Se spie e diplomatici vanno a braccetto è meglio per tutti
L’ambasciatore Valensise al Master in Intelligence dell’Unical: la collaborazione tra i Servizi e le ambasciate è indispensabile per l’interesse nazionale
I tempi in cui, specie in Medioriente, i nostri 007 bisticciavano coi diplomatici sono lontani. Anzi, oggi «intelligence e diplomazia sono, nella pratica quotidiana, due strumenti complementari che perseguono lo stesso obiettivo: difendere la comunità e l’interesse nazionale».
Parola di Michele Valensise, uno che conosce nei dettagli l’arte sofisticata e complessa della diplomazia e, per ragioni d’ufficio sa di intelligence più di quanto non dia a vedere.
Calabrese di origine (è nato a Polistena), ambasciatore di lungo corso, anche in zone a rischio – la Beirut degli anni ’80 e la Sarajevo ancora devastata dalla guerra civile della ex Jugoslavia -, e segretario generale del Ministero degli Esteri dal 2012 al 2016, Valensise ha parlato dei particolari rapporti tra Servizi e ambasciate al Master in Intelligence dell’Università della Calabria diretto da Mario Caligiuri.
«I canali di comunicazione tra i due comparti, un tempo prevalentemente formali, oggi hanno importanti contenuti sostanziali, grazie a una “cultura della collaborazione” a livello centrale e nelle rappresentanze estere. Inoltre, la collaborazione fra intelligence di paesi diversi è sicuramente un aspetto fondamentale», ha spiegato l’ambasciatore.
I sottintesi di questo ragionamento sono rilevanti: considerato che gli operatori dell’intelligence e i diplomatici svolgono operazioni simili, cioè raccolgono informazioni e le valutano, la comunicazione tra questi due settori, che garantiscono indipendenza di giudizio e lealtà alle istituzioni, è preziosa per i decisori politici.
Detto altrimenti, i Servizi e il corpo diplomatico sono due elementi forti dello Stato profondo, che rappresenta la continuità istituzionale ed è perciò un sostegno indispensabile alla parte politica, che è condizionata molto di più dagli aspetti elettorali e dai problemi del consenso.
Perciò, ha proseguito Valensise, «Se le scelte dei decisori politici devono essere sempre più basate su informazioni attendibili e circostanziate, nel nostro mondo caratterizzato dal disordine è auspicabile un multilateralismo della sicurezza: problemi ed emergenze globali necessitano approcci e soluzioni globali». Quindi «realmente rilevante è l’efficacia dell’azione che deriva proprio dal grado di sinergia che si può stabilire tra diplomazia e servizi segreti».
Che aggiungere d’altro? Gli argomenti non mancano e difatti Valensise si è soffermato su due cardini tradizionali del posizionamento internazionale dell’Italia: l’adesione all’Unione europea e la collaborazione transatlantica. Entrambi hanno garantito settanta anni di pace e di sviluppo.
Quel che ancora manca, invece, «è una politica estera comune dell’Ue, per la perdurante ritrosia degli Stati nazionali a delegare a un ente sovranazionale le loro prerogative in questo campo. Tuttavia è la stessa congiuntura internazionale a ricordare spesso la necessità di un’Europa in grado di parlare con una voce sola». Un obiettivo forse ancora lontano, ma da non perdere di vista.
Allo stadio attuale, «il rilancio dell’Unione Europea potrebbe fondarsi su tre Paesi: la Germania, forte anche di un ultimo accordo di governo che evidenzia il progetto di integrazione europea; la Francia, oggi con rinnovato slancio europeo, che con la Germania negli anni cinquanta volle sostituire il metodo della pace a quello della guerra che aveva insanguinato i due Paesi per secoli; l’Italia, uno dei membri fondatori dell’Unione, dalla quale nell’arco di sessanta anni abbiamo ottenuto ben più vantaggi che svantaggi».
Pertanto, ha concluso l’ambasciatore Valensise, «per essere ascoltati in questo scenario occorrono una buona intelligence e una buona diplomazia. Esse sono tali se sono credibili, coniugando legalità dei mezzi e legittimità dei fini». E se lo dice lui…
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