Insegnanti senza titolo, prosegue il giallo
I finti prof potrebbero essere molti di più di quelli finora scoperti dagli inquirenti. Insorgono i genitori dei disabili e i rappresentanti delle scuole
A oltre dieci giorni dall’inchiesta Minerva, con cui la Procura di Cosenza ha scoperto 33 docenti risultati in possesso di titoli falsi, continuano ad emergere altre notizie.
Alcune sono ufficiali e puntualmente diramate dalla stampa (in particolare, dalla Gazzetta del Sud e dai bollettini digitali del mondo della scuola), altre ufficiose, che si legano alle prime ma forse sono ancora al vaglio degli inquirenti.
Partiamo dalle notizie certe: i vertici dell’Ufficio Scolastico Provinciale di Cosenza hanno provveduto al depennamento dalle graduatorie dei 33 indagati, dei quali circa due terzi erano docenti di sostegno grazie ai titoli falsi.
Giustizia è fatta? Ovviamente no, non almeno finché l’autorità giudiziaria non metterà la parola fine.
L’altra notizia ufficiale è che l’inchiesta si starebbe estendendo a tutta l’Italia e che gli inquirenti sospettano un’unica regia e, a questo punto, un epicentro principale di queste scosse sismiche che scuotono il mondo della scuola, non solo calabrese.
Veniamo alle notizie ufficiose: si apprende da voci di corridoio che l’inchiesta potrebbe rivelarsi più pesante di quanto non sia già, per il numero dei potenziali indagabili, che si aggirerebbe attorno alle 500 unità. Più di dieci volte tanto degli indagati (e depennati) di Minerva. Per completare il quadro, occorre aggiungere che, sempre secondo queste voci, la proporzione tra gli ipotetici falsi docenti di sostegno e i falsi docenti punto sarebbe uguale a quella tracciata dall’indagine in corso, quindi caratterizzata da una schiacciante maggioranza dei primi.
È doveroso ribadire che queste notizie devono essere ancora suffragate da riscontri giudiziari e perciò invitiamo il lettore a prenderle con le pinze e a considerarle per quel che sono: il frutto di voci di corridoio. Che speriamo non abbiano alcuna conferma e risultino infondate, perché il mondo della scuola ne riceverebbe una mazzata ancora più forte e perché l’immagine della Calabria subirebbe altri schizzi di fango che di sicuro non le giovano e che non merita, dato che la stragrande maggioranza dei docenti calabresi che insegnano in regione o fuori lo fanno in seguito a grandi sacrifici e dopo anni di sudore sui libri.
Al netto degli aspetti giudiziari, c’è da dire che l’inchiesta cosentina ha riaperto delle polemiche di lungo corso tra gli addetti ai lavori. Queste polemiche non riguardano tanto l’aspetto lavorativo e sindacale della vicenda (i posti di lavoro rubati ai meritevoli da chi non aveva titolo), ma quello didattico, soprattutto riguardo alla docenza di sostegno.
Il primo a prendere la parola è Roberto Speziale, il presidente nazionale di Anfass, una storica associazione che si occupa dei disabili. Secondo Speziale, l’inchiesta cosentina è solo l’aspetto patologico di una situazione più pesante: «Questo è il punto estremo, gravissimo, di un sistema in cui più o meno il 30% degli attuali 135mila insegnanti di sostegno non ha in realtà una vera specializzazione, un percorso di studi specifico, sia perché gli insegnanti specializzati sono meno di quanti ce ne vorrebbero sia perché alcuni sono arrivati sul sostegno attraverso brevi corsi che consentivano una ricollocazione professionale a docenti di altre materie. Presentare un titolo farlocco e vedere il sostegno come refugium peccatorum o come unico mezzo per entrare nella scuola sono evidentemente cose differenti, ma culturalmente camminano di pari passo. Sui corsi di specializzazione al sostegno e sui diplomifici c’è un punto interrogativo grande come una casa, c’è zona grigia. Nella riforma abbiamo tentato di rafforzare la formazione obbligatoria, speriamo che l’attuazione ora non svuoti i decreti: serve un salto di qualità. La formazione dei docenti è elemento imprescindibile per garantire inclusione e qualità di vita».
Su una posizione analoga, Evelina Chiocca, del Coordinamento Italiano Insegnanti di Sostegno: «Sul posto di sostegno spesso lavora personale privo di specializzazione, è vero: è diffusissimo nelle nostre scuole, in quanto gli specializzati non sono sufficienti a ricoprire le richieste. Su questo punto però non basta chiedere di aumentare il numero degli specializzati: oggi, a distanza da 40 anni dalla legge 517/77, è necessario pensare alla formazione obbligatoria di tutti coloro che aspirano all’insegnamento. Non si entra nella scuola dell’inclusione se si è privi delle competenze per lavorare con tutti gli alunni, quindi anche con gli alunni con disabilità».
Insomma, gli addetti ai lavori e i parenti dei disabili cercano di ricordare che non è in ballo solo una questione di giustizia economica: per loro la differenza tra un docente falso e un docente non adeguatamente preparato può essere minima e si rivolgono allo Stato non solo perché si occupi a dovere dei primi ma limiti l’ingresso dei secondi nelle scuole.
Questo problema deve essere piuttosto considerato nelle stanze del Miur. Che, non a caso, ricorda il sottosegretario Gabriele Toccafondi, ha disposto una serie di ispezioni a tappeto. Infatti, nell’ultimo biennio sono finiti sotto la lente d’ingrandimento del Ministero oltre 600 istituti paritari, evidentemente considerati l’anello debole del sistema scolastico, di cui 232 nella sola Calabria.
Al riguardo, occorre rilevare la sproporzione fortissima per cui una regione con meno di 2 milioni di abitanti ospita da sola più di un terzo degli istituti attenzionati dagli ispettori. E purtroppo i risultati non sono mancati. Anzi: in Calabria 7 scuole secondarie di secondo grado e 18 scuole dell’infanzia hanno subito la revoca della parità proprio in seguito all’ispezione.
Il che vuol dire che non basta amputare la punta, ma occorre sciogliere un po’ anche il corpo dell’iceberg. E qualcuno se n’è accorto.
13,182 total views, 2 views today
Comments