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I corpi presentano tracce di violenza carnale: sesso e sangue nel cuore della provincia italiana

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Una Perugia decadente e tenebrosa è lo scenario degli atroci delitti di un serial killer che massacra le studentesse

Una coppia è sorpresa da un maniaco mentre amoreggia in macchina di notte. Per i due non c’è scampo. Sgozzato lui, barbaramente trucidata lei.

Una ragazza esce da una comune per sottrarsi a un’orgia. È sola in un bosco. Un misterioso assassino, col volto coperto da una maschera bianca, la insegue, la soffoca e poi ne mutila il cadavere con un coltello affilatissimo. In molti hanno colto il riferimento alle imprese sadiche e brutali del Mostro di Firenze.

«Quello che vedete sullo schermo non è opera di un pittore astratto. Quello che vedete sono frammenti di tessuto trovati sotto le unghie della vostra compagna barbaramente uccisa una settimana fa: Flo’ Nicholson. Di che frammento si tratti ce l’ha svelato definitivamente questo foulard, stretto attorno alla gola di Carol Pelisier che, come la sua compagna, presentava tracce di violenza carnale». Con queste parole dure, il commissario Enzo Di Salvo (l’attore, doppiatore ed ex enfant prodige Luciano De Ambrosis) arringa gli studenti che affollano l’aula magna dell’Università per Stranieri di Perugia, la città in cui è ambientato I corpi presentano tracce di violenza carnale (1973), l’efferatissimo thriller con cui Sergio Martino estremizza la formula del giallo all’italiana: unisce gli spunti erotico-morbosi dei suoi precedenti gialli – ad esempio, Lo strano vizio della signora Wardh (1971) e Il tuo vizio è una stanza chiusa (1972) – agli eccessi brutali di Dario Argento e anticipa il cinema slasher americano che avrebbe furoreggiato nel decennio successivo.

Sesso e sangue. L’inchiesta del commissario Di Salvo è spinosa: trovare l’assassino di Carol (Conchita Airoldi) e Flo’ (Patrizia Adiutori), le due studentesse trucidate con ferocia e morbosità (non a caso il commissario lascia intuire anche la necrofilia nel modus operandi del serial killer). E i potenziali colpevoli non mancano.

Poliedrico, ma particolarmente ferrato nel giallo e nel poliziesco, Martino si diverte a far cadere i sospetti su vari personaggi. Tra questi, Stefano Vanzi (interpretato da Roberto Bisacco, passato dal cinema a Un posto al sole e poi in teatro), collega delle due vittime e innamorato alla follia di Daniela Anselmi (la stupenda e ambigua Tina Aumont) che corteggia con un accanimento prossimo allo stalking. Tra l’altro anche Stefano, che ha difficoltà ad avere rapporti normali con le donne, come dimostra la sua cilecca con una prostituta (Rosaria Della Femmina), ha un foulard rosso e nero come quello esibito dal commissario. Poi c’è Roberto (il fighissimo Luc Merenda), un giovane medico dall’aria dura e dallo sguardo glaciale: anche lui compra da un ambulante un foulard simile a quello di Stefano.

Ma non basta: persino Nino, zio di Daniela ed amante di Carol, potrebbe essere tra i sospettati.

Perugia, col suo fascino antico, è il set ideale per la storia pesante e intensa scritta da Ernesto Gastaldi e diretta con rara ispirazione dal regista romano. I depistaggi continui lasciano attonito lo spettatore, che arriva fuorviato alla terribile sequenza finale, che culmina in una carneficina cadenzata da colpi di scena mozzafiato.

Protagonista della vicenda è la brava Suzy Kendall, che qualche anno prima aveva partecipato a L’uccello dalle piume di cristallo (1970), l’esordio di Argento.

La Kendall interpreta Jane, una studentessa americana che nel contesto corrotto e decadente della Perugia ripresa a tinte fosche da Martino sembra una novella Alice nel Paese delle Meraviglie.

Di tutt’altra pasta sono Daniela e le altre amiche, Katia (Angela Covello) e Ursula (l’afro-austriaca Carla Brait, sexy starlet di colore del cinema italiano di quegli anni), queste ultime due legate da un rapporto saffico.

Jane inizia a legare con Franz (il britannico John Richardson, protagonista di una lunghissima carriera in Italia), docente di Storia dell’arte dell’Università, ma poi decide di andare in campagna assieme a Daniela e alle sue amiche. Ed è proprio lì che gli avvenimenti precipitano. L’assassino irrompe nella villa dove si sono rifugiate le quattro giovani e massacra Daniela, Katia e Ursula. Jane non si accorge di nulla perché addormentata da un sedativo. Ma si ritrova intrappolata nella casa ed è costretta a spiare il killer mentre fa a pezzi i corpi delle vittime.

Tra un colpo di scena e l’altro, arriva la rivelazione finale, subito dopo la scena di manuale in cui la giovane americana tenta di recuperare la chiave della stanza in cui è rimasta chiusa senza sapere che l’assassino la sta osservando.

Ritmo serratissimo, grazie a una sceneggiatura secca nella scrittura ma dall’architettura complessa, I corpi… furoreggiò negli Stati Uniti, dove fu distribuito con un diverso titolo (Torso) e scene assai più spinte, per soddisfare le più smaliziate platee yankee.

Estremo, brutale e gotico, il film di Martino, nell’opinione della critica la sua pellicola più riuscita, lancia uno sguardo cupo sulla provincia italiana, quieta e pacifica in apparenza ma ricolma di segreti terribili.

Torso, che anticipa in questo aspetto anche alcune tematiche calde di Twin Peaks, ha solo un concorrente nella sua corsa all’eccesso: il Mario Bava di Reazione a catena. Ovviamente non c’è la prova che i cineasti americani, soprattutto John Carpenter, si siano ispirati ai loro colleghi italiani. Ma il serial killer di Martino, che trucida le sue vittime col volto coperto e le mani coperte da guanti di pelle, anticipa non poco Michael Myers e Jason Vorhees, gli assassini più famosi dell’estremismo in celluloide americano. La colonna sonora dei fratelli De Angelis, in cui i toni jazzati si mescolano alla consueta effettistica da suspense, completa il quadro di un film da rivedere. Anche se qualche purista storcerà il naso, I corpi… assolve egregiamente il suo ruolo di horror: spaventa alla grande, grazie anche a soluzioni estetiche di gran pregio.

Poi Martino avrebbe cambiato genere per l’ennesima volta: dal giallo sarebbe tornato al poliziesco e infine si sarebbe dedicato alla commedia sexy e boccaccesca. Ma non è riuscito a far ridere allo stesso modo in cui si è dimostrato efficace a far paura.

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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