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Caso Fallara, la scure cala su Peppe

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Una riflessione politica sulla condanna confermata dalla Cassazione all’ex governatore della Calabria

Una carriera folgorante ma non priva di ombre termina in una disfatta giudiziaria senza precedenti

C’è chi plaude e inneggia alla legalità, ma nel Profondo Sud nessuno è immune da certe pratiche che dai palazzi portano alla galera

Data con timidezza dalle tivù nazionali, la notizia ha bucato lo stesso: Peppe Scopelliti, condannato in via definitiva dalla Cassazione per la vicenda finanziaria legata allo strano (e mai del tutto chiarito) suicidio di Orsola Fallara.

Una storia degna del miglior Leonardo Sciascia: dalla morte di una dirigente che aveva le mani in pasta nel bilancio, in apparenza non troppo solido ma nei fatti già zoppo, di Reggio Calabria, alla caduta, prima politica e poi giudiziaria, del politico reggino più conosciuto dell’ultimo ventennio.

Protagonista di una carriera fulminante, nata nelle file del vecchio Msi, cresciuta in quelle di An, e poi esplosa e declinata nel Pdl, Scopelliti era uno che aveva bruciato le tappe: consigliere comunale a 26 anni ed europarlamentare mancato per un soffio a 28, a 29 anni era entrato nel Consiglio regionale della Calabria, imboccando la strada che lo avrebbe portato alla guida della sua Reggio e poi della Regione.

«Noi non vogliamo né uomini che non siano coraggiosi, né mezzi uomini, né uomini che sono innamorati di altri uomini. A noi ci piace l’idea di mettere in campo uomini che siano innamorati di donne, che amino il rapporto di coppia e che individuano nel rapporto di un matrimonio un uomo e una donna. Quando faccio questo tipo di parallelo voglio dire che noi vogliamo uomini che siano innamorati della città». Così Peppe aveva esternato nel 2014, quando era riparato nel Nuovo Centrodestra di Alfano e il disastro giudiziario era di là da venire.

La dichiarazione non troppo felice gli costò accuse di omofobia. Ma tant’è, il personaggio era questo: aria decisionista (anche per le decisioni non sue) e battute viriliste mutuate dal gergo sportivo di quando giocava a basket, aiutato da una statura fuori dal comune.

Ma la statura politica è tutt’altro e l’unanimismo costruito attorno alla figura di Scopelliti si è liquefatto: ora anche i garantisti “a comando” e di convenienza stanno zitti. E quel “modello Reggio”, che impose l’ex sindaco alla guida della Regione è finito: strangolato prima dalla ’ndrangheta, che aveva infiltrato il Comune, e poi dai debiti, che, anche secondo gli Ermellini, Peppe avrebbe tentato di nascondere alla meno peggio, fino a incappare nel falso in bilancio.

Una sorte inaspettata? Forse. O forse no: nel 2014, mentre il Tribunale di Reggio gli infliggeva la condanna in primo grado, Scopelliti si era candidato alle Europee con gli alfaniani, mancando il bersaglio per la seconda volta.

Anche allora non mancarono i maligni che sostenevano che questa candidatura fosse dovuta pure all’esigenza di rifugiarsi sotto lo scudo delle immunità dell’Europarlamento, ben più solide e garantiste delle nostre. Ma queste, ora, sono solo chiacchiere: Scopelliti non arrivò a Strasburgo (secondo altri maligni perché non adeguatamente aiutato dai notabili di Ncd) ed è inutile celebrare processi alle intenzioni, tra l’altro non provate né confermate.

Ora che il “modello Reggio” è diventato “sistema” e che la carriera del suo protagonista è quasi del tutto archiviata, possiamo dire in tutta serenità alcune cose.

La prima: non c’è stata nessuna persecuzione giudiziaria nei riguardi dell’ex sindaco ed ex governatore, perché il processo Fallara è solo il primo (e gli auguriamo l’unico) procedimento giudiziario a suo carico andato a segno. Scopelliti, infatti, ne ha subiti altri sei ed è stato prosciolto, anche in tempi piuttosto brevi. È vero solo che la magistratura, spesso timida con gli uomini di potere quando gestiscono il potere, con Scopelliti si è dimostrata più che decisa e gli ha inflitto la prima condanna quando ancora era alla guida della Regione.

La seconda: questo processo non è neppure un attacco mediatico-giudiziario al centrodestra calabrese, dell’epoca e attuale, che si era già allontanato dal suo ex leader, dopo anni di sorrisi e di unanimismi, non sempre solo di facciata. L’ex governatore, passato da Ncd a Mnv di Gianni Alemanno (altro ex sindaco di successo finito nei guai), si sarebbe speso ultimamente per la Lega, determinandone l’affermazione in riva allo Stretto. Così ci hanno raccontato i media. Uno schizzo di fango sotto mentite spoglie? Forse. Resta il fatto che l’impegno di Scopelliti verso Salvini era l’adempimento di un dovere politico ben preciso, scaturito dall’accordo elettorale tra Alemanno e il leader del Carroccio.

Terza cosa: non è vero che Peppe ha pagato per tutti e non è provato che abbia pagato al posto di altri. Le lenti degli inquirenti e le scuri della giustizia si sono esercitate con vari esponenti delle amministrazioni, comunali e regionali, che lui aveva guidato per anni con vari risultati: non sono mancati i condannati, ma i prosciolti, spesso con formula piena, sono stati i più. E, tra questi, c’è stato anche chi ha amministrato bene o ha provato a progettare, cosa rara in una terra stagnante come la Calabria.

Quarta cosa: per questa condanna la parola mafia non è uscita fuori neanche di striscio, neppure dalle bocche dei dietrologi incalliti al limite della paranoia. Ed è un bene, perché in Calabria e soprattutto a Reggio, nessuno è al riparo dalle carezze e dalle lupare delle “coppole”, che, stando ai dati delle Procure, si sono dimostrate capaci di circuire anche a sinistra.

Quinta ed ultima cosa: la condanna a Scopelliti è una condanna per tutta la Calabria. Parliamo della regione che nel 2005 aveva eletto governatore Agazio Loiero con circa il 60% dei consensi e poi lo aveva trombato nel 2010, girando la stessa percentuale al sindaco di Reggio.

E i reggini avevano fatto altrettanto nel decennio precedente, quando fecero Peppe primo cittadino con percentuali simili a quelle tributate al centrosinistra prima e dopo di lui.

Questa “transumanza” particolare per cui i voti si spostano a blocchi dovrebbe far meditare un po’ tutti. Soprattutto i nuovi venuti, che agitano i vessilli della legalità. In Calabria, ripetiamo, nessuno è al riparo da certe dinamiche. Lo hanno predicato per anni gli addetti ai lavori e ora, con la condanna dell’ex presidente, lo tocchiamo con mano una volta di più.

Saverio Paletta

 

 

 

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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