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Genovese, lo spumante e una pupa

Stupro Genovese, si rimescolano le carte

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Il passo indietro dei legali e degli psicologi della vittima apre una prospettiva nuova e inquietante sulla vicenda dell’imprenditore orco. Soprattutto, rende leziose le polemiche scatenate da Laura Boldrini e riprese dai vertici dell’Ordine dei giornalisti. Feltri aveva ragione? Di sicuro ora ha meno torto

L’ultimo colpo di scena nello stupro Genovese l’ha prodotto Gianluigi Nuzzi durante la puntata di Quarto Grado andata in onda il 4 dicembre.

Da lì in avanti, la situazione è precipitata: dopo la rivelazione in diretta tv del misterioso incontro, avvenuto a fine novembre in un ristorante milanese e in spregio alle norme anti-Covid, tra la vittima e alcuni amici del presunto aguzzino, i legali della ragazza hanno rinunciato al mandato, come tra gli altri riporta un lancio de Il Fatto Quotidiano.it (leggi qui).

Luca Procaccini, l’avvocato rinunciatario della vittima

Non solo: anche gli psicologi che avevano in cura la 18enne hanno fatto un passo indietro.

Difficile capire i motivi specifici di queste decisioni delicate, in cui potrebbe aver avuto un peso la decisione della ragazza di sentire un altro legale (Luigi Liguori) né dice troppo la nota, per il resto chiarissima, rilasciata il 5 dicembre da Luca Procaccini, uno dei due avvocati rinunciatari:

«Le notizie riportate ieri sera nell’ambito della trasmissione televisiva Quarto Grado che riportano di contatti intervenuti sabato scorso tra l’assistita e persone dell’entourage di Genovese, vere o false che siano, e che vanno lette unitamente a una serie di circostanze, hanno fatto assumere a me e al collega Macrì la determinazione di non volere più far parte della difesa della giovane e ai medici che hanno finora seguito la ragazza di non voler più occuparsi del caso».

Con tutta probabilità, solo l’evoluzione dell’inchiesta a carico di Alberto Genovese, il presunto stupratore, potrà chiarire la portata e il peso dei tanti sottintesi della nota di Procaccini.

Vittorio Feltri

Compreso, forse, il sospetto più pesante: la presunta (e tutta da provare) profferta di cinque milioni che l’imprenditore avrebbe fatto pervenire alla ragazza.

In ogni caso, la rinuncia dei due avvocati e quella, di sicuro più significativa, degli specialisti, insinua in tutta questa vicenda dubbi decisamente più forti di quelli finora sollevati da una parte, tra l’altro non maggioritaria, dei media.

Ci si riferisce, va da sé, anche alle polemiche sollevate (e subite) da Vittorio Feltri su Libero. Soprattutto, al duro editoriale con cui il celebre (e discusso) giornalista ha dato dell’ingenua alla modella giovanissima di cui l’imprenditore avrebbe abusato a oltranza.

La bagarre mediatica seguita all’articolo di Feltri ha dato il via a una storia nella storia, che ha coinvolto i vertici dell’Ordine dei giornalisti – da cui tra l’altro lo stesso Feltri si è dimesso la scorsa primavera – e solleva domande non proprio leggere.

Innanzitutto: il diritto di cronaca e quello, altrettanto legittimo, di esprimere opinioni può davvero essere compresso in casi delicati e borderline come lo stupro Genovese?

Laura Boldrini

Intendiamoci: la vittima merita sempre e comunque rispetto e, dal nostro opinabile punto di vista, l’esercizio del garantismo diventa problematico nei confronti del presunto carnefice, che parrebbe non nuovo a certi comportamenti.

Ma ciò non sposta di una virgola la portata del problema: è lecito o no sollevare ragionevoli dubbi e avanzare critiche, oppure è obbligatorio ricalcare il copione di una certa mentalità, formalmente progressista ma sostanzialmente radical-chic, che rivela nelle faccende legale al sesso un bigottismo sui generis?

Col senno del poi, si può affermare che i fatti non hanno finora dato torto a Feltri, il quale ha senz’altro usato un linguaggio colorito, ma di sicuro non sessista (o, nel caso specifico, non troppo) né misogino.

Questi stessi fatti danno, invece, torto a Laura Boldrini, che ha aperto una polemica nei confronti di HuffPost e, soprattutto del suo direttore Mattia Feltri (figlio di Vittorio), reo di non aver autorizzato la pubblicazione sul blog legato alla testata online in questione di un articolo in cui la ex presidente della Camera puntava il dito sul direttore editoriale di Libero.

La vicenda è nota (leggi qui) e non è il caso di dilungarsi oltre (per saperne di più, leggi qui).

Tuttavia, merita di essere approfondito un passaggio particolare: l’attenzione, inutile ed eccessiva, riservata alla querelle tra Feltri figlio e Boldrini da Carlo Verna, il presidente dell’Ordine dei giornalisti.

Mattia Feltri

Al riguardo, occorre precisare due cose.

La prima: Mattia Feltri ha ragione a livello formale, quando afferma che un direttore di testata può decidere cosa pubblicare o meno sul suo giornale. Nel merito, invece, il capo di HuffPost tradisce la classica mentalità familista italiana.

