Aftermath, una fragorosa eruzione metal dal Vesuvio
Ataraxia: tre brani tosti, tiratissimi e sofferti per l’esordio discografico del quartetto napoletano, che tuona sul Golfo nel segno dei Korn
Ci piace pensare che il marmo coperto dalla cenere della copertina evochi l’eruzione del Vesuvio che sommerse Pompei. E, magari, ricordi che Napoli non è solo la neomelodica un po’ trash che ammorba le frequenze dell’ultimo decennio.
Parliamo di Ataraxia (Volcano Records, 2017), l’ep di esordio dei partenopei Aftermath, in cui non c’è la minima ombra di trash, ma semmai c’è qualche accenno al thrash, nelle ritmiche potenti, appena stemperate nelle sonorità del nu metal più classico, per capirci quello dei Korn. Ma non mancano influssi alternative e grunge, visto che tra le proprie influenze i giovani musicisti napoletani annoverano mostri sacri come Alice in Chains, Soundgarden, Deftones e Mastodon.
Il risultato è convincente: i quattro napoletani (il cantante Emanuele Gugliotta, il chitarrista-cantante Davide Scognamiglio, il bassista Marco Sica e il batterista Valerio Fatalò) picchiano alla grande, mescolano arpeggi semplici e riff sofisticati e usano linee melodiche drammatiche sorrette da soluzioni ritmiche non proprio scontate.
Dopo la breve introduzione di Ataraxia, circa quaranta secondi di parlato in inglese con la voce filtratissima, si parte alla grande con Careless Pride, che parte cadenzata e dopo un break melodico più lento, accelera nella cavalcata metal più classica.
La successiva Clockmaker è un’altra prova di bravura, in cui il basso fa la parte del leone, disegnando con suoni duri lo sviluppo armonico di un brano non banale, che parte lento, esplode nel coro e si stempera in un intermezzo pulito prima dell’assolo.
Il pezzo più bello è Grey Snow, che è anche il singolo di lancio dell’ep: si inizia con un arpeggio su cui la voce tesa e sofferente di Gugliotta espone una melodia ariosa ed evocativa, poi il brano balza in avanti senza accelerare ma con un crescendo continuo.
Gli Aftermath sono arrivati, come da tradizione metal, all’esordio discografico dopo una buona gavetta sui palchi della scena campana: New Sea Legend (dove si sono esibiti come open act ai Matharia), Mmb, Mamamù, Godfellas Bacoli, Arts Cafè e Marabù Club.
Tra le altre apparizioni dal vivo del quartetto, segnaliamo la partecipazione, avvenuta il 21 giugno, al Festival della Musica, patrocinato dal Ministero dei Beni culturali con la partecipazione della Siae, al Cellar Theory Live e allo Shed Music Hall, in occasione del Bones in the Shed, un festival organizzato da Mvo Concerti, a cui hanno partecipato artisti del calibro di Rain, Stamina ed Edu Falaschi (già negli Angra e negli Almah).
Ataraxia è il primo frutto maturo di tutta questa esperienza. Suonato con passione e competenza, è il classico album d’esordio di una metal band: c’è energia, c’è la bravura tecnica e c’è il pathos. Che chiedere di più? Forse l’originalità. Ma per questa c’è tempo. Intanto godiamoci i brani così come sono: valgono la pena di più di un ascolto.
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