Falsi diplomi, le vere vittime non possono parlare: sono i disabili
Nell’inchiesta cosentina che ha indignato l’Italia emergono 35 diplomi tarocchi per il sostegno
L’insegnamento ai disabili è il settore più gettonato dagli aspiranti prof: molti ci provano, anche senza avere i numeri
Ma è una materia delicatissima, su cui lo Stato dovrebbe vigilare e selezionare con molta attenzione…
Ancora una volta Cosenza ha avuto la ribalta delle cronache “che contano”: quelle dei tg nazionali e di quelle testate, Corriere e Repubblica su tutte, che, a dispetto della crisi, sono ancora in grado di fare articoli che pesano come sentenze.
Ancora una volta le statistiche e i “primati” non c’entrano se non in negativo: a meno di dieci giorni dall’indagine sugli appalti “spezzatino” del Comune è emersa la vicenda dei diplomi falsi e, quindi, degli insegnanti abusivi, che è decisamente più grave perché gli interessi coinvolti non sono solo “materiali”, sebbene gli stipendi erogati per anni a chi non aveva titolo a percepirli costituiscano già un danno erariale non leggero.
Gli interessi “immateriali” in ballo in questa brutta storia pesano di più perché riguardano il diritto delle generazioni future ad avere una formazione adeguata (già: il “diritto allo studio” tanto declamato è soprattutto questo) e, purtroppo, riguardano soprattutto i disabili o comunque i ragazzi che necessitano dell’insegnamento di sostegno, che sono i veri danneggiati.
Lo dicono i numeri: su 35 diplomi falsi scovati dagli inquirenti della Procura di Cosenza, 13 sono di Istituto Magistrale e 22, appunto e purtroppo, riguardano l’insegnamento di sostegno.
La storia ha anche un altro aspetto sgradevole: i diplomi di specializzazione per il sostegno sono stati rilasciati da un istituto paritario chiuso da 15 anni.
E proprio questo dettaglio ci consente di aprire uno squarcio su un meccanismo scolastico al limite della patologia: il business dei disabili.
Già: a causa della crisi il pubblico impiego, in particolare il mondo della scuola, è diventato un rifugio per soggetti che, a prescindere dalla reale qualificazione e “vocazione” (l’insegnamento è un settore delicato che richiede passione e doti particolari), hanno bisogno di produrre un reddito. E purtroppo proprio l’insegnamento di sostegno, che è diventato la “porta” più comoda per entrare nelle scuole, è il settore più a rischio di distorsioni.
A Cosenza si è visto l’aspetto più patologico di queste distorsioni: persone che, stando alle accuse, avrebbero usato titoli falsi per entrare in un settore per il quale non sono qualificate.
Ma non servono i carabinieri per capire che anche il sostegno “vero”, praticato cioè da persone che invece sono a posto coi titoli formali, può essere a rischio, perché per un disabile un buon docente di sostegno fa la differenza tra un apprendimento efficace e l’emarginazione.
Al riguardo, la domanda è persino scontata: che garanzie può dare un sistema che attira più per ragioni di bisogno, quello dei prof di guadagnare, che sulla base di attitudini, ad esempio capire e affrontare i problemi particolari dei propri allievi e delle loro famiglie?
La maggior parte di chi ambisce a una cattedra di sostegno lo fa solo perché è la via più comoda per insegnare e arrivare al posto fisso. Ed ecco che, negli anni, se ne sono viste di tutti i colori: ingegneri disoccupati che si sono abilitati prima nell’insegnamento di materie scientifiche e poi si sono specializzati nel sostegno; docenti altrimenti precari o disoccupati delle più varie discipline che hanno “scoperto” il sostegno per sopravvivere in una società e in una scuola che sono diventate jungle.
Se le cose stanno così, non meraviglia che qualcuno sia arrivato al punto da usare titoli falsi per arrivare allo scopo.
Ora, l’inchiesta è appena iniziata tra i clamori che uno scandalo è ancora in grado di suscitare negli ambienti di provincia. Ma è chiaro che, comunque vada (e noi teniamo le dita incrociate perché gli inquirenti facciano davvero luce su tutto), quest’indagine potrà al massimo scoprire e punire dei colpevoli, non fare giustizia.
La giustizia in questo settore delicato, in cui i bisogni dei disabili si intrecciano con i doveri della scuola, deve essere fatta prima, tramite adeguate selezioni e controlli rigorosi.
I bambini “normali” sanno e possono difendersi anche da soli da un cattivo insegnante. Possiamo dire lo stesso per i disabili?
Saverio Paletta
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