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Fine della corsa? La Voce del Ribelle ci saluta…

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Dopo dieci anni chiude la prestigiosa rivista fondata da Massimo Fini. Il saluto della redazione ai lettori

«Il nostro non è un problema né di volontà né di know how, ma di quattrini». Sembra un epitaffio, in realtà è un arrivederci.

Con questa frase lapidaria, il caporedattore Federico Zamboni saluta i lettori de La Voce del Ribelle, una brillante iniziativa editoriale cominciata circa dieci anni fa assieme a Massimo Fini. All’inizio era solo una rivista mensile, poi si è aggiunto il sito web, infine un esperimento radiofonico, Raz 24, che riprendeva e ampliava l’esperienza iniziata nel 2005 con Radio Alzo Zero, una delle primissime radio online italiane.

Diciamolo subito: è stato un peccato, perché le premesse per fare (il considerevole know how dei suoi ideatori e redattori, appunto, e la loro cocciutaggine) e fare bene c’erano tutte.

All’inizio c’era anche l’attenzione giusta: la firma di Massimo Fini, che viveva allora la sua seconda giovinezza come scrittore-divulgatore di tematiche non conformiste, tirava alla grande e sembrava che i suoi libri, ad esempio Il Ribelle dalla A alla Z (Marsilio, Padova 2006), potessero diventare le bibbie di un movimento in formazione.

Di cui erano pronte tutte le componenti: una classe politica in crisi, quella che aveva fondato la Seconda Repubblica, un’opinione pubblica indignata e molti intellettuali in libera uscita. C’era poi Beppe Grillo che cresceva come opinion leader, ma non ancora M5S, che si trovava allo stato embrionale.

E qualcosa iniziò a intravedersi: nacque infatti il Movimento Zero, di cui Fini doveva essere il leader carismatico.

Poi le cose presero una piega diversa, che conosciamo a menadito: nacque Il Fatto Quotidiano, trainato dall’incredibile carisma mediatico di Marco Travaglio, e tra i seguaci di Grillo iniziò a prendere forma il partito che sarebbe esploso a partire dalla Politiche del 2013. E per La Voce del Ribelle gli spazi si ridussero progressivamente.

Peccato, lo ripetiamo: a rileggere il lungo editoriale di commiato del direttore Valerio Lo Monaco nel numero di ottobre (l’ultimo a disposizione degli abbonati e in libreria) il tentativo di creare qualcosa di nuovo, che superasse in chiave non conformista si ha l’amarezza delle occasioni perse.

E il senno del poi riempie le fosse in due direzioni: quella del rimpianto, innanzitutto, perché questa rivista piccola e combattiva, piena anche di firme prestigiose – ricorda qualcosa Alain de Benoist? – scavava a fondo e anticipava sistematicamente i temi caldi, dall’economia alla (geo)politica. Poi c’è la direzione del rimorso, espresso da Lo Monaco e Zamboni in più punti dei loro pezzi di saluto: ad esempio, per non avere calibrato bene le possibilità di tenuta economica del progetto e la sua capacità di resistenza al mainstream.

Quest’ultimo aspetto, che tocca soprattutto la comunicazione e il linguaggio, è stato sottolineato proprio da Zamboni, voce storica della radiofonia indipendente ma anche penna affilatissima, con una domanda inquietante, che tutti gli operatori dell’informazione e della comunicazione dovrebbero porsi: che senso hanno il ragionamento, la riflessione e l’approfondimento in una società in cui la comunicazione e, più in generale, il linguaggio pubblico sono scesi a livello da stadio?

Ancora più crudo Lo Monaco, nel denunciare la crescita dell’alfabetismo funzionale e di quello di ritorno. Certo, in parte scopre l’acqua calda. Ma d’altro canto lancia un monito a tutta l’editoria, soprattutto a quella indipendente: l’assottigliarsi dei lettori oggi ha soffocato la Voce del Ribelle, costretta a chiudere le pubblicazioni per l’insostenibilità economica, ma domani – che è già oggi, visti i numeri in picchiata dell’editoria – può riguardare tutti, soprattutto gli indipendenti, che non fanno rete ma, anzi, si azzuffano tra loro.

A queste riflessioni ne aggiungiamo una noi e ci permettiamo di trarla proprio dalla vicenda della Voce: la corsa globale verso il mainstream.

Dunque: Grillo smette di fare l’opinion leader per diventare leader politico; Massimo Fini, anche per ragioni editoriali (e di diritti d’autore) molla prima il Movimento Zero, che abortisce allo stadio fetale, poi la rivista; il Movimento 5 Stelle buca nelle urne ma non decolla come progetto politico e si rivela un pastrocchio di tutte le culture politiche perché è incapace di averne una sua.

Ma davvero si poteva coltivare l’illusione che certe idee raffinatissime potessero trovare cittadinanza in un movimento che finora ha portato avanti una sola battaglia culturale, cioè la bizzarra idea di dedicare un giorno della memoria alle vittime del Risorgimento? Questo dimostra come gli elettori pentastellati preferiscano le tesi di urlatori come Pino Aprile anziché le chicche di un Fini e dei tanti che hanno dedicato il proprio impegno a questa rivista.

Inoltre, nella società globale, tutte le idee possono diventare merci: non a caso i libri di Evola si trovano anche in e book, il che non è necessariamente un male. Lo diventa solo quando anche i non conformisti mirano a finire nella pancia della balena, che s’ingrassa sulla loro pelle in cambio di pochi spiccioli.

Ed ecco che i puri, come la squadra che con grandi sacrifici ha tenuto in piedi La Voce del Ribelle, chiudono bottega.

Per sempre? Forse no, perché Zamboni ha fatto intravedere una possibilità di ripresa: una futura campagna di crowfunding in vista di un’iniziativa che possa riprendere con nuove forme l’esperienza della Voce.

Una speranza forse minima, ma alla quale ci aggrappiamo volentieri per chiudere l’ultimo numero della Voce pensando che quello di Lo Monaco e Zamboni sia solo e per davvero un arrivederci.

Per saperne di più:

L’intervista a Valerio Lo Monaco e Federico Zamboni

 

 

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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