La petizione di Viesti contro Zaia? Un’inutile patacca
L’appello dell’economista pugliese colpisce in apparenza le richieste del governatore veneto, bollate come eversive.
In realtà, il Parlamento non avrebbe i numeri per riformare le autonomie regionali e forzare ancora la Costituzione.
Probabilmente il professore di Bari e i principali firmatari tentano solo di condizionare i grillini per inserirsi nel dibattito politico col pretesto del Sud.
Forse ha fatto bene Gianfranco Viesti, influentissimo economista pugliese, a lanciare l’allarme sui pericoli del cosiddetto “regionalismo differenziato”, che potrebbe diventare un modo di forzare la Costituzione in senso anticostituzionale con mezzi costituzionali, cioè attraverso il cavallo di Troia dell’articolo 116.
A livello morale il prof ha ragione, lo diciamo con tutto il rispetto per la stragrande maggioranza di cittadini veneti per bene e dotati di buon senso: il Veneto è in cima alla classifica per varie, cattive abitudini, a partire dall’evasione fiscale, né può dare lezioni di buona amministrazione a chicchessia, come ribadiscono le vicende del Mose e della gestione della viabilità.
E ha ancora ragione, il prof, nel denunciare come eversivi alcuni aspetti della proposta di Zaia, non solo a livello politico, quello più immediatamente percepibile, ma anche e soprattutto a livello giuridico: siamo davvero sicuri che per aumentare le autonomie nella misura richiesta dal governatore leghista non sia necessaria una revisione costituzionale, a cui questo Parlamento non sarebbe in grado di fornire le maggioranze necessarie?
Ma c’è da dire che Mattarella non è l’ultimo arrivato e perciò dubitiamo che abbia davvero bisogno di una petizione per accorgersi delle forzature e quindi rispedire al mittente le richieste.
Non ci sembra affatto che il mite Presidente sia così sprovveduto e debole. Anzi: ha già dimostrato l’esatto contrario durante le trattative concitate che hanno preceduto la formazione del governo Conte.
L’appunto di Viesti, semmai andrebbe rivolto ai parlamentari dei 5 Stelle, che prima si sono giovati anche della propagande martellante dei “sudisti” che hanno firmato la petizione (a partire da Pino Aprile) e ora governano assieme alla Lega.
Al riguardo, al la pena di fare una riflessione politica più approfondita sulla Lega, che solo gli avversari considerano una specie di Moloch.
Per questo facciamo una domanda banale: siamo sicuri che Conte facesse sul serio nel promettere a Zaia (e non al Veneto che non crediamo si risolva in lui e nei suoi sostenitori) un posto privilegiato nella concessione di autonomie straordinarie? Tutto lascia credere che quelle del Presidente del Consiglio siano state soprattutto pacche sulla spalla dei leghisti veneti per calmare le acque in casa di Salvini, dove si vivono tuttora tensioni fortissime e irrisolte (e forse irrisolvibili) tra la vecchia guardia bossiana, che proprio nel Nordest ha l’ultima roccaforte e parla venexiano, e la “new wave” salviniana che l’ha messa in secondo piano e forse spera di liquidarla. Val la pena di riflettere a ritroso su quel che era accaduto lo scorso inverno, quando Zaia e Maroni lanciarono i referendum per chiedere addirittura le autonomie speciali: fu anche il tentativo di alzare la testa e dare segnali forti al segretario, ormai deciso a cavalcare (secondo i maligni anche per compiacere i presunti finanziatori russi) la linea lepenista che fatalmente li avrebbe messi sotto naftalina. E queste alzate di scudi continuano tuttora, anche perché i loro fautori sono gli ultimi due esponenti del vecchio corso a non essere stati “gambizzati” dall’autorità giudiziaria e quindi hanno sufficiente forza politica per resistere.
Se le premesse sono queste, è chiaro che una frattura interna alla Lega metterebbe in pericolo la tenuta dell’attuale maggioranza, che ha rogne ben peggiori e più urgenti da sbrigare che non il riassetto delle autonomie regionali.
Ma se quella di Conte è solo una pacca sulla spalla dei leghisti veneti (e non dei veneti tout court, che non sono solo leghisti e zaiani) perché una petizione? Perché tanto rumore?
Viene il sospetto l’intenzione di Viesti e di chi lo sostiene sia più di polemizzare a livello politico e per scopi politici, ad esempio esasperare le faglie interne alla maggioranza, anche tra i 5 Stelle più che di lottare a favore del Sud. Che, è vero, se questa riforma passasse, subirebbe uno scippo spaventoso e arretrerebbe di brutto non solo a livello economico ma in qualità della vita. Ma, ripetiamo, è altrettanto vero che l’attuale Parlamento non ha i numeri né per riformare né per forzare la Costituzione.
Insomma, lo diciamo con tutto il rispetto che merita un luminare dell’economia, la petizione di Viesti ha tutta l’aria di una patacca. La quale, tra l’altro, rischia di fare il gioco di chi mira a distruggere il Paese perché rinfocola il clima d’odio e di rivendicazioni tra Nord e Sud.
Al riguardo, ci permettiamo di fare un’altra, banale domanda: quando il centrodestra a fine anni ’90 si accingeva a sfregiare il Titolo V della Costituzione, dov’erano i professori universitari, giornalisti di vaglia e intellettuali vari che ora lanciano l’allarme? Già: la forbice tra Settentrione e Meridione è ripresa a crescere a partire dagli anni ’90, con l’entrata a regime delle nuove autonomie locali e con la fine della finanza derivata. È da allora che il divario è diventato baratro e non ci sembra proprio il massimo che chi non si mosse allora oggi punti il dito e parli in nome di un Sud da cui ha avuto tanto, in termini di potere (baronale, culturale e “di firma”) e a cui ha dato meno di ciò che ha avuto.
La petizione che applaudiremmo davvero è un’altra, più coraggiosa: quella con cui si chiedesse un limite alle nostre caotiche autonomie, che ci indeboliscono anche nel confronto europeo. Prima gli italiani, come dice Salvini? Certo, ma si è prima italiani se ci si identifica più in uno Stato, quello che ha abbandonato il Mezzogiorno dopo essercisi puntellato a lungo, che in una Regione o in un Comune. Ma è evidente che i sostenitori della petizione mirano a scopi più immediati prosaici: ad esempio, mettere sale sulla coda di alcune componenti della maggioranza governativa per rilanciare le proprie credenziali. Dormiamo pure tranquilli, ché qui nessuno vuol fare rivoluzioni, né i leghisti vecchia maniera né chi gli dà addosso: siamo in Italia, dove le rivoluzioni non si fanno perché, diceva Longanesi, ci conosciamo tutti.
Saverio Paletta
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