L’ideologia? È finita male. Ci resta solo il capitale (purtroppo)
Il postideologismo, di cui fornisce un esempio impressionante lo storytelling grillino (anche quello più recente), nasconde una realtà non proprio bella: il pensiero e l’estetica del turbocapitalismo hanno preso il posto delle grandi narrazioni otto-novecentesche. Morte le Grandi Fedi, sacre e secolari, resta solo il Dio Quattrino…
È la quintessenza della manipolazione: prendi un’affermazione che in sé stessa è vera e ne fai la premessa, o il dogma, per arrivare a conclusioni sbagliate. Fuorvianti. Del tutto ingannevoli.
Esempio concreto: le dichiarazioni recenti di Luigi Di Maio, dopo le consultazioni al Quirinale. Ovviamente il cosiddetto capo politico del M5S non è il primo e di sicuro non sarà l’ultimo a declamare il ritornello, ma questa è appunto la conferma che non si tratta di un trucchetto individuale, bensì di una strategia precisa. E talmente assidua da costituire un caposaldo del Rimbambimento Collettivo. Avete presente l’apologia dei tecnici?
Dice Di Maio:
«Siamo sempre stati un Movimento post-ideologico, siamo convinti che non esistano soluzioni di destra o di sinistra, bensì – semplicemente – soluzioni. Qualcuno, a seconda delle questioni che portavamo avanti in questi anni, ci ha accusato di essere di destra o di sinistra. Noi crediamo che questi schemi siano ampiamente superati. Lo abbiamo detto in passato e continuiamo a pensarlo».
Questa è la premessa. Vera e condivisibile nella parte in cui afferma che le vecchie distinzioni tra destra e sinistra siano ormai superate.
Ma vediamo le conclusioni.
«Sono i programmi, i temi, le scelte, i veri protagonisti della politica [il grassetto è nell’originale – Ndr]. Siamo cresciuti nella consapevolezza che la politica sia servizio. Uno spirito che ci ha portato ad essere la prima forza politica del Paese e del Parlamento. E in questi anni il nostro obiettivo è sempre stato quello di cambiare, guardando ad un progetto per l’Italia di grande respiro, che rimettesse al centro la persona, i beni comuni essenziali: l’acqua, la scuola, le infrastrutture, l’ambiente, la sanità, la cultura, lo sviluppo economico».
Dove sta l’inganno? È presto detto.
Sta nel nascondere il fatto che qualsiasi soluzione di un certo rilievo – a cominciare da quelle che riguardano l’economia – non è mai a sé stante. E il motivo per cui non lo è – e non può esserlo – è altrettanto nitido: i problemi di cui ci si occupa non sono mai isolati ma rientrano in scenari molto più ampi. Scenari che a loro volta rimandano a una visione complessiva dell’Uomo, della società, del denaro, e chi più ne ha più ne metta.
Proclamare la morte delle ideologie serve a far dimenticare che quello oggi dominante è a tutti gli effetti un modello quanto mai strutturato. Che ha nello sviluppo infinito e nel massimo profitto le sue pietre angolari. E che a partire da questa accoppiata perversa schiavizza gli esseri umani e li assoggetta al dominio dei Mercati. Ossia di chi ha o cerca di averne il controllo.
La vera conclusione, quindi, è di segno opposto: a essere morte (e non proprio di morte naturale) sono solo le ideologie otto-novecentesche che negavano il primato assoluto del capitale e dell’economia liberista. Ma a essere più che mai viva, benché con una miriade di tare genetiche e di patologie accessorie, è l’ideologia semi occulta del Compra-compra, Vendi-vendi, Sfrutta-sfrutta. E definirla ideologia è forse ancora poco. Per i suoi ottenebrati e avidi e instancabili seguaci è una fede assoluta: come si diceva un tempo, quando l’ottusità era un po’ meno onnipresente e a senso unico, è la religione del Dio Quattrino.
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