Tre volte: tante vite appese alla scomparsa di una bimba
L’esordio letterario della giornalista Alessia Principe: un thriller carico di tensione e pieno di rimandi esistenziali e atmosfere crude e struggenti allo stesso tempo
Giulia scompare a due anni in un pomeriggio d’estate degli anni ’80.
Questa scomparsa, in apparenza senza risposta né spiegazioni, è il detonatore attorno a cui esplode il racconto di Tre volte (Bookabook, Milano 2018), il primo passo importante nella letteratura della giornalista cosentina Alessia Principe.
Un esordio col botto, è il caso di dire, preceduto da una campagna di crowfunding originale (ma non troppo: come spiegano gli editori, anche Auguste Comte, il papà della Sociologia, aveva usato questo metodo a metà ’800 …) e accompagnato da una campagna martellante in rete. Che di tutto questo battage sia valsa la pena ci si accorge sfogliando le pagine del libro.
Perché Tre volte è un racconto esistenziale avvincente, che inizia dalla fine grazie all’efficace narrazione circolare dell’autrice.
Perché Tre volte è un thriller costruito su un intreccio a incastro carico di suspense e denso di colpi di scena, che spostano la vicenda in avanti o all’indietro e la dipanano su (almeno) tre piani temporali: i tardi anni ’70, quando Giovanni, il papà di Giulia, decide di mollare gli studi per darsi all’agricoltura nel profondo Sud immaginario descritto con toni realistici dall’autrice; gli anni ’80, in cui la scomparsa (uccisione? Rapimento? Fuga?) diventa l’elemento centrale; infine il periodo a cavallo tra la fine del millennio e il decennio scorso (il racconto si ferma nel 2007) in cui i fili lanciati in maniera apparentemente caotica trovano il loro definitivo canovaccio.
Perché Tre volte è un romanzo corale, in cui ciascun personaggio è a protagonista a modo suo. Anzi, proprio l’ipercaratterizzazione dei personaggi è un marchio doc del libro. Alessia Principe li rende così vivi con la sua scrittura torrenziale da far loro affezionare il lettore, sia che durino lo spazio di una pagina sia che vivano dall’inizio alla fine del romanzo.
L’autrice, al riguardo, usa due escamotage: il racconto epistolare (le lettere che Giovanni scrive all’amico Peppino senza mai spedirgliele) e la narrazione in soggettiva, cioè racconta le vicende dal punto di vista dei personaggi.
Perciò, come dimenticare Lea, la ragazza sbandata e insonne che imbocca percorsi di vita strani, uno meno ortodosso dell’altro? E come dimenticare Nanni, il ragazzo debole e malato, che strugge la propria esistenza appresso alle bizzarrie di Lea, esplose a partire da una notte d’estate in una rimessa d’auto?
E vogliamo per caso parlare del dramma dei genitori di Lea, il mite e disperato Luciano, che arriva a osare l’inosabile per riprendersi un po’ di felicità, e la folle Teresa, divorata dai suoi disturbi fino a diventare una larva?
E che dire di Nicola, il bullo che poi fa carriera nello sport?
Ma non basta, perché anche i cattivi in Tre volte hanno una loro dignità (come nei romanzi di Dostoevskij e in quelli di James Bond). Perciò difficilmente scorderemo i cattivissimi della Società, una lobby criminale a metà tra la Spectre e i servizi deviati di cui si è nutrita tanta letteratura giornalistica. Scorderemo con difficoltà anche i cattivi semplici, come Giselde l’olandese. E non dimenticheremo mai il mezzo cattivo: l’ispettore Antonio Terraccia.
Brutto, dai tratti quasi scimmieschi, nevrotico e irascibile, Terraccia è il personaggio più vivo. Poliziotto in gamba, ma privo di potere (e infatti è forte coi deboli, come quando pesta a sangue un tossicodipendente durante un interrogatorio o tratta Giovanni con sussiegosa condiscendenza), vive appieno la contraddizione tra grandi capacità e una carriera professionale mediocre che lo costringe a compromessi anche brutti.
L’autrice lo redime nel penultimo capitolo, in cui diventa l’uomo chiave, quello che fa la rivelazione.
In tutto questo, Giulia resta sullo sfondo, allo stesso modo in cui Laura Palmer lo era nella mitica Twin Peaks.
Ma, senza per questo voler rivelare dettagli della trama – coi thriller non si deve fare… – a questo punto sorge spontanea una domanda: se tutti i personaggi sono, ciascuno a modo suo e per la sua parte, protagonisti e Giulia è più un oggetto catalizzatore del racconto che un soggetto, chi è il personaggio principale?
La risposta è più banale di quanto non si pensi: il racconto stesso, sia quando avviene in prima persona, sia attraverso le soggettive che dividono in tanti, suggestivi rivoli l’io narrante, che quasi non esiste perché la struttura corale del romanzo impedisce quasi all’autrice di esprimere la sua terzietà.
Ma il racconto di un romanzo è il destino dei suoi personaggi. Ed è un destino cinico, che inghiotte tutti: è il tumore che porta via Alessandra, la mamma di Giulia, è la follia bipolare (un tumore della mente) che inghiotte Teresa, è il male non nominato che divora Nanni pian piano, è l’Alzheimer che cancella inesorabilmente la memoria di Giovanni, è la spirale del male come fuga da una vita ordinaria e brutta che avvolge alla fine Giselde, è la vita sbagliata di Lea, determinata da porte girevoli
Ed ecco perché sotto la scorza robusta del thriller, scritto con un ritmo forsennato che costringe il lettore a bere il romanzo fino all’ultima riga, in Tre volte c’è la polpa del romanzo esistenziale. Certo, il viaggio di Giovanni alla ricerca di Giulia ricorda più Stephen King (avete presente Stand by Me?) che Proust. Ma fa nulla: vuol dire solo che, a parità di contenuti, il lettore ha a che fare con uno stile più asciutto e brillante: niente croissant che durano pagine, ma strade, tante, che si snocciolano, viottoli di campagna, statali e autostrade. Soprattutto, tantissimi colpi di scena, che non danno tregua nemmeno nelle ultime pagine.
Tre volte, inoltre, non ha una morale vera e propria. O forse sì, ma non è bellissima: la felicità è poca e sempre a repentaglio (Giulia sparisce a causa di una breve distrazione di Giovanni, una defaillance di Nanni spinge Lea verso il suo destino, la disperazione di Luciano, scatenata dalle prime avvisaglie della follia di Teresa, fa detonare tutta la vicenda ecc.), i rapporti esistenziali sono sempre rapporti di forza e il più debole soccombe, tranne Terraccia, a cui la furbizia consente di sopravvivere e di redimersi.
E forse così va davvero la vita, come si dice spesso con la speranza che non sia sempre così.
È solo un romanzo, vien voglia di dire con sollievo non appena si chiude l’ultima pagina di Tre volte e si è ancora immersi nel suo turbinio di vicende inquietanti e spietate condite da nostalgia e struggente amarezza.
Un romanzo che val la pena. E non tanto perché, «conta la storia e non chi la racconta», come afferma King. La storia c’è, intendiamoci, eccome. Ma è come la racconta Alessia Principe che fa la differenza. Perché avere la penna sarà pure un optional nel giornalismo, ma nella scrittura è tutto. E in Tre volte c’è anche un efficace esempio di come si deve scrivere.
Buona lettura.
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