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Colacino e Mongiana, un gemellaggio borbonico all’insegna dei processi

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Il sindaco di Motta fa fuori via Umberto I per prepararsi al raduno di Gaeta assieme a Bruno Iorfida, il primo cittadino che non piace al Ministero dell’Interno

A breve i neoborbonici terranno l’annuale raduno a Gaeta. Ed ecco che Amedeo Colacino, sindaco di Motta Santa Lucia convertitosi da anni al verbo sudista, non vuol farsi trovare impreparato.

Soprattutto perché, a differenza dell’anno scorso, la sua stella è un po’ appannata nella galassia revisionista in cui cerca di brillare da tempo: il processo contro il Museo Lombroso per la restituzione del cranio di Giuseppe Villella è ancora fermo in Cassazione ma la crociata ideologica è comunque azzerata (a meno che qualcuno dei suoi sostenitori e amici non voglia spingersi troppo oltre nelle polemiche e rischiare l’anacronistica denuncia per vilipendio alla magistratura).

Ed ecco che, per non far andare il sindaco proprio a mani vuote, il Consiglio comunale di Motta ha emanato il 26 gennaio una delibera cambia-toponomastica, con cui ha fornito alla Giunta comunale «l’indirizzo politico di determinarsi a modificare la toponomastica comunale relativamente alle vie storicamente e politicamente non più attuali intestando le stesse a personaggi che hanno dato lustro al Comune di Motta Santa Lucia, al meridione d’Italia o che siano vicini al sentimento religioso della Comunità».

Nel ragionamento c’è un po’ di farragine e la sintassi non è il massimo, perché «meridione» si dovrebbe scrivere con la maiuscola.

Ad ogni buon conto, la delibera omnibus ha fatto la sua prima vittima: via Umberto I è diventata San Francesco di Paola. Fuori un Savoia – anche se col Risorgimento e la conseguente repressione del brigantaggio non c’entra – dentro un Santo, anche se è cosentino e non catanzarese e a Motta gli è già stata dedicata una targa.

Ma a monte di tanta furia iconoclasta c’è un ragionamento a dir poco fumoso, espresso dal sindaco nella relazione allegata alla delibera, di cui val la pena rileggere qualche stralcio.

Innanzitutto, è scontato il riferimento alle iniziative, condotte assieme ad altri Comuni e ai movimenti meridionalisti, «tendenti a collocare nella giusta dimensione le gravi ripercussioni sociali per il meridione, conseguenti all’Unità d’Italia». Fin qui, c’è la consueta professione di fede neoborbonica, purtroppo non suffragata da adeguata cultura storica: Colacino, prima di impegnarsi con tanta passione, avrebbe dovuto almeno sfogliare qualcuna delle centinaia di pagine prodotte nell’ultimo secolo sulla Questione Meridionale, per rendersi conto che la relazione tra i problemi del Sud e l’Unità Nazionale è stata sin troppo sviscerata, anche da intellettuali più ferrati dei suoi attuali punti di riferimento.

Ma la vera perla del sindaco è un’altra ed è tutta concettuale. Leggere per credere: «È stato deliberato il gemellaggio con il Comune di Mongiana, sito delle Reali Ferriere ed Officine, è stato sede di un importante complesso siderurgico realizzato a nel 1770-1771 facente parte del complesso industriale e militare del Regno delle Due Sicilie. Impianto di base per la produzione di materiali e semilavorati ferrosi, arrivò nel 1860 a dare lavoro all’epoca a circa 1.500 operai. Il Comune, travolto dalle vicende legate all’Unità d’Italia, fu considerato non fondamentale dal neo governo italiano-sabaudo, iniziando un conseguente e rapido declino, che lo portò a cessare le proprie attività nel 1881, portando alla miseria o all’emigrazione forzata una intera comunità».

Non per essere formalisti, ma dalla relazione di Colacino si capisce che il neonato Regno d’Italia avrebbe chiuso il Comune e non la ferriera. Cioè l’esatto contrario di quel che voleva dire il primo cittadino mottese.

Ora, al netto di questo svarione e di altrettanto grosse imprecisioni storiche (la ferriera chiuse perché economicamente improduttiva nel nuovo sistema e Mongiana non declinò in seguito alla chiusura ma fu sede di altre attività economiche), c’è da fare un’osservazione più legata all’attualità.

Ora, a Mongiana sono stati rimodernati i locali delle antiche ferriere, per farne un museo industriale. L’iniziativa, va detto, è importante, anche a prescindere da eventuali retropensieri ideologici, che Bruno Iorfida, il sindaco del paesino vibonese, ha evidenziato al raduno neoborbonico dello scorso anno.

Meno male che ci sono le ferriere, perché altrimenti Iorfida avrebbe dovuto raccontare altro alla platea di Gaeta. Ad esempio, del braccio di ferro giudiziario con il Ministero dell’Interno che lo ritiene tuttora incandidabile.

Iorfida, infatti, era consigliere dell’amministrazione comunale di Mongiana sciolta per presunte infiltrazioni mafiose nel 2012. Nel 2014 lui si è candidato a sindaco nonostante il diverso parere del Ministero, che ha portato la vicenda fino alla Cassazione, la quale gli ha dato ragione e ha rinviato la questione alla Corte d’Appello di Catanzaro, che ancora deve pronunciarsi.

Siamo, ovviamente, garantisti nei confronti del sindaco e della sua comunità. Altrettanto e più fattivo garantismo ha dimostrato nei riguardi di Ioffrida don Carlo di Borbone, gran maestro del Sacro militare ordine costantiniano di San Giorgio, che lo ha insignito dell’onorificenza di Cavaliere di Merito.

Non è colpa di Ioffrida, va da sé, essersi trovato in una situazione politicamente ambigua e con un Ministero che rema contro. Ma c’è da dire che se il riconoscimento gli fosse stato conferito da un’obbedienza massonica anziché da un ordine cavalleresco, sarebbe scoppiato uno scandalone. Il paragone non è fuori luogo, visto che, tranne per i contenuti ideologici (laici quelli della massoneria, religiosi quelli degli ordini cavallereschi) le due strutture si somigliano tanto. Forse avremmo assistito al paradosso di qualche gran maestro massonico costretto a depennare o a congelare l’adepto finché la sua posizione non si fosse chiarita, visto che tutte le principali gran maestranze hanno dichiarato la tolleranza zero.

Al contrario (e con la benedizione di Santa Romana Chiesa) gli ordini cavallereschi, possono ancora permettersi più benevolenza, in attesa che certe vicende finiscano, come auguriamo a Ioffrida, in una bolla di sapone.

Paese che vai, processo che trovi: Colacino ha sfidato un Museo per riavere il cranio di un suo compaesano considerato erroneamente un brigante (ma lo rivoleva anche e soprattutto quando lo si considerava brigante), Ioffrida si difende da un Ministero pignolo.

Il gemellaggio ci sta tutto, o no? 

 

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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