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Genova, peggio della tragedia solo le sciocchezze

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A una settimana dal crollo del ponte “Morandi” non si placano le polemiche. Intanto la città, crocevia di importanti traffici internazionali, è paralizzata e mentre parte l’inchiesta nessuno si è posto il problema della ricostruzione

Ne abbiamo sentite troppe, dopo la tragedia ferragostana di Genova, che ha scioccato tutti, terrorizzato tanti e commosso molti, fuorché gli sciacalli di certa informazione, a cui non è parso vero di aver trovato qualcosa su cui pontificare e almanaccare nella tradizionale penuria agostana di notizie.

Le macerie del ponte

Tutto come da copione: prima i dettagli di cronaca, col corredo dei video in presa diretta, che sono diventati virali, poi l’opinionismo, più o meno a buon mercato e più o meno avallato dall’autorità di tecnici ed esperti che si sono scoperti logorroici solo a disastro avvenuto,

Infine, la dietrologia, mirata con estrema precisione verso bersagli ben delineati, economici e (quindi) politici, in prima fila la Benetton, poi il vecchio centrosinistra ulivista, “reo” di aver gestito le privatizzazioni. Non poteva, ovviamente, mancare la Ue, colpevole a sua volta di averci chiesto queste benedette privatizzazioni, in realtà avvenute ovunque, ma solo in Italia rivelatesi disastrose.

In questo contesto è stata persino riesumata quella letteratura dietrologica, in voga presso certa destra “antimondialista” degli anni ’90 ma utilissima anche per le propagande leghista e pentastellata, che indica nel famoso meeting sullo yacht Britannia, in cui furono decise le nostre privatizzazioni, la radice di tutti i mali presenti.

Un altro dettaglio del crollo

Un complottone degno della satira del compianto Umberto Eco, che purtroppo non c’è più, altrimenti ci avrebbe deliziato con le sue osservazioni sarcastische. Ne facciamo una noi, scusandoci per la digressione: non si è mai visto un complotto così alla luce del sole come quello avvenuto sul Britannia, di cui diedero notizia tutti i giornali.

Ma torniamo all’argomento principale: la tragedia del ponte “Morandi” di Genova, che ha innescato un bel po’ di paranoie, visto che di ponti “Morandi” è piena l’Italia e c’è da temere che siano tutti a rischio per via dell’omessa manutenzione.

Il dibattito dell’ultima settimana, infarcito di veleni di tutti i tipi, rischia di far perdere di vista il problema vero, che riguarda i trasporti di un’importante area d’Europa che fa perno sulla Liguria e, soprattutto, sul porto di Genova.

Quest’area, che coinvolge le regioni vicine (il Piemonte soprattutto), ma anche la Francia, la Svizzera e l’Austria, è letteralmente spezzata in due e ancora non si ha notizia di una sola ipotesi di ricostruzione, non del ponte ma di una via di comunicazione alternativa.

Certo, è stata avviata un’inchiesta (e ci mancherebbe…), ma questa non compete alla politica, che si sta azzuffando alla grande, né alla pubblica amministrazione, regionale e statale, che semmai doveva vigilare prima, perché privatizzare non vuol dire disimpegnarsi. La caccia ai colpevoli, anche di omissioni, tocca alla magistratura – a cui, ha fatto capire il procuratore di Genova Francesco Cozzi, gli attuali clamori non fanno proprio benissimo – e non ai media.

Nel bel mezzo, c’è un blob di falsi problemi. Il primo, già menzionato, riguarda le privatizzazioni. Il ponte fu costruito negli anni ’60, in regime di economia mista gestita dalle partecipazioni statali. Fu allora che sorse il problema dei controlli, perché in quel sistema, in cui i ministeri facevano e disfacevano, i controllori coincidevano coi controllati. Chi punta il dito sulle privatizzazioni dovrebbe ricordare le vecchie polemiche sulle briglie con cui la burocrazia partitica asfissiava l’economia italiana, strangolata dal fisco, dalle pastette e dalle tangenti.

Parlare di privatizzazioni per colpire gli ultimi governi della Prima Repubblica e Prodi è quindi solo un modo di distogliere l’attenzione dal problema principale: gli omessi controlli, più facili e doverosi, visto che controllore e controllato non coincidevano più.

Al riguardo, si può aggiungere che dalla costruzione del ponte di Genova alle privatizzazioni sono passati più di trent’anni e che ne sono passati più di venti da queste ultime alla tragedia di Ferragosto. Possibile che in questo lasso di tempo nessuno abbia mai lanciato qualche allarme? Solo ora sappiamo che il ponte presentava già cenni di degrado. Ma quando ancora si era in tempo per evitare la catastrofe dov’erano i mastini del giornalismo d’inchiesta? Dov’erano i funzionari solerti? Dov’erano i tecnici infallibili?

Solo ora è emersa la prassi della segretezza dei contratti. Peccato solo che su questa segretezza avevano già puntato il dito Bankitalia e l’Authority per i trasporti, senza godere del “fuoco di copertura” di quei media che ora urlano allo scandalo.

In compenso, c’è chi si improvvisa storico e si lancia in improbabili paragoni con l’ingegneria civile romana, costruttrice di infrastrutture che ancor oggi stanno in piedi.

Mezzi in bilico sul ponte appena crollato

Peccato solo che gli ingegneri d’età imperiale progettavano ponti e strade per una società che raggiungeva appena 120 milioni di abitanti e in cui i mezzi più pesanti erano i “cunei” di catafratti (le divisioni di cavalleria corazzata) e i carri trainati dai buoi. Una bazzecola rispetto al peso medio che deve sopportare una infrastruttura moderna.

Non sono mancati neppure gli antimodernisti a oltranza, sotto le mentite spoglie dell’ambientalismo e della lotta alle opere pubbliche, considerate solo stimoli alla corruzione. Al riguardo, chi si è opposto al progetto “Gronda”, relativo a un’arteria stradale quantomeno complementare al ponte crollato, oggi dovrebbe tacere ed arrossire, per almeno due motivi: perché la “Gronda” avrebbe alleggerito il traffico sulla infrastruttura di Morandi, logora e male invecchiata, e poi perché si è fidato delle informazioni passate da Autostrade, oggi sotto accusa.

L’oste aveva detto che il vino era buono e i 5 Stelle della Liguria se la sono bevuta.

Forse non c’era da aspettarsi altro da una forza politica che, tra le varie, ha ereditato la subcultura dell’avversione alla tecnica e al progresso, meno quelli che gli sono convenuti: la rete e delle telecomunicazioni, che gli hanno consentito di imporsi scavalcando i media tradizionali.

E il peggio arriverà quando, finiti i lutti e sfumate le polemiche, Genova e la Liguria realizzeranno di essere paralizzate, anche a livello economico, e occorrerà ricostruire qualcosa per rimettere in moto il traffico.

Se davvero si vogliono rispettare le vittime di questo dramma occorre solo una cosa: pesare quel che si dice, perché di profeti del “dopo” ne abbiamo piene davvero le tasche. E pure queste rischiano di scoppiare, per omessa manutenzione ed eccessiva usura.

Saverio Paletta

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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