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Fucked Up, l’hardcore punk diventa colto e mira al prog

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La band canadese torna con Dose Your Dreams, un concept album carico di elettronica e arrangiamenti orchestrali

Fucked Up, o dei miracoli, a dispetto della parolaccia.

Primo miracolo: il sestetto canadese esiste dal 2001 e ha subito pochissimi cambi di formazione.

Secondo miracolo: i Fucked Up suonano hardcore (e che altro, con questo nome?), ma sono riusciti a sfidare il mainstream senza ammorbidire la propria formula sonora. Infatti, nel 2009 hanno vinto, grazie al loro secondo album, The Chemistry Of Common Life (Matador 2008), il premio Polaris assegnato al miglior album dell’anno a prescindere dal genere, e hanno quasi bissato nel 2012, quando hanno ottenuto la nomination al medesimo premio per il successivo David Comes To Live (Matador 2011). Segno che la scena americana, quando non è troppo condizionata dal mercato (Usa) o dalle tradizioni (America Latina), riesce a fare scelte coraggiose e controcorrente in nome della qualità.

I Fucked Up

I fantastici sei forse hanno intenzione di riprovarci. Infatti, dopo essere passati alla Merge, hanno riesumato David, il protagonista dell’album del 2011, e sono tornati col recentissimo Dose Your Dreams, un altro concept album, in cui osano l’osabile e imbastardiscono il proprio sound in tutti i modi, ricorrendo all’elettronica e agli arrangiamenti orchestrali.

Non solo: i Fucked Up hanno esagerato anche nelle dimensioni della loro proposta: diciotto brani spalmati su due cd. Considerato il genere, una vera e propria sfida ai timpani.

Il titolo non tragga in inganno: Dose Your Dreams, non è un elogio al cinismo, ma l’invito a non sognare troppo e, soprattutto, a non pensare che tutti i nostri sogni siano realizzabili.

La copertina di Dose Your Dreams

L’open track None Of Your Business Man dà subito la misura della poetica della band: un minuto di introduzione di pianoforte, archi e coro e poi via col consueto massacro sonoro: la vociaccia del mitico Damian Abraham storpia alla grande la linea melodica, le chitarre di Mike Alienhuck e Josh Zucker zappano i riff e la sezione ritmica, costituita dalla polposa bassista Sandy Miranda e dal batterista Jonah Falco, martella alla grande su un tempo cadenzato da pogare a più non posso sotto il palco.

Rase Your Voice Joyce parte con una breve intro elettronica in stile ambient e si lancia subito su un tempo spedito su cui Abraham declama a piene urla. Simpatico il coretto in stile Beach Boys che spezza un po’ l’assalto sonoro, in cui i riff sembrano galleggiare sull’elettronica.

Tell Me What You See esordisce con un attacco industrial e cresce su un refrain epico che culmina in un altro coretto orecchiabile e sfocia in una bella parte strumentale in cui le due chitarre ricamano all’unisono un’aria maestosa.

Stupisce (ma anche rilassa le orecchie) l’incedere quasi pop di Normal People, in cui i coretti predominano e il barbuto – e calvo e ciccione – Abraham urla poco.

Ma è solo una pausa, perché Torch To Light, coi suoi stop and go e le sue sfuriate repentine è hardcore puro, appena temperato dai controcanti femminili su stacchi rallentati.

Attacco elettronico e urla su tempi serrati nella successiva House Of Keys, in cui la band dà fondo a tutto il suo potenziale di violenza.

Dose Your Dreams è un’altra escursione verso lidi pop, grazie al ritmo quasi danzereccio dalla geometria funky supportato dall’elettronica e al cantato in buona parte pulito. Il crescendo e gli urlacci ci sono, ma quasi non disturbano.

Living In A Simulation, ovvero i Ramones ri(s)visti e (s)corretti con un riffing che più cupo non si può e linee melodiche storpiate al massimo.

Gli archi e l’elettronica introducono (e in parte accompagnano) l’epica e declamatoria I Don’t Wanna Live In This World Anymore, in cui fa la sua comparsa un bel sax ben innestato sul refrain, più arioso rispetto al resto dell’album.

How To Die Happy è un’altra escursione fuori dai canoni, stavolta completa, grazie alla guest star Alice Hansen, che canta alla Enya su una base rarefatta dall’elettronica, in cui le uniche cose forti sono i passaggi delle chitarre.

Two I’s Closed è un bizzarro spiritual a più voci su una base elettronica straniante quel che basta a creare un clima d’attesa. Non a caso, il brano fa da ponte alla successiva The One I Want Will Come For Me, dall’incedere svelto e dall’approccio ramonesiano.

Mechanical Bull è un’altra bizzarria a cavallo tra l’industrial e l’hip pop, grazie