Ma la pubblicità è ancora l’anima del commercio?
Due agenzie pubblicitarie con lo stesso nome e nella stessa zona: capita solo in Calabria
All’anima del commercio. La pubblicità potrebbe diventare l’anima delle frodi. Non ci si riferisce, va da sé, a quelle già perseguite dalla normativa fittizia sulla pubblicità ingannevole.
Ma alle presunte frodi fiscali e patrimoniali. E in questo caso l’attività effettivamente svolta conta poco: bastano una partita Iva e dei conti correnti agganciati a una persona giuridica che faccia da schermo ai movimenti finanziari. Poi non importa che la società sia stata costituita per vendere mozzarelle o, appunto, per gestire la pubblicità. Basta che transitino i quattrini e chi s’è visto s’è visto.
Una conferma la si è avuta dalla recente inchiesta della Procura di Paola, la città più importante della costa tirrenica cosentina, in cui le Fiamme Gialle hanno sequestrato le quote di 12 società e beni e attività per due milioni di euro. Nell’occhio del ciclone, come sanno i calabresi, è finito Agostino Iacovo, un 38enne già noto alle forze dell’ordine e riguardo al quale i bene informati parlano di frequentazioni non proprio raccomandabilissime (c’è chi parla di una sua vicinanza al clan Muto della vicina Cetraro). Le accuse (falsa intestazione di beni), sono tutte da provare, essendo il procedimento a carico di Iacovo ancora nella fase delle indagini preliminari.
A noi interessa solo un dettaglio della corposa ordinanza firmata dal Gip di Paola. Sono quattro pagine che riguardano la Publidei Srl, una società che si occupava di pubblicità. Stando all’ordinanza, in questa società, che non fatturava nulla dal 2012, Iacovo figurava come dipendente. Ma un dipendente un po’ speciale, perché poteva accedere ai conti correnti. In pratica teneva i cordoni della borsa pur non avendo potere formale.
Capita, specie con società che si occupano, meglio ancora dovrebbero occuparsi di terziario puro, come la pubblicità, appunto.
La Publidei, infatti, in liquidazione dal 2016, si occupava, così si apprende sulla pagina web di Naviga Imprese (https://www.navigaimprese.it/it/azienda/CS183158_publidei-s-r-l-in-liquidazione) di “promozione pubblicitaria”. Tuttavia è difficile ricostruire come è quanto abbia operato questa società. Si sa solo che, nel 2015, tra un cambio di soci e l’altro, si è spostata a Scalea, nel nord della costa tirrenica quasi ai confini con la Campania.
Ma a Paola la Publidei, anzi una Publidei risulta attiva: stesso nome sociale ma diversa partita iva, questa Publidei Srl ha sede a Rende, proprio nei pressi del capoluogo. Dal suo sito internet si apprende che gestisce molti spazi di affissione in tutta la Calabria, tra cui uno proprio a Paola (http://www.publidei.com/parco-impianti/lista-impianti/impianti/6×3/6×3-paola-cimasa-361/ ).
Semplici coincidenze? Probabilmente sì. Ma, omonimia inclusa, queste coincidenze coincidono troppo per non suscitare un po’ di curiosità. Tanto più che la Corte di Cassazione ha stabilito nel 2015 (sentenza 11224) che adottare la stessa ragione sociale di un’altra impresa e svolgere lo stesso tipo di attività genera senz’altro la concorrenza sleale. In questo caso, posto che le società siano davvero due e non abbiano altri collegamenti, chi è stata sleale nei confronti dell’altra?
E perché la Publidei paolano-scaleota non ha trascinato in Tribunale quella rendese che invadeva il suo spazio vitale? Oppure la Publidei rendese è più vecchia?
Certo è che i rendesi hanno una marcia in più: non solo la cortesia del personale, ma i clienti.
Dalla home page del sito (http://www.publidei.com/ ) si apprende che la Publidei Srl è legata alla Pubbliemme, la potente agenzia pubblicitaria legata a La C, una delle principali emittenti calabresi, a cui è collegato anche un ottimo sito di informazione. La Pubbliemme gestiva anche importanti spazi pubblicitari a Cosenza, che tuttavia le sono stati revocati in seguito al mancato pagamento dei canoni per circa sei anni.
Al riguardo c’è chi sostiene che la Publidei abbia ereditato proprio gli spazi della Publiemme.
Un meccanismo reso possibile proprio dal fatto che il terziario spinto si presta molto di più alla finanziarizzazione di altre attività.
Certo, non è un buon segno per l’editoria calabrese, la principale committente di queste agenzie che, grazie ad abili manovre economico-finanziarie si sono sganciate dal ruolo di fornitori per surrogarsi in non pochi casi agli editori che avrebbero dovuto servire. E non sono pochissimi i casi di pubblicitari che, complice la crisi dell’editoria, hanno tentato il salto di qualità.
Arretrata in molti campi, la Calabria è sperimentale nell’editoria, visto che la confusione dei ruoli consente di massimizzare i profitti accorciando la filiera.
L’evoluzione di questo meccanismo è da seguire. Ma i debiti non onorati nei riguardi di un ente pubblico e le possibilità di barare attribuite dalla magistratura alla Publidei tirrenica non sono quel che si dice buone premesse.
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