Concorso in magistratura, ancora polemiche e spunta l’ombra di Bellomo
Tre tracce generaliste (ma non semplici) come a luglio. Ma in tanti si sono lamentati comunque e c’è chi ha tirato fuori una coincidenza curiosa: il tema di Diritto amministrativo richiama una sentenza del giudice delle minigonne e sarebbe stato già trattato nel corso di Roberto Giovagnoli, altro magistrato chiacchierato per aver vinto un concorso a cui non avrebbe potuto partecipare per mancanza di titoli. Ma il vero problema è il peso, giudicato da molti eccessivo, delle scuole di formazione private, in cui insegnano molti consiglieri di Stato. E i tentativi di riforma falliscono puntualmente di fronte al potere dell’organo giudiziario più blindato d’Europa…
A osservare le cose in maniera distaccata, si ha l’impressione che le prove scritte dell’ultimo concorso in magistratura abbiano seguito il trend inaugurato nell’edizione dello scorso luglio: tracce più generaliste, sebbene di indubbia complessità, ispirate da temi piuttosto attuali.
Nulla a che vedere con quanto accaduto fino a luglio 2016. Se questo sia merito del Ministero della Giustizia oppure l’esito di coincidenze è da stabilire. Ad ogni buon conto, val la pena di rileggere le tracce.
Il 23 gennaio, quasi a sorpresa, perché è quasi consuetudine iniziare con la materia civilistica, è stata sorteggiata la traccia di Diritto penale: Natura e fondamenti, anche alla luce delle fonti sovranazionali, della confisca penale, Tratti il candidato della confisca diretta, per equivalente e per sproporzione con particolare riferimento alla titolarità del bene confiscato.
Il 24 gennaio, è uscita la prova di Diritto civile: Il principio consensualistico nella compravendita e nell’appalto.
Il 26 gennaio, infine, è stata la volta del Diritto amministrativo: Gli strumenti amministrativi di contrasto alle organizzazioni criminali, con particolare riferimento alle interdittive prefettizie ed alle relative tutele giurisdizionali.
Nessuna di queste tracce, ci hanno rassicurato gli esperti, era tale da generare la cosiddetta sindrome del foglio bianco. E, per di più, tutte richiamavano argomenti di attualità.
Perciò molte delle lamentele espresse da vari candidati potrebbero risultare fuori luogo. Si pensi, per quel che riguarda le tracce di penale e amministrativo, che a metà gennaio la Calabria è stata messa a soqquadro dalla maxioperazione antimafia della Dda di Catanzaro. Questa maxinchiesta, che ha comportato anche l’arresto di vari amministratori locali, riguarda il condizionamento mafioso dell’economia di un’area piuttosto vasta con possibili conseguenze all’estero. Chi ha lamentato la troppa specificità o l’eccessivo tecnicismo di questi due temi avrebbe fatto bene a sfogliare qualche quotidiano in più e qualche gazzetta ufficiale in meno.
Altra attenzione, invece, meritano le polemiche scoppiate (e puntualmente rilanciate dai media) sul fatto che la traccia di amministrativo abbia ripreso una sentenza di Francesco Bellomo, il cosiddetto giudice delle minigonne, e che sia stata azzeccata in precedenza, per la precisione a dicembre, nel corso tenuto da Roberto Giovagnoli, un altro consigliere di Stato, anche lui piuttosto chiacchierato perché non avrebbe avuto i titoli per entrare nel supremo organo della giustizia amministrativa.
Il sospetto, in questo caso, è pesante e difficile da rimuovere. Ma per avere conferme occorrerebbe provare che i commissari o il commissario esperto (in questo caso il professor Roberto Rolli, associato all’Unical) abbiano qualche legame con le scuole private per la preparazione del concorso. Ma anche in questo caso non si ricaverebbe granché, perché ogni prova è estratta da una terna.
Semmai, a voler essere pignoli, ci sarebbe da dire che Rolli aveva trattato del contrasto amministrativo alla criminalità organizzata in alcune pubblicazioni accademiche.