La seconda: è doveroso prendere le distanze dal giudizio ingeneroso di papà Vittorio nei confronti di Verna («presidentino dei miei stivali»), che negli scorsi mesi ha avuto il coraggio di puntare il dito sulle pose isteriche di certa antimafia di carta e sui comportamenti scorretti di alcuni giornalisti.

Tuttavia, l’errore di Verna è innegabile: essersi schierato a fianco di Boldrini. Quest’ultima, infatti, non si è lamentata come si lamenterebbe una giornalista o una firma alla cui opinione non è stato dato il risalto desiderato. E c’è da dire che anche in questo caso non avrebbe avuto pienamente ragione: le opinioni a cui i giornali non danno spazio sono tantissime, perché la sua avrebbe dovuto avere una corsia preferenziale? Ma anche così la questione è di lana caprina: la deputata del Pd ha solo espresso una posizione politica su una vicenda giudiziaria che, alla luce degli ultimi risvolti, si annuncia complessa e spinosa e quindi non suscettibile alle esemplificazioni tipiche del dibattito politico.

A errore segue errore. E, in questo caso, Verna non è stato il solo a sbagliare. Con lui, infatti, hanno sbagliato tutti i giornalisti che si sono fissati sui refusi che hanno reso di difficile comprensione il comunicato del presidente dell’Ordine, senza coglierne la ciccia.

L’eurodeputata del Pd Pina Picierno

Infatti, Verna ha tracciato delle distinzioni tra giornale e blog che, nel caso di HuffPost sembrano inconsistenti (leggi qui la nota completa):

«Il blog (che ha una natura diversa rispetto a una pagina di giornale, le tecnologie di oggi impongono anche nuove riflessioni sui confini tra i diritti) al di là di policy privatistiche non dovrebbe contemplare una libertà in più per chi ne è stato chiamato ad esserne titolare?».

Siamo davvero sicuri che le cose stiano così? È vero che il problema nel caso di HuffPost non sussiste perché tutti i suoi blogger, prima di ottenere lo spazio in rete, accettano una clausola che rende la redazione comunque sovrana sui contenuti. E questo da prima che Mattia Feltri dirigesse la testata.

Ma anche se questa clausola non ci fosse, la sostanza non cambierebbe assai: da gennaio 2019 la Cassazione considera i direttori dei giornali online uguali, nelle responsabilità, a quelli dei giornali cartacei e delle emittenti radiotelevisive.

Da questo dovrebbe derivare senz’altro, almeno a livello logico, un’uguale considerazione delle loro facoltà, perché altrimenti sarebbe paradossale chiedere a un direttore di rispondere in solido con il suo giornalista querelato senza dargli facoltà di controllo, cioè la possibilità di stabilire la linea editoriale.

Alberto Genovese

E ciò dovrebbe valere anche per i blog collegati a una testata giornalistica e che, con tutta probabilità, girano sullo stesso server del giornale principale.

In fin dei conti, questi blog fanno parte del giornale come le parti dedicate alla cronaca, alle analisi e allo sport. Potrebbero, per fare un ulteriore esempio, essere paragonate alle pagine destinate dai giornali di carta alle missive dei lettori o alle opinioni di ospiti più o meno illustri (e graditi).

Anche in questo caso, il direttore ha la facoltà di decidere cosa pubblicare o meno.

C’è qualcosa di strano in tutto questo? Proprio no. Semmai, appare immotivata la richiesta della deputata. Immotivata e, a dirla tutta, un po’ prepotente.

Siccome le prepotenze non vengono mai da sole, è il caso di citare l’intervento a dir poco infelice dell’europarlamentare Pd Pina Picierno.

Quest’ultima ha deciso di bypassare ogni filtro di stampa e ha lanciato una petizione su Change.org (leggi qui) intitolata Zero fondi pubblici ai giornali che incitano all’odio e usano un linguaggio sessista.

Anche nel testo di questa petizione c’è un riferimento chiaro (e sbagliato) a Vittorio Feltri:

«Ennesimo episodio di criminalizzazione di una vittima di violenza sessuale avvenuto in data 24 novembre sul quotidiano nazionale Libero».

La potenzialità liberticida di questa richiesta è enorme: chi decide, infatti, quando una presa di posizione forte si traduce in incitamento all’odio? Chi stabilisce se un’espressione è sessista o meno? Per caso l’onorevole Picierno?

Più che la difesa delle donne, questa richiesta tradisce una mentalità censoria di tipo stalinista o, alla meno peggio, una posa da Minculpop staraciano.

Per fortuna, il pubblico è più intelligente di chi fa certe proposte, magari allo scopo di procacciarsi consensi senza impegnarsi su cose più serie: all’appello dell’eurodeputata hanno risposto in circa quattromila in una decina di giorni.

Decisamente meno delle visualizzazioni che può fare in un’ora un articolo di Feltri padre e di quelle che ha preso la risposta piccata di Feltri figlio.

Segno di insensibilità dell’opinione pubblica? Forse no. È il segno che c’è una maggioranza silenziosa di persone per cui il buonsenso viene prima di tutto e su cui, a volte, anche i giornalisti più borderline riescono a sintonizzarsi molto più dei fautori del politicamente corretto a tutti i costi.

Fine della polemica? Speriamo di sì. Soprattutto, speriamo che nessuno si sogni di mettere in mezzo ancora a sproposito la tanto vituperata libertà d’opinione. Dei maestrini, non solo con la penna rossa, ne abbiamo piene le tasche.

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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