basato il lavoro di Del Boca, smentire il falso luogo comune dell’ “italiano buono e tedesco cattivo” che per troppo tempo si è propagato insieme al fatto che l’unica cosa negativa da noi fatta furono le leggi razziali pur al contempo sempre specificando che la nostra storia coloniale e bellica non fu migliore, ma neanche peggiore di quella delle altre nazioni europee. Anti-italiano dunque non è Del Boca, ma chi vede come qualcosa di cui andare fieri ed orgogliosi un periodo, quello del fascismo, che ha creato solo nocumento e disonore al nostro paese. Mi dispiace, se ho apprezzato gli articoli di smentita delle bufale neoborboniche in questo articolo trovo solo scivoloni anti-storico che, volente o nolente, riabilitato il mito degli “italiani brava gente”.
Egregio Fatuzzo,
Le chiedo innanzitutto umilmente scusa per il ritardo della mia risposta.
Detto questo, Le rispondo per mera cortesia (e perché non mi tiro mai indietro).
Innanzitutto, non usi espressioni pesanti: l’autore dell’articolo, Marco Vigna, è un professionista della materia, abituato a lavorare su fonti serie e dirette.
Nessuno, quindi, “vaneggia”. Al massimo, si possono dire imprecisioni.
Vengo al dunque: il concetto di rappresaglia è formalmente quel che dice Lei. E’ un cardine del vecchio Diritto bellico. Ma l’uso militare lo ha reso ambiguo, fin quasi a confonderlo con quello di “ritorsione”.
Non entro in disquisizioni terminologiche. Ma mi pare chiaro che negli anni ’30 e ’40 tutti gli eserciti praticassero ritorsioni col nome di rappresaglie.
Lei cita alla rinfusa vari casi, di controguerriglia coloniale e di controllo bellico di un territorio. Di fatto, queste vicende, hanno un dato comune: un territorio “debellato”, di cui cambiano le autorità, e la necessità di mantenervi un minimo di sicurezza, per le truppe occupanti e per la popolazione non belligerante (di solito, sono i più).
L’uso di certi metodi, non era solo italiano ma fu praticato da tutti gli eserciti fino alla conclusione della Seconda guerra mondiale.
Ora, per il caso jugoslavo, consideri che la pratica della decimazione era contemplata nella famigerata circolare 3C di Roatta. Questa era un atto pubblico, col quale il Regio Esercito dichiarava come si sarebbe comportato nei territori occupati. Come Lei, stimo poco, molto poco Roatta. Ma non lo faccio così cretino da dichiarare crimini di guerra in un atto pubblico. Infatti, Roatta nel dopoguerra fu processato per altro (il delitto Rosselli) ma non per i comportamenti tenuti dal Regio Esercito in Jugoslavia.
Eviterei, se possibile, un’altra confusione: continuare a considerare i partigiani monarchici di Michailovic dei soldati. Con la “debellatio” del Regno di Juguslavia, anche l’esercito mutò forma e divenne movimento partigiano. E, a livello di Diritto bellico, fu soggetto a un trattamento diverso, senz’altro più brutale, di quello riservato ai legittimi combattenti.
La ringrazio per l’apprezzamento espresso sull’opera di debunking che abbiamo riservato alle bufale neoborb.
Ma, Le posso assicurare, c’è una continuità tra quel dossier e questi contenuti, che evidentemente non gradisce. La differenza tra Angelo Del Boca e i vari Pino Aprile è essenzialmente una: Del Boca, per quanto fazioso e travisatore, era attrezzato come storico. Ma tra l’anti italianità di Del Boca e lo pseudo-revisionismo apriliano c’è il medesimo filo conduttore: il masochismo nazionale come metodo storiografico, di cui certo borbonismo è il classico frutto marcio.
Noi saremo anti-storici. Ma la buonanima di Del Boca era l’esempio tipico di disonestà intellettuale. Il mio è solo un giudizio personale, ci mancherebbe. Ma mi concede che sia fondato almeno quanto il Suo?
Un saluto,
Saverio Paletta
Come ho scritto in altra discussione di lui ho letto solo la biografia che ha pubblicato anni fa su Gheddafi . Mi basta e avanza . Non un cenno ai prigionieri politici , alle impiccagioni , alla guerra contro i Tebu del Ciad per depredare il loro territorio. Niente di niente. Gheddafi appariva un grande uomo di Stato
Certo che è imbarazzante accusare gli altri di fare pulizia etnica e negare le proprie semplicemente perché della propria parte politica.
Che Del Boca abbia preso qualche cantonata, è innegabile. Io sarei molto cauto però nel fare riferimento ad articoli apparsi sul giornale online “Ilprimatonazionale.it”, notoriamente espressione di Casapound, associazione che si definisce apertamente “fascista”, posizione ideologica e culturale che non mi sembra esattamente la più indicata per affrontare questi temi.
Non è che ci sia una certa confusione tra Lorenzo Del Boca e Angelo Del Boca?
Chiedo scusa: dove starebbe la confusione? Abbiamo sempre scritto di questi due giornalisti, che hanno un tratto comune: l’anti italianità, corroborata dal ricorso alle fake news.
Tuttavia, questo tratto comune non ci ha impedito di distinguerli e di criticare ciascuno dei due a prescindere dall’altro.
Un cordiale saluto e Buona Pasqua
Saverio Paletta
Le segnalo che l’immagine con didascalia: SOLDATI ITALIANI IN ETIOPIA presente nell’articolo in realtà rappresenta la cattura di un nostro vessillo militare da parte di truppe sud-africane.
Grazie infinite per la segnalazione. Provvederemo quanto prima a correggere.
Saverio Paletta
Ok, però sull’uso dei gas in Africa Orientale mi pare fosse stato il primo a denunciare tale crimine di guerra. mentre in Itlaia venica censurato tutto, pure un film come Il leone del deserto. Diciamola tutta la verità
Egregio Gianluca,
Mi permetto di ricordarLe che sulla vicenda si tennero procedimenti a carico degli ex vertici dell’Esercito e delle autorità coloniali, i cui atti sono pubblici- Anche Montanelli prese posizioni al riguardo negli anni ’80 (mi permetto di rinviarla a L’Italia Littoria).
Grazie per l’attenzione
Saverio Paletta