Most read

Intelligence, tutti zitti: adesso parla Pollari

Rate this post

L’ex direttore del Sismi racconta la sua esperienza nei Servizi italiani al Master in Intelligence dell’Unical

A dirla tutta, è un po’ algido e nient’affatto piacione. Dotato di maniere antiche e di un garbo a prova di bomba, Niccolò Pollari ha i classici difetti delle persone serie: pignolo sui fatti e sui concetti, dotato di precisione militare, ma senza piglio militaresco, parla nella maniera apodittica di chi ha vissuto e operato tanto e, forse, visto un po’ troppo.

Per questo val la pena di ascoltarlo quando parla di Servizi Segreti, informazione e intelligence: chi più di lui?

Pollari, al netto delle dietrologie (anzi, della dietrologia spesso costruita ad arte sul sequestro di Abu Omar) è, come si suol dire, uno che ne sa tanto: plurilaureato, già capo di Stato maggiore della Guardia di Finanza, quindi vicesegretario del Cesis e poi direttore del Sismi negli anni incandescenti iniziati con l’attentato alle Twin Towers e culminati negli interventi militari in Afghanistan e Iraq.

Serve altro?

Il generale Pollari, che attualmente è docente universitario dopo aver fatto parte del Consiglio di Stato, ha raccontato la sua visione dei Servizi Segreti e non solo al Master in Intelligence dell’Università della Calabria diretto da Mario Caligiuri.

Un visione (definirla concezione è davvero poco), la sua, ampia e piuttosto eclettica. E non priva di qualche cenno d’ironia.

Soprattutto, una visione che ha un punto di equilibrio e di sintesi in un concetto che, rubacchiando qualcosa al lessico weberiano, potrebbe essere definito etica della responsabilità.

Lo ha introdotto proprio lui con un aneddoto: «Ho avuto il piacere di confrontarmi più volte con i massimi responsabili di servizi segreti stranieri. Mi hanno raccontato che i loro direttori ogni mattina sono ricevuti dai capi dei rispettivi Stati e governi, a cui consegnano il dossier quotidiano con le proprie analisi. Qualora queste si rivelassero sbagliate, verrebbero dimissionati in un batter d’occhio, perché altrove non si valutano non tanto i legami politici e le appartenenze, ma l’efficienza e l’efficacia dell’operato in nome dell’interesse nazionale».

Etica della responsabilità, appunto: «I Servizi Segreti devono fornire informazioni preziose ai propri governi per la tutela della sicurezza e il perseguimento dell’interesse nazionale». Proprio quest’etica, che si potrebbe anche rendere col termine-concetto un po’ retrò di lealismo, colma il gap esistente nei sistemi occidentali tra i criteri democratici di selezione delle élite politiche e i meccanismi di scelta dei Servizi e dei loro responsabili. Trasparenti i primi, necessariamente opachi i secondi.

Da questo assunto di fondo discendono due conseguenze, che rendono tutto sommato affascinante il mondo dell’intelligence.

La prima: i Servizi Segreti, a differenza degli altri organi visibili dello Stato, perseguono l’interesse nazionale anche in contrasto con gli interessi degli altri Paesi alleati. «Ne consegue», ha specificato il generale, «Che gli agenti segreti sono naturalmente nemici e avversari tra loro: si alleano solo quando l’interesse del proprio Paese coincide con quello di altri Paesi, che magari nei rapporti diplomatici ufficiali non sono neppure considerati amici».

Seconda conseguenza: i Servizi Segreti perseguono una politica sganciata da linee ideologiche che non siano quelle su cui si regge il sistema politico complessivo dello Stato a cui appartengono. Ne consegue che gli operatori dell’intelligence agiscono seguendo i dettami della geopolitica e con una linea di condotta realista.

E ciò conferisce alla condotta degli 007 dei tratti fortemente chiaroscurati, al limite dell’ambiguità, specie se letti alla luce del dibattito politico ufficiale.

Puntualissimo, al riguardo, il generale Pollari: «L’intelligence è un settore frainteso che ha un destino crudele: se va bene è inquietante, se va male è deviato». Ma, prosegue il generale, occorre chiedersi se «l’intelligence sia o meno un bene pubblico meritevole di tutela». La sua risposta, va da sé, è affermativa. A patto, però, di rispondere a un’altra domanda: «Dov’è che la legge consente concretamente di operare agli agenti dell’intelligence?». La risposta, in questo caso, è più complessa: «La normativa non è ancora ottimale, ma è chiaro che gli addetti ai lavori dell’intelligence possono muoversi in quel settore grigio di azioni non vietate e non imposte dalla legge».

Un settore dell’agire umano non facile da definire ma, fa capire Pollari, neppure così limitato come si potrebbe credere.

Ma l’intelligence è anche un metodo di conoscenza, in quanto tale praticabile anche al di fuori della sfera statale: ad esempio, nel settore dell’impresa privata. In ogni caso, i risultati, soprattutto a livello cognitivo e di consapevolezza, restano alti, come dimostrano i numerosi esempi sciorinati da Pollari.

Si prendano, ad esempio, i conflitti geopolitici causati dall’approvvigionamento di materie prime, in particolare nel settore energetico: il generale ha fatto gli esempi del bacino di levante, il più grosso giacimento di gas fossile al mondo, su cui Israele esercita un monopolio anche con l’aiuto delle armi.

Non secondarie, al riguardo, neppure le notizie relative all’esistenza di forti giacimenti petroliferi in Iraq, il cui sfruttamento potrebbe ribaltare gli equilibri politici in oriente, finora favorevoli all’Arabia Saudita.

Ma scopo dell’intelligence è anche studiare i paradossi. Anche in questo caso, Pollari fa due esempi puntuali: le Presidenziali Usa del 2016, in cui i media non riuscirono a prevedere la vittoria di Donald Trump, e la vicenda del Porto di Gioia Tauro, quasi inspiegabile («è una realtà praticamente autarchica, al di fuori del proprio contesto territoriale e, apparentemente, di ogni logica industriale») coi criteri ordinari della geografia economica.

Ma, probabilmente, le cose più significative della lezione sono state quelle che il generale non ha detto. Già: dopo tanti anni di esperienza i sottintesi, in cui i maestri dell’intelligence sono abilissimi, pesano come e più delle enunciazioni.

 

 11,247 total views,  2 views today

Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

Comments

Be the first to comment on this article

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Go to TOP