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Il grande fratello si misura in tera. Parola di Domenico Talia

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Lo studioso di informatica lancia l’allarme nel suo “La società calcolabile e i big data”: la crescita della rete rischia di comprimere la nostra libertà a tutto vantaggio delle multinazionali e mette in pericolo il futuro della democrazia

In quale curioso universo Borges, Pasolini, Umberto Eco, Anselmo d’Aosta ed Enrico Berlinguer coesistono senza troppi problemi con Bill Gates, Mark Zuckerberg, Steve Jobbs e Gianroberto Casaleggio, magari sotto la guida sapiente del filosofo coreano Byung-Chul Hang, nuovo profeta della società postindustriale 2.0?

In realtà non occorre scavare troppo né volare d’immaginazione: la cultura vive da sola di collegamenti carsici e i suoi fiumi sotterranei risultano più carichi e imprevedibili nei loro percorsi di quel che non appare in superficie. Di sicuro quest’universo non è parallelo.

Domenico Talia

Riformuliamo la domanda: e se queste connessioni, anziché svilupparsi in profondità, fossero evidenti, quale universo logico potrebbe contenerle senza implodere sotto il peso delle contraddizioni? Un universo virtuale, quello del web 2.0 che si appresta ad evolversi in altro. È la risposta di Domenico Talia, docente di Informatica all’Università della Calabria e ricercatore di vaglia (è stato inserito nella Top Italian Scientists del 2013) dotato di un non indifferente talento letterario attraverso il quale riesce a divulgare con efficacia le problematiche apicali del suo settore, con la consapevolezza che ormai i problemi dell’informatica sono i problemi di tutti, anche dei più inconsapevoli.

Problemi 2.0 per una società 2.0: ecco il succo di La società calcolabile e i big data, l’ultima fatica letteraria del professore calabrese edita gli scorsi mesi da Rubbettino. Un’avvertenza, prima di approcciare questo pamphlet è indispensabile: Talia, a differenza di altri guru (ad esempio Evgeny Morozov), non è quel che si dice un apocalittico (ecco che spunta Eco) della rete: è uno specialista di alta caratura che osserva il proprio mondo con lo sguardo critico di chi conosce le notevoli opportunità fornite dal web, letteralmente inedite nella storia dell’uomo, ma ne segnala anche i pericoli.

La copertina del libro di Domenico Talia

Il primo pericolo, più rilevante perché li contiene tutti, consiste nella scomposizione dei rapporti sociali tradizionali, che vivono di fisicità e nella loro ricomposizione-surrogazione nella dimensione amorfa e virtuale della rete. È la figura dello sciame digitale ripresa, appunto, da Hang.

La dimensione virtuale, spiega Talia sulla scia del pensatore coreano, è in buona misura sostitutiva: appaga le moltitudini escluse dai rapporti di potere virtuale, diventati più autoritari e allo stesso tempo sfuggenti e meno controllabili proprio grazie alle nuove tecnologie. La riaggregazione a sciame, che avviene attraverso i social, è senz’altro potente perché amplifica a dismisura le possibilità di interazione e di comunicazione delle masse, escluse dai media tradizionali di cui sono fruitrici passive. Ma incide poco sulla quotidianità dei più e, a voler aggiungere una riflessione, rende ancora più insidiose perché meno controllabili le nuove dinamiche di potere, di cui è un esempio l’affermazione del Movimento 5 Stelle, che per usare ancora l’immagine di Hang, ha un esito beffardo: il potere si materializza ed entra di prepotenza nella stanza dei bottoni, lo sciame resta in rete a ronzare nell’illusione della potenza.

Il filosofo coreano Byung-Chul Hang

Il secondo pericolo consiste nella dislocazione in rete della propria identità reale. È quello più evidente nella vita quotidiana: il trasferimento dei propri dati a gestori privati (da Google ai social network per finire ai superstore come Amazon) in cambio di servizi il più delle volte gratuiti, ha consentito l’accumulo esponenziale di informazioni in mano a pochi soggetti privati, come mai era capitato prima. Se si pensa agli scandali che esplodevano fino a qualche decennio fa ogni qualvolta emergevano le attività di dossieraggio dei servizi segreti, si ha una descrizione approssimativa del pericolo.

