L’Ufficiale e la Spia, Polanski rilegge un complotto d’epoca
Si ispira alla celebre requisitoria di Zola l’ultimo film del grande regista polacco, tratto da un romanzo di Robert Harris
J’accuse, uscito in Italia come L’Ufficiale e la Spia, è la ventitreesima pellicola firmata da Roman Polanski.
Il soggetto è tratto dall’omonimo libro di Robert Harris, con cui il regista ha scritto la sceneggiatura a quattro mani. Questo è il secondo incontro artistico del regista franco-polacco con l’opera dello scrittore britannico, dai cui aveva tratto nel 2010 l’ottimo L’uomo nell’ombra.
L’Ufficiale e la Spia è già un film celebrato: ha vinto il Gran premio della giuria alla 76ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, lo scorso anno.
Lo scrittore e il regista raccontano un giallo storico in cui realtà e finzione si mescolano per mascherare la verità.
Siamo nella Parigi del 1894. Protagonista è Alfred Dreyfus, capitano dell’esercito francese accusato di alto tradimento per aver passato materiale riservato al Reich Tedesco.
Il caso dell’ufficiale, condannato all’esilio sull’Isola del Diavolo, genera scalpore, anche per via della sua origine ebraica. L’anno successivo all’esilio Georges Picquart, capo dei servizi segreti francesi, pur nutrendo sentimenti antisemiti, capisce che qualcosa non va nelle accuse a Dreyfus. Inizia così il calvario per entrambi i protagonisti, la vittima di un procedimento sbagliato sin dall’inizio e l’inquirente.
La giustizia francese dell’epoca, come tante altre ancora oggi, aveva il vizio di praticare i classici due pesi e due misure, a dispetto del brocardo solenne che fa mostra di sé nelle aule giudiziarie: La Legge è uguale per tutti.
Per fortuna, qualche volta c’è chi è capace di scavare a grande profondità e far emergere verità scottanti e inimmaginabili. Accadde con Dreyfus, il personaggio storico e quello della finzione cinematografica, ed è accaduto da noi nella vicenda di Enzo Tortora: in entrambi i casi fu una parte illuminata della stampa a far luce e a rompere il muro delle accuse.
Non a caso, una parte non secondaria della pellicola è dedicata a Émile Zola, interpretato da François Damiens, il grande giornalista e scrittore che si schierò coraggiosamente a fianco dell’ufficiale caduto in disgrazia.
Con grande determinazione e approfittando della sua celebrità, Zola cerca di portare alla luce i fatti. Ma ciò non gli impedisce di mettersi nei guai e di attirarsi a sua volta antipatie e accuse, finché la vicenda esplode e diventa un caso mediatico, che trasforma la vicenda giudiziaria in un simbolo dell’opinione pubblica.
Oltre alla riflessione socio-politica e giudiziaria, nel racconto di Polanski emerge anche l’aspetto più propriamente storiografico: la rivalità franco-tedesca (e le conseguenti tensioni) nel periodo compreso tra la sconfitta di Sedan e la prima guerra mondiale: non a caso nel film emergono i timori di un attacco germanico e si parla di nuovi armamenti per dare il caloroso benvenuto ai potenziali invasori.
Alle stesse tensioni è dovuta la premura con cui è accolto l’ambasciatore della Russia, con la quale Francia e Gran Bretagna formeranno la Triplice Intesa, dando così il via a una cascata a catena.
Un altro, importante aspetto della lettura polanskiana dell’affaire Dreyfus riguarda il problema della verità e della disinformazione: le false accuse al capitano francese sono un esempio dell’impatto delle fake news in un’opinione pubblica poco vaccinata e perciò poco capace di filtrarle (e respingerle).
Già: facile cedere ai pregiudizi e dar retta alle bufale che li assecondano. Difficile, a volte quasi impossibile, trovare la verità attraverso un giudizio critico.
È quel che fa Picquart, che lavora anche e soprattutto su sé stesso per superare l’antipatia provata nei confronti di Dreyfus e maturata nel periodo in cui quest’ultimo era suo superiore per scovare la verità e conciliarla con la giustizia.
Come ricorda Montesquieu, un’ingiustizia fatta all’individuo è una minaccia fatta a tutta la società.
Ma la giustizia resta una missione difficile, nella Francia di fine XIX secolo e nelle società contemporanee. Per questo, L’Ufficiale e la Spia è molto più di un film: è una metafora.
Il trailer di L’Ufficiale e la Spia:
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