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Medio Oriente, quando Aldo Moro anticipò Craxi

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Giacomo Pacini racconta i retroscena dell’attentato di Fiumicino durante un convegno dell’Unical dedicato al compianto statista. De Mita: «Fu ucciso da persone che l’avevano “confessato”». Caligiuri: «Seppe relazionarsi alla grande con il mondo dell’intelligence per tutelare l’interesse nazionale»

La crisi di Sigonella non fu una novità né un precedente. Semmai fu solo l’episodio più vistoso, e per questo rivelatore, della sofisticata politica estera italiana nei confronti del mondo arabo e, soprattutto, dei suoi irredentismi nazionali.

Questa politica, incarnata a livello economico dal superattivismo dell’Eni di Enrico Mattei, fu praticata da Aldo Moro, in modo sicuramente meno aggressivo e muscoloso rispetto a Craxi. Tuttavia, c’è da dire che il compianto statista democristiano agì, a differenza dell’ex leader socialista, in un periodo in cui l’orgoglio patriottico non era ancora considerato un bel biglietto da visita, specie dalla sinistra (inclusa quella Dc), e perciò occorreva tutelare l’interesse nazionale senza averne l’aria.

La politica araba di Moro, è stata ricostruita da Giacomo Pacini, studioso dell’Istituto Storico Grossetano della Resistenza e dell’Età Contemporanea, durante la giornata di studi dedicata all’ex presidente della Dc svoltasi il 13 maggio all’Università della Calabria e intitolata: Aldo Moro e l’intelligence. Il senso dello Stato e la responsabilità del potere.

Pacini, autore di importanti ricostruzioni storiche su Gladio, sui servizi segreti e sulle altre strutture controinsurrezionali dell’Italia repubblicana, ha raccontato, sulla base di documenti inedita, il cosiddetto Lodo Moro, cioè  «il patto di non belligeranza che prevedeva la salvaguardia dalla minaccia di attentati terroristici in cambio della liberazione dei militanti palestinesi arrestati sul suolo italiano, la tolleranza per i traffici di armi verso il Medio Oriente, nonché un impegno a arrivare a un riconoscimento ufficiale da parte delle diplomazie europea dell’Olp come legittimo rappresentante del popolo palestinese».

Moro gestì questi rapporti pericolosi, che tuttavia resero l’Italia un interlocutore di primo piano del mondo arabo, a cavallo tra il 1972 e il 1973, in occasione dei suoi due mandati al Ministero degli Affari esteri.

«Sulla base del materiale che è stato possibile rinvenire, si evince che i primi contatti tra funzionari dei Servizi segreti italiani ed emissari palestinesi avvennero a fine 1972 nell’ambito di una trattativa che portò alla liberazione di due militanti del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina (Fplp) arrestati nel precedente agosto per aver nascosto un ordigno in un mangianastri portato inconsapevolmente su un aereo israeliano da due turiste inglesi», ha spiegato Pacini durante il suo intervento.

Ma il Lodo Moro, ha proseguito lo storico toscano, divenne operativo pienamente solo a partire dal 1973, cioè in seguito al secondo mandato del big democristiano alla Farnesina e in seguito al tragico attentato di Fiumicino.

La svolta sarebbe iniziata con l’arresto avvenuto a Ostia nel settembre 1973 di cinque palestinesi trovati in possesso di missili Strela che intendevano usare per abbattere un aereo israeliano. Ora, ha spiegato ancora Pacini, «Nell’ambito delle complesse trattative che portarono alla loro liberazione (e che coinvolsero anche la Libia) l’Olp si impegnò ufficialmente a non effettuare più azioni di guerra sul suolo italiano. Tuttavia le frange più estremiste della galassia palestinese non accettarono quell’intesa e si resero responsabili della strage di Fiumicino del 17 dicembre 1973. Fu solo dopo quella tragedia che il cosiddetto Lodo Moro cominciò a diventare qualcosa di davvero strutturato e funzionante, grazie soprattutto al fondamentale lavoro di mediazione svolto del colonnello Stefano Giovannone, capo centro Sismi a Beirut, funzionario dei Servizi da sempre molto legato a Aldo Moro».

L’intervento di Pacini, che sarà inserito nella raccolta di atti della giornata di studi dell’Unical, è un autentico scoop a livello storiografico. E rivela un aspetto inedito dello statista pugliese.

Ma c’è da dire che è inedito tutto il ritratto di Moro uscito dal convegno di sabato. L’alchimista delle convergenze parallele era in realtà un manovratore abilissimo e decisionista, capace di muoversi nel solco della migliore tradizione diplomatica e di usare, nei limiti del possibile, il pugno di ferro nel classico guanto di velluto. Ossia di relazionarsi al massimo con l’intelligence (e non solo quella americana, con cui pure dialogò e trattò tantissimo).

D’altronde, ha spiegato Mario Caligiuri, docente Unical, organizzatore del convegno e direttore del Master accademico d’intelligence, «i grandi statisti si sono distinti proprio per la loro capacità di relazionarsi all’intelligence in nome dell’interesse nazionale».

Il ricordo più commosso del leader democristiano è stato, ovviamente, quello di Ciriaco De Mita, ex presidente del Consiglio ed ex segretario della Dc: «Aldo Moro fu ucciso da persone che l’avevano prima rapito e poi confessato».

Ma la dietrologia sul delitto Moro è stata secondaria nel ricordo dello statista, su cui, anche in occasione del recente anniversario della scomparsa, sono stati spesi i consueti fiumi d’inchiostro. Alle torbidità di certe ricostruzioni (ispirate più dal desiderio di vendere libri e giornali o di attirare clic che dalla voglia di verità) i relatori hanno preferito la serenità della ricostruzione storica e la complessità del discorso politico e geopolitico. Un discorso complesso, s’intende. Ma di sicuro più sincero di tante ricostruzioni di parte che tuttora continuano a condizionare la biografia del leader scomparso.

Tutti i relatori si sono soffermati sulla complessità dell’azione politica di Moro, che è stata il frutto di un pensiero profondo applicato agli equilibri delicati della guerra fredda. E proprio per sondare in profondità quest’opera politica gli interventi hanno disegnato un percorso a cerchi concentrici. Così Vera Capperucci della Luiss si è soffermata sul caso Tambroni, Virgilio Ilari della Cattolica di Milano ha approfondito i rapporti tra Moro e la Cia, Andrea Ambrogetti ha descritto i rapporti politici tra Moro e gli americani durante la solidarietà nazionale e Francesco Biscione della Fondazione “Flamigni” ha infine analizzato il memoriale scritto dallo statista durante i cinquantacinque giorni di prigionia nel covo delle Br.

Non serve un grande intuito per capire che molti editori stanno già preparando server e rotative per affrontare il quarantesimo anniversario della morte di Moro. E non occorre la sfera di cristallo per intuire che ci sarà la consueta gara a svelare dettagli (e a spararla più grossa), segno che anche la storia è stata contagiata dal virus del sensazionalismo, contratto da rapporti a dir poco ambigui con il giornalismo.

Se è vero che prevenire è meglio che curare, l’articolato dibattito dell’Unical può essere considerato un esempio di analisi corretta. Tra tante urla le riflessioni non fanno mai male. Anzi.

 Per saperne di più:

Il convegno su Aldo Moro

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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