Ma il punto è un altro: ormai, dopo le polemiche degli scorsi anni per l’eccessiva difficoltà – a volte ai limiti della stravaganza – delle tracce e dopo l’affaire Bellomo, il concorso in magistratura, che prima era argomento di discussione per addetti ai lavori, è entrato nel mirino dell’opinione pubblica.
E allora sorge più che legittimo il sospetto che l’eccessiva specificità delle tracce fosse in buona parte dovuta al ruolo delle scuole private, in cui la didattica è svolta da consiglieri di Stato, che, a differenza dei magistrati ordinari, non rischiano conflitti d’interesse, visto che non fanno parte delle commissioni d’esame.
Non è la prima volta che filtrano voci sulle tracce azzeccate in anticipo da questa o quell’altra scuola di preparazione. E forse, nel caso di temi troppo specifici, gatta ci cova. Quando, invece, le tracce sono più generaliste, come nelle due ultime edizioni, il sospetto è meno fondato.
L’aspetto più paradossale è che c’è voluto uno scandalo a base sessuale per far emergere, tra l’altro non del tutto, la vera portata del problema: il peso eccessivo del Consiglio di Stato nel concorso in magistratura. Un peso indiretto, perché esercitato attraverso le scuole, che sono strutture private, ma comunque notevole, perché essere consiglieri di Stato significa avere una rete di rapporti sociali e politici non indifferenti.
Significa gestire il potere vero, che nel nostro Paese si annida di più in certe burocrazie invisibili ma invasive. E questo potere condiziona non poco: se la magistratura ordinaria è una casta, il Consiglio di Stato è una supercasta.
Non a caso, i tentativi di riformare la giustizia amministrativa non sono semplicemente naufragati: si sono arenati prima di allontanarsi dalla riva.
Giusto per tornare a Bellomo: si pensi con quanta sicurezza l’ex magistrato, fresco di destituzione, ha annunciato di voler fare ricorso al Tar (quello del Lazio, competente per materia e, nel suo caso, anche per territorio). «A breve ne vedrete delle belle», ha dichiarato al giornalista de La Stampa, che lo aveva scoperto a far lezione come se nulla fosse in un albergo di Roma due giorni prima del concorso. Una dichiarazione, la sua, in linea con lo show un po’ surreale, a base di formalismi e logicismi astratti, inscenato dallo stesso ex magistrato davanti alle telecamere di Porta a porta.
Da cosa deriva tanta sicurezza? È solo questione di arroganza caratteriale, magari di yuppismo andato a male, o c’è dell’altro?
Se il Tar respingesse la richiesta di Bellomo ci sarebbe il Consiglio di Stato, lo stesso organo che lo ha destituito nella sua quasi totalità, a cui far ricorso. E poi nient’altro. Non è che tra le righe delle dichiarazioni del giurista barese c’è qualche messaggio in codice agli ex colleghi, che lo hanno sfiduciato il 10 gennaio, forse anche perché, stavolta, avevano addosso gli occhi di tutto il Paese?
Ricordiamoci, per tracciare un altro parallelo, che Bellomo divenne consigliere di Stato in seguito allo stesso concorso vinto da Giovagnoli e che questo concorso non fu invalidato perché l’ultima istanza era, appunto, il Consiglio di Stato.
Di fronte all’evidenza questo cortocircuito – che dovrebbe indurre i media a vigilare di più proprio perché certe cose non si ripetano – tutto il resto passa in secondo piano: i presunti plagi, le minigonne, imposte o meno, i contratti improponibili e giuridicamente inesistenti, e i segreti industriali (a proposito: c’entrano qualcosa con le tracce azzeccate in anticipo, spesso strettissimo, sui tempi del concorso?).
Tutto questo è solo la conseguenza di certi grumi di potere.
Certo, generalizzare le tracce – che non vuol dire renderle elementari – può arginare certe derive. Ma i grumi vanno dispersi, perché la magistratura è il potere più delicato dello Stato, in quanto è l’unico che non è costituito sulla base di una procedura democratica. Quindi renderne il più possibile trasparenti i meccanismi di formazione è il minimo.
E pazienza se ciò ridimensionerà il business didattico ed editoriale che si è sviluppato attorno al concorso, che rischia di raggiungere punte indegne: alla fine dei conti, Gesù non cacciò a pedate i mercanti dal Tempio?
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