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Pedali e veleni. Il Giro d’Italia in Calabria

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Il cronista della Rai rievoca le “navi dei veleni” quando i ciclisti attraversano Cetraro, ricorda San Francesco ma parla di latitanti a Paola

Il governatore Oliverio insorge: la Rai chieda scusa e rettifichi, perché la Regione ha sostenuto il Giro d’Italia

Ma la Calabria non sa promuoversi e non è colpa di nessuno, fuorché dei calabresi, se emergono solo i non pochi fattori negativi

Sì, siamo davvero in Calabria. E ce lo hanno confermato le polemiche, rimbalzate anche ai piani alti della Regione, scatenate dalla tappa del Giro d’Italia sul Tirreno cosentino.

Più precisamente, dalla telecronaca Rai dell’evento. La vicenda è nota e ci limitiamo a riassumerla: Stefano Rizzato, il telecronista di Rai Sport, nel suo commento ha “osato” associare Cetraro (che per chi non lo sapesse è un centro importante della costa occidentale calabrese) alla vicenda delle “navi dei veleni”.

Non basta: c’è chi ha lamentato altri errori, ad esempio l’aver confuso Belvedere Marittimo con Diamante (il paese del Festival del Peperoncino) e chi, invece, non ha preso bene il fatto che siano emerse, qui e lì, altre “negatività”, come l’assenza di illuminazione in alcune gallerie stradali.

È tutto vero. È vero, ad esempio, che Cetraro non è solo una costa “sospetta” per disastro ambientale ed ecomafia. È vero pure che Belvedere è un paese diverso da Diamante, a dispetto della continuità territoriale. È vero infine che non tutte le gallerie siano al buio.

Però sono vere anche le reciproche. Cioè che Cetraro balzò agli onori delle cronache per il presunto affondamento, non provato (ma neppure smentito del tutto) di una carretta del mare zeppa di rifiuti innominabili. È vero che nell’economia dell’universo non pesa troppo sapere dove si trovino di preciso Belvedere e Diamante: più che altro, pesa nell’economia diamantese, sede del Festival del Peperoncino. È vero che varie gallerie dell’arteria stradale costiera sono in condizioni a dir poco lontane dall’essere ottimali.

Ma concentriamoci su  Cetraro. L’unica tirata d’orecchi accettabile ricevuta dal cronista è quella di Carlo Tansi, geologo di fama e capo della Protezione Civile calabrese. Tansi ha affermato a ragione che le sospette “navi dei veleni” sarebbero circa trenta e sarebbero state affondate dappertutto e che non è proprio il caso di associare i presunti affondamenti sospetti solo alla Calabria.

Del tutto fuori luogo, invece, sembra la sparata del presidente della Regione Mario Oliverio, che ha protestato con la Rai a cui ha chiesto la rettifica, non prima di aver dichiarato che la Regione ha sostenuto il Giro d’Italia allo scopo di valorizzare le bellezze paesaggistiche della Calabria.

Oliverio ha fatto da megafono alla lamentela di un suo sodale: il consigliere regionale Giuseppe Aieta, già sindaco di Cetraro e “grande elettore” dell’attuale governatore.

Aieta, persona non priva di cultura e (cosa rara nei politici calabresi) in grado di esprimersi in un italiano corretto ed efficace, è stato il primo a lanciare una protesta al fulmicotone, che riportiamo per intero: «La Rai ripari il danno pesantemente inferto al Tirreno cosentino durante le riprese del Giro d’Italia. Sono certo che il governatore della Calabria e i parlamentari calabresi di ogni colore assumeranno un’azione di protesta comunicando al management Rai che la vicenda della nave dei veleni è stata archiviata dalla Procura Nazionale Antimafia nel 2010 dichiarandola una bufala di un pentito di ’ndrangheta».

Prima di commentarlo ci pare doveroso premettere che anche noi preferiamo credere che la storia delle “navi” sia solo una bufala partorita da un pentito squattrinato.

Detto questo, la vicenda della “nave dei veleni” non risale a un secolo fa, ma ad otto anni fa: in termini storici, l’altro ieri. Inoltre, questa vicenda ha fatto il giro del mondo e si è legata a Cetraro in maniera indissolubile. Colpa di chi? Forse di qualche illustre firma del giornalismo d’inchiesta come, ad esempio, Riccardo Bocca, che piace alla sinistra quando non governa?

Ovviamente non sappiamo perché i commentatori Rai abbiano sottolineato le negatività della Calabria. Dubitiamo, tuttavia, che dietro certi commenti ci siano retroscena politici o economici e troviamo persino di cattivo gusto suggerire, a cose fatte, ciò che avrebbero dovuto dire.

Piuttosto sarebbe opportuno un esame di coscienza, perché le notizie giornalistiche, le cattive notizie che per i giornalisti sono sempre le migliori, impattano soprattutto sui territori deboli come la Calabria.

Facciamo il paragone con Napoli e la Campania. Sì, lì ci sono i camorristi che sparano per strada. Sì, lì c’è stata la “terra dei fuochi” e persino il bellissimo Cilento è stato sfregiato dal delitto del “sindaco pescatore”. Però questi fattacci non sminuiscono di una virgola le bellezze dei posti, che difatti pullulano di turisti in tutte le stagioni.

A chi il merito? Senz’altro a una promozione del territorio fatta con tutti i crismi, sia dal settore pubblico sia dai privati. Questa è invece la carenza enorme della Calabria, dove pure la Regione e gli enti subregionali hanno speso un fottio di euro in spot nella stragrande maggioranza inutili e a volte controproducenti e decisamente trash.

Dunque, e non ce ne voglia il bravo Aieta: sappiamo benissimo che Cetraro ha un bel centro storico e bellissimi monumenti, tra cui un suggestivo Santuario della Madonna. Ma lo sappiamo noi che siamo calabresi e, a volte, frequentiamo quei posti. Non lo sanno i potenziali turisti. Non lo sanno i non calabresi. E non lo sanno perché nessuno, tranne forse qualche sgangherato sito web pagato a peso d’oro, lo ha comunicato con efficacia. Peggio che andar di notte coi media mainstream, puntualissimi a denunciare scandali (un po’ meno nell’uso dell’italiano, scritto e parlato), ma quasi inesistenti nella valorizzazione del territorio, che quando viene fatta, magari col consueto sprone del gettone pubblico, sembra quasi un fuor d’opera.

Le sole, lodevoli, eccezioni riguardano piccoli editori di nicchia che, con pochi mezzi, fanno sforzi encomiabili, tanto più efficaci perché si svolgono al di fuori dei circuiti politici.

Ma sono le classiche rondini che non fanno primavera.

Il livello della promozione pubblica, invece, vola piuttosto basso, come denunciò meno di due anni fa Selvaggia Lucarelli. E allora non meravigliamoci che Cetraro resti la costa delle “navi dei veleni” e Paola, quasi quasi, sia più il luogo in cui è stato catturato un latitante che la città del Santo d’Europa.

E le bacchettate che Oliverio dispensa alla stampa non possono riparare a decenni di sciatteria.

«Con la cultura non si mangia», dichiarò qualche anno fa l’ex ministro Giulio Tremonti. Lo correggiamo: con la cultura, specie in Calabria, si è abboffato chi non avrebbe neppure dovuto accostarsi alla tavola. E i risultati si vedono.

 Ora tocca pedalare per risalire la china. Stavolta senza maglia rosa.

Saverio Paletta

 

 

 

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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