Sigarette elettroniche, al via gli emendamenti anti-Vicari.
Una senatrice alfaniana più volte nel mirino della magistratura (contabile prima e penale poi) e un suo collega del Pd da decenni in Parlamento e legato col fil di ferro alle caste, inclusa quella dei tabaccai. Ecco gli identikit di chi tenta di affossare il mercato della nicotina elettronica. Intanto inizia la battaglia a colpi di emendamenti per fermare il decreto Vicari che, se applicato, metterebbe fuori combattimento circa 2.500 aziende
Dopo l’imbarazzante siparietto di Report, non ci sono più dubbi (e già prima ce ne erano pochi): l’emendamento Vicari, che colpisce i circa 25mila negozi, fisici e online, i loro 40mila lavoratori circa e il milione e rotti di consumatori di nicotina elettronica, altro non è che una manovra, piuttosto malaccorta, per tutelare interessi che poco hanno a che fare con la salute dei cittadini: quello dei Monopoli di Stato e quelli dei tabaccai.
Il giù la maschera non l’ha dato solo la composita pattuglia parlamentare,che include anche i dissidenti del Pd, a cui ha dato voce il deputato calabrese Sebastiano Barbanti.
Ma c’è da dire che, una volta tanto, gli italiani avevano capito per tempo la manovra.
E ora si stanno documentando a dovere anche su chi l’ha proposta.
È il caso di una rapida ripassatina.
Iniziamo dalla siciliana Simona Vicari, ex forzista e alfaniana di ferro, però consorte di un ex militante di Rifondazione.
Protagonista di una carriera politica piuttosto accidentata, la senatrice ha fatto più volte i conti con la giustizia. E non è un modo di dire, visto che si tratta della giustizia contabile.
Nel 2014, infatti, la Corte dei Conti l’ha condannata a risarcire il Comune di Cefalù, di cui era stata sindaca circa otto anni prima della bellezza di 218mila e 513 euro, per aver cumulato le indennità di prima cittadina e di deputata all’Assemblea regionale siciliana.
La Vicari non ha fatto in tempo a protestare la correttezza del proprio operato che, due anni dopo, la sezione d’Appello della stessa Corte le ha dato un piccolo bis: la condanna a risarcire il suo ex Comune di 5mila e 534 euro per aver conferito un incarico di progettazione senza copertura giudiziaria.
Ovviamente, si ricorda per puro garantismo che le due condanne devono essere ancora confermate.
Se lo fossero, cosa che non speriamo, gli italiani avrebbero una prova in più che la senatrice era inadatta a fare la sottosegretaria alle Infrastrutture, ruolo da cui si è dimessa dopo aver ricevuto l’avviso di garanzia. Soprattutto a gestire la delega alla Concorrenza affidatale da Renzi e confermata da Gentiloni.
Qualche dubbio, a dire il vero, lo ha suscitato l’inchiesta della magistratura, stavolta penale, dello scorso maggio, in seguito alla quale si è dovuta dimettere perché sospettata di corruzione. Ma non occorreva arrivare a tanto, a dire il vero: bastava il suo emendamento per capire in che conto la Nostra tenga le piccole e medie imprese e i quattrini pubblici.
Peggio che andar di notte nel caso di Ugo Sposetti, il senatore del Pd impallinato dall’inviato di Report: lui è il classico esempio di professionista della politica che è riuscito a stare a galla nonostante che il mondo cambiasse.
Classico ferrovecchio del Pci, Sposetti riuscì ad esordire in politica quando ancora i partiti erano in grado di trasformare tanti figli di nessuno in padri di qualcuno. Cosa nobilissima, ci mancherebbe, ma che ora gli italiani pagano carissima, tanto più che i Padri Fondatori della Repubblica probabilmente non intendevano legittimare una casta. Quella di cui Sposetti fa parte a pieno titolo, visto che ha lavorato come ferroviere dal ’69 al ’76, prima di iniziare la carriera politica come segretario dei comunisti viterbesi e proseguirla senza soluzione di continuità all’interno delle successive mutazioni del Pci.
Anche il senatore ha un rapporto piuttosto burrascoso con le finanze: lo provano le polemiche in cui rimase coinvolto in qualità di tesoriere dei Ds nella vicenda Bancopoli.
Solo polemiche, per carità. Ma che dipingono bene il personaggio: un apparatnik piuttosto tignoso, per cui le cose sono rimaste congelate agli anni ’70. Infatti, a scorrere brevemente il curriculum di Sposetti, balzano all’occhio il tentativo di ripristinare il finanziamento pubblico ai partiti e la scelta di contrastare l’abolizione del vitalizio ai parlamentari.
Infine la chicca di Report, che ha scoperto i 30mila euro di finanziamento elettorale graziosamente elargiti dalla lobby dei tabaccai.
Niente di male in tutto questo: preciso fino alla pignoleria, Sposetti ha dichiarato tutto fino all’ultimo centesimo. Peccato solo che gli italiani abbiano saputo a cose fatte sia dei quattrini sia del fatto che il senatore è stato il primo a tassare le sigarette elettroniche, per motivi che, ancora una volta, poco hanno a che fare con la salute degli italiani.
Il che fa venire un dubbio: non è che il Pd abbia delegato gli alfaniani a fare i lavori sporchi? In fin dei conti, chi ha tradito il proprio leader (Berlusconi), con cui magari ha fatto carriera, può fare di tutto. Incluso pugnalare con cipiglio moralista le tasche di un milione e rotti di italiani che hanno la sola colpa di praticare un vizio, il tabagismo, in maniera meno nociva, per sé e per il proprio prossimo.
Ora, non ci piove che il mercato del fumo elettronico vada regolamentato e che i controlli sanitari sulla nicotina liquida debbano essere più stringenti. Ma da qui a supertassare i prodotti e obbligare nei fatti alla chiusura molte attività ne corre.
Non resta che sperare negli emendamenti. E che questi emendamenti siano efficaci.
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