Il problema vero, fa capire Talia, è che in rete tutto si paga e che i costi non monetari possono essere più pesanti, in termini di privacy. Ne sono esempi le profilature di molti utenti, in pratica la stragrande maggioranza, praticate dagli operatori commerciali che consentono di anticipare addirittura i gusti del pubblico sulla base dei consumi.

Pier Paolo Pasolini

Con una metafora suggestiva, il professore calabrese rielabora il concetto di plusvalore, che non consiste più (o non consisterà più, in tempi brevissimi) nell’aumento di valore provocato dalla compressione del lavoro a favore del capitale, ma nel surplus dato dalle informazioni fornite dagli utenti, che di fatto lavorano gratuitamente a chi lucra sulle informazioni. In questo caso, siamo ben oltre le critiche di Pasolini alla società dei consumi. Il grande poeta puntava il dito sulla distruzione delle società tradizionali operata dalla società dei consumi e dalla tecnologia. A leggerla col senno del poi, la sua risulta davvero una profezia minima.

Il terzo pericolo è dato dall’evoluzione dell’informatica dalla dimensione degli algoritmi all’intelligenza artificiale. Lo scenario più catastrofico è ancora futuribile, per fortuna, perché gli algoritmi e il meccanismo di memorizzazione della rete sono potentissimi ma ancora piuttosto stupidi. La memoria, spiega Talia con un riferimento preciso a Eco (una volta tanto non si citano le polemiche dell’illustre intellettuale nei confronti dei social: è già un segno di originalità), è selettiva ed elimina per addizione, cioè aggiungendo nuove nozioni che si sovrappongono alle precedenti e le annullano.

Steve_Jobs

Il che non è per la tecnologia informatica, che può accumulare all’infinito: in fin dei conti, i big data sono il prodotto per eccellenza di questo accumulo.

Ma questa capacità infinita di accumulare – da cui deriva l’altra, insidiosa conseguenza che è l’eternità mediatica – degenera nell’ipermnesia, descritta da Borges in un suo bellissimo racconto. Già: ricordare senza selezionare, ricorda il grande scrittore argentino, è una forma di follia, perché, titola significativamente Talia, Dimenticare è più difficile che ricordare. Ma gli algoritmi hanno esibito una singolare capacità evolutiva: riescono a misurare le informazioni e le reazioni della mente umana e, come ha dimostrato l’esperimento di Paul Oppenheimer ed Edward Zalta, a validare la prova ontologica dell’esistenza di Dio elaborata nel medioevo da Anselmo d’Aosta.

In questi casi, siamo ben oltre i segnali deboli che, secondo gli esperti dell’intelligence, consentono di anticipare il futuro. Un futuro che è già presente, visto che le tappe intermedie di questo processo che porta dal calcolo e dall’automazione alla speculazione pura sono già una realtà effettiva che invade le nostre vite da più punti di vista: si pensi solo alle forme di automazione che iniziano a ridisegnare i rapporti di lavoro.

Da qui al quarto pericolo il passo è breve: con perfetta circolarità La società calcolabile e i big data riapproda al punto di partenza e legge i rischi del mondo 2.0 sotto il profilo più comprensivo possibile: quello politico. Significativo, a proposito, il paragone tra la lucida preveggenza con cui Berlinguer in un’intervista degli anni ’80 stigmatizzava i pericoli provocati dalle trasformazioni indotte dalla tecnologia e il ritardo con cui Casaleggio, qualche anno prima di morire, ha preso atto delle conseguenze di un meccanismo di comunicazione politica che lui stesso ha contribuito a creare.

Enrico Berlinguer.

Le democrazie del futuro, ammonisce il professore dell’Unical, saranno più vulnerabili proprio perché più esposte a condizionamenti che spostano il consenso da una classe politica sempre più inadeguata a centri privati (e tendenzialmente opachi) di potere.

Non sarà proprio l’apocalisse, questo libro, ma non è comunque un modello di ottimismo. Semmai Talia esibisce un gramsciano pessimismo della ragione a cui contrappone un ottimismo della volontà. Ed ecco perché non siamo ancora, nel suo caso, al catastrofismo di Morozov, sebbene poco ci manchi.

La società calcolabile e i big data non fa profezie ma espone fatti e ipotizza scenari. Il finale è volutamente aperto, forse con la malcelata speranza che siano i cittadini-lettori a scriverlo dopo una salutare presa di coscienza che questo bel volumetto può stimolare.

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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