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"Contro Rousseau", una rilettura conservatrice di Hume

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Pupo: il filosofo scozzese fu precursore del conservatorismo europeo, come dimostra la polemica verso il filosofo di Ginevra

La storia curiosa della rottura di un’amicizia dà il via a una riflessione, semplice e profonda, su un dualismo insanabile della riflessione filosofica (e non solo) sulla politica.

Ci si riferisce al contrasto perenne tra il realismo e il pensiero utopico, che in Contro Rousseau (Bietti, Milano, 2017), curato dal docente dell’Università della Calabria Spartaco Pupo, autore di una prefazione densissima di spunti, si incarna persino delle vicende biografiche dello scozzese David Hume e del ginevrino Jean-Jacques Rousseau.

Empirista, razionalista, realista e anticontrattualista, Hume, è inquadrato da Pupo, che conduce su di lui una corposa ricerca a partire da Libertà e moderazione (Rubbettino, Soveria Mannelli, 2016), nel grande filone del conservatorismo britannico ed europeo. Non a caso anche in Contro Rousseau il prof calabrese ribadisce il legame forte tra il pensiero politico humiano e quello di Edmund Burke. I due, in particolare lo Hume dei Saggi morali e politici (1742) e il Burke delle Riflessioni sulla rivoluzione in Francia (1790), sarebbero rispettivamente il nonno e il padre della critica liberale agli eccessi della democrazia.

La critica, nel caso dello scozzese, sarebbe tutta intellettuale, perché rivolta essenzialmente al contrattualismo, sia nella sua versione britannica (Hobbes e Locke), sia in quella continentale (appunto, e soprattutto, Rousseau). Nel caso dell’irlandese, invece, sarebbe il prodotto di una riflessione storica in diretta e in progress sulle vicende d’oltre Manica.

A questo punto, per completare il quadro, sarebbe interessante una comparazione tra il conservatorismo britannico, evolutosi nell’ambito di una dialettica forte ma costruttiva con le istituzioni, e quello continentale, legato alle istituzioni dell’Ancien Regime. E forse non è un caso che, nello stesso periodo in cui Burke esprimeva le sue riflessioni critiche sulla Rivoluzione, il savoiardo Joseph-Marie de Maistre iniziasse il filone controrivoluzionario proprio con una critica serrata a Rousseau. La stessa, per capirci, che aveva operato a suo tempo Hume, da precursore del conservatorismo burkiano.

La stessa considerazione vale per il filone progressista sorto dall’illuminismo ed è più che noto il filo conduttore che da Rousseau porta prima al giacobinismo radicale e poi alle culture rivoluzionarie e totalitarie del XX secolo.

Hume e Rousseau, sottolinea Pupo, si inscrivono nella tradizione illuminista ed entrambi si sono nutriti del razionalismo imperante nella cultura europea dell’epoca. Ma gli esiti delle loro riflessioni sono diametralmente opposti. Infatti, Pupo intitola il suo saggio introduttivo Due pensatori politici agli antipodi nel secolo dei lumi.

E quanto i due fossero agli antipodi, lo dimostra il carteggio tra i due ripubblicato e ritradotto dal prof calabrese in Contro Rousseau. Un piccolo primato, visto che la precedente edizione italiana di questa lite epistolare, intitolata è quella pubblicata nel 1767 a Venezia dallo stampatore Luigi Favini e intitolata Esposizione della controversia insorta tra il Signor David Hume e il Signor Gian Jacopo Russò con le scritture loro giustificative ed una dichiarazione agli Editori del Signor D’Alembert. Trasportata fedelmente dalla lingua francese nella italiana.

Il carteggio consiste nel duro botta e risposta tra lo scozzese e il ginevrino, che documenta la storia dell’amicizia tra  i due filosofi, nata grazie ai buoni uffici della contessa di Boufflers, che Hume aveva conosciuto durante la sua missione diplomatica a Parigi. La contessa, di cui Hume era follemente innamorato, aveva raccomandato Rousseau, nei cui confronti le autorità parigine avevano spiccato un ordine di arresto nel 1762 in seguito alla pubblicazione dell’Emilio, che gli aveva attirato la condanna dell’arcivescovo.

Il ginevrino incontrò Hume a Parigi alla fine del 1765 e andò con lui a Londra il 10 gennaio. Rousseau, in realtà, non scappava solo da una condanna, che tra l’altro aveva fatto scalpore nell’Europa colta dell’epoca, ma anche da una serie impressionante di liti che gli aveva inimicato l’intellighentsja continentale, a partire da D’Alembert e Voltaire. Il filosofo ginevrino, accolto in pompa magna in Inghilterra e ospitato da Hume e dai suoi amici, confermò il proprio pessimo carattere anche in terra britannica, quando, in seguito a un equivoco degno di una commedia giallorosa, riuscì a rompere con i suoi protettori, soprattutto con il pensatore scozzese. Nel 1765, quando Rousseau era ancora in Francia e cercava di sottrarsi all’arresto alla meno peggio, il celebre scrittore londinese Horace Walpole scrisse una lettera, anonima ma intestata a Federico il Grande di Prussia, con cui canzonava il ginevrino e le sue tesi rivoluzionarie. La lettera fu ricopiata e passò di mano in mano finché non fu pubblicata dal St. James Chronicle.

