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Ascend, torna lo stoner metal inquietante e oscuro dei Vodun

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Il trio londinese sforna un secondo album pieno di riferimenti all’esoterismo afro, al vudù e con un’intelligente strizzatina d’occhio agli Skunk Anansie prima maniera

Di sicuro i Vodun meritano più attenzione dalla stampa specializzata e dalle webzine.

Il trio britannico, col recentissimo Ascend (New Heavy Sounds) ripropone il suo stoner potente, psichedelico e micidiale, pieno di venature afro.

Il paragone con gli Skunk Anansie vecchia maniera, ripetuto come un mantra in tutte le recensioni, è corretto e, in buona parte, inevitabile. Ed è dovuto in buona parte alla somiglianza spiccata tra la vocalità di Chantal Brown e quella della mitica Skin (ma la similitudine finisce qui, visto che la polposa stregonessa londinese ha una fisicità afro decisamente opposta a quella della celebre queer queen).

I Vodun

Tuttavia, i Vodun sono molto di più dei nuovi Skunk Anansie: sono ciò che gli Skunk sarebbero potuti diventare se avessero osato di più.

A dispetto della mancanza del basso, supplito egregiamente dai trucchetti del chitarrista Linz Hamilton, il wall of sound dei Vodun è impressionante per groove, potenza e varietà. E il fatto che alla batteria sieda una donna non tragga in inganno: Zel Kaute picchia come una dannata e dà i punti col suo tocco heavy a molti colleghi del sesso forte.

L’esoterismo afro, presente nei testi e nel look, dà infine quella marcia in più in termini di immaginario alla band londinese.

La copertina di Ascend

Dire stoner può non voler dire nulla, dato che in questo particolare genere derivativo c’è di tutto e non solo i vecchi Black Sabbath. I quali, però, fanno comunque capolino in Spirits Past, open track e primo singolo tratto da Ascend: il riff di Hamilton cita garbatamente lo Iommi d’antan, per le sonorità sulfuree, il downtuning e i cambi di tempo cervellotici. Ma il brano presenta qualche finezza: l’uso del campanaccio come elemento ritmico che crea un contrasto curioso con il riffing pesante (che nella seconda metà del brano diventa quasi thrash) su cui si libra la voce acuta ed eterea di miss Brown.

Started From parte con un altro riff pesantissimo, di marca death metal, ma è solo l’attacco, perché il brano evolve con un refrain movimentatissimo, in cui spicca ancora il contrasto tra la voce acuta e leggiadra e la dinamica sonora pesante, sia nel classico call & respnse tra chitarra e voce della strofa, sia nei crescendo in stile anni ’70 (sennò che stoner sarebbe?). Molto particolare il bridge in spoken word, in cui la Brown declama versi su un tappeto di percussioni spezzato dagli accordi pesanti di Hamilton.

Providence Of Ancestors, ovvero: l’heavy metal rivisto e (s)corretto dai Vodun: tempi veloci, cambi di tempo, stop and go e – finalmente – un assolo di chitarra dai fraseggi veloci e dal suono lancinante.

Un riff doom cupo e bassissimo apre Ogun’s Fight, che sfocia in aperture melodiche di sorprendente delicatezza, impreziosite dalle citazioni afro della Keute, che alterna la cassa, il rullante e il campanaccio con grande finezza.

Time Honoured si segnala per l’arrangiamento minimale e il ritmo sghembo, che esplodono in crescendo violentissimi pieni di citazioni del metal settantiano (Black Sabbath in testa, ma anche Blue Oyster Cult).

Le percussioni afro e i riff acidi di New Doom sono un altro tuffo negli anni ’70 in cui i Vodun non si privano di niente, compreso il crescendo funky del bridge centrale.

L’alternanza tra refrain minimale e sfuriate stoner metal ritorna in Elusive Freedom, che nella seconda metà si scatena in una galoppata veloce e robusta, impreziosita dal cantato epico della Brown.

Ascend, la title track, è un caleidoscopio sonoro di estrema varietà, in cui i ritmi afro, i riff sabbathiani, le citazioni afro e gli ammiccamenti funky si susseguono senza posa, come se il pezzo fosse un Bignami del songwriting dei Vodun.

Le atmosfere si fanno più orientaleggianti in Rituals, in cui la ritmica afro lancia dei richiami ai riti più notturni del vudù.

Chiude la tribale For Your Kin, due minuti e un secondo di parossismo, dove la band dimostra un’eccellente padronanza delle dinamiche, passando da momenti di estremo minimalismo (l’attacco e la chiusura, davvero suggestiva), a crescendo di selvaggia ferocia.

Per i fan, c’è una bonus track, la versione di Spirits Past lanciata come singolo su Youtube.

I Vodun in azione sul palco

I Vodun sono orgogliosamente underground (anzi: chi più underground di loro?), ma ciò non toglie che non abbiano le potenzialità per arrivare a un pubblico vasto, grazie al mix di generi interpretati con originalità e potenza che costituisce la loro offerta musicale.

Ascend merita più di un ascolto attento perché, il trio di Chantal Brown è molto più diuna stoner band che sogna l’Africa e pratica il vudù.

Per saperne di più:

Il sito web dei Vodun

Da ascoltare (e da vedere):

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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