Uscirne illesi, l’hardcore secondo gli Artico
Il durissimo album d’esordio della band cosentina composta da veterani della scena indipendente
Uscirne illesi è l’album d’esordio degli Artico, un quartetto cosentino composto dal cantante Ettore Giardini (già negli Eterae), dal bassista Francesco Clarizio (ex A Minute To Insanity), dal chitarrista Ignazio Nisticò e dal batterista Yandro Estrada (tutti e due provenienti dai Camera237).
Il disco, uscito alle porte dell’inverno per Overdrive Records–Non ti seguo Records–True Bypass e finanziato in crowfunding, è un esempio di emocore ad alto tasso adrenalinico, debitore della lezione di Negazione, Massimo Volume, Diaframma e Kina.
Gli undici pezzi di Uscirne illesi sono legati da un filo sottile ma percettibilissimo: raccontano le sfaccettature della quotidianità più grigia con rabbia e furore, espressi alla grande dalle ritmiche serrate, dai volumi importanti e dalle urla di Giardini. Non è un concept, ma quasi.
Si parte col botto con Lo chiamavano casa, che narra con violenza la metamorfosi di un sentimento, la trasformazione di un ricordo dolce in un presente amaro. Da manuale la parte finale, un’esplosione di energia che accompagna il mantra del cantante che ripete ossessivamente la stessa frase.
Il Paradiso nell’immaginario degli Artico proprio non esiste, mentre all’Inferno la band provvede solo col proprio sound. L’immaginario si concentra sul Purgatorio, che è il titolo del singolo apripista messo in scaletta come secondo brano: tempi spediti e gran lavoro alla batteria per raccontare l’inquietudine del grigiore quotidiano, un perenne passaggio in cui la redenzione (che è poi lo scopo del Purgatorio) è un miraggio lontano.
Martellante e serrata, Frastuono (titolo tra l’altro appropriatissimo) voca il peso del passato ingombrante, che condiziona il presente e ipoteca il futuro.
Errori è un esempio da manuale di come la lezione dell’hardcore anni ’80 sia ancora attuale: attacco lento seguito da un’esplosione di ritmo e violenza improvvisa, come un pugno nello stomaco o come un sasso che manda in frantumi un vetro.
Adrenalina pura anche in È finito il tempo, probabilmente il picco di ferocia dell’album. Al riguardo, giusto una curiosità: un verso del brano riporta il titolo del disco con una metafora distopica.
Eccolo: «Sembra facile uscirne illesi/ma tu nascondi i segni sul tuo corpo».
Ferocia a gogo nella delirante Incubi, in cui i versi sono letteralmente sparati da una ritmica pesante, ossessiva e sempre in primo piano.
Il tema del rimpianto domina l’oscura Nubi, che lascia l’ascoltatore sospeso in una fase di stallo, mentre la successiva Puzzle è un’altra esplosione di rabbia: quella che serve a descrivere il mutamento della rassegnazione in ira.
Più sofisticata nell’arrangiamento, Quando arriverà il momento saremo stanchi si regge sui ricami della chitarra e sui contrappunti del basso alternati alle esplosioni di violenza del refrain urlato sottolineato dalla batteria.
Chiudono l’album Ricordi, dedicata alle incomprensioni che derivano dal conformismo sociale, e Schegge, che esprime la rabbia derivante dalle delusioni.
Uscirne illesi non è solo il titolo, ma addirittura la metafora dell’esordio degli Artico, che bombardano gli ascoltatori con raffiche sonore inaudite e testi crudi, come può essere cruda la vita.
Uscirne illesi non è solo un album, ma una sfida lanciata dalla band: chi ha orecchie per ascoltare e cuore per reggere si cimenti.
Da ascoltare (e da vedere):
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