Il pezzo di satira indispettì non poco Rousseau, che si convinse di essere stato ingannato e tradito da Hume e troncò il rapporto con lui attraverso una serie di missive, che, rilette a più di due secoli di distanza, aiutano a far luce sulla psicologia dei due pensatori: irruento, cervellotico e a tratti paranoide il teorico del contratto sociale, pacato, razionale e ancorato in maniera rigida ai fatti, il padre dell’empirismo. Quest’ultimo, a polemica esplosa e tracimata, diede il carteggio alle stampe nel timore che il ginevrino facesse altrettanto. E il resto è storia nota.

Ma, ovviamente, la riscoperta di questa singolare corrispondenza è un pretesto per analizzare a fondo una contraddizione latente nel movimento illuminista, con cui si identificavano le élite culturali della seconda metà del ’700. Infatti, nota al riguardo Pupo: «Era soprattutto l’opposta visione della politica ad accrescere il già ampio divario tra i due grandi pensatori del Settecento, i quali erano in disaccordo praticamente su tutto ciò che avesse direttamente a che fare con lo sviluppo e l’organizzazione delle istituzioni sociali», tant’è che «una ricostruzione attenta delle argomentazioni di entrambi su questi temi consente di cogliere facilmente differenze troppo profonde per consentire una vera e sincera relazione amichevole».

Rousseau, influenzato soprattutto dai filosofi (Hobbes e Locke) e dai giuristi della generazione (Grozio e Pufendorf) precedente elaborò le proprie riflessioni sullo stato di natura e sul contratto socialein direzione di una forte rottura non solo nei confronti delle istituzioni dell’epoca, ma anche verso le correnti classiche dell’illuminismo. Di impostazione storicista e storico egli stesso, Hume respinge il contratto sociale come genesi delle istituzioni politiche e gli contrappone un atto di violenza fondativo.

Annota al riguardo ancora Pupo: «A suo avviso, Rousseau e altri contrattualisti, come Hobbes e Locke, non avevano fatto altro che aggirare il fatto inoppugnabile che tutti i governi esistenti si fossero fondati sull’usurpazione o la conquista e che l’origine dello Stato fosse la forza, non il presunto consenso volontario». Tuttavia, ciò «non rinviava a una qualche apologia della violenza ma solo all’esigenza di dimostrare come le origini dello Stato, anche se illegittime, avessero ovunque e comunque prodotto obbedienza legittima e che la “solidità” del diritto a governare non fosse offerta dal consenso umano deliberato su base razionale, ma dal tempo».

Val la pena di notare, con un salto di un secolo e di due generazioni, che questa progressione storica che legittima il potere, ricorda sin troppo la divisione di Max Weber, sempre impostata su basi storico-culturali, tra potere carismatico, tradizionale e legale. Non solo: il fatto che una delle cause legittimanti del potere può è lo stato di guerra, richiama non poco le riflessioni che Carl Schmitt avrebbe sviluppato negli anni ’20 e ’30 in Teologia Politica e nel Concetto di Politico. Un discorso analogo vale per Rousseau, la cui influenza sui movimenti socialisti è già nota. Meno noto, se non agli addetti ai lavori, è l’impatto della sua Volontà Generale nel pensiero schmittiano e nelle teorizzazioni totalitarie nazionalsocialiste. Se, infatti, si elimina dal pensiero rousseiano il contratto sociale (la cui natura di finzione doveva essere già nota al Rousseau attento lettore di Hobbes), si capisce come l’egualitarismo ultraspinto del ginevrino, unito alla funzione pedagogica assegnata alle istituzioni, sia una specie di filo rosso che collega il giacobinismo alle esperienze più inquietanti del XX secolo.

Ci fermiamo qui. Non prima di aver rilevato come destra e sinistra, nella loro accezione classica, derivino comunque dallo stesso calderone illuminista che, ribadisce Pupo, era un insieme di cose, anche diverse se non, addirittura, contrapposte. 

Eliminato l’aspetto ideologico e ridotto l’illuminismo a metodo, il lettore può facilmente accorgersi, proprio grazie a Contro Rousseau, come l’autodistruzione del razionalismo covasse sin dall’età dei lumi. E la lettura inedita di Hume offerta da Pupo rivaluta anche quel filone del pensiero conservatore che aspetta ancora di essere riscoperto appieno.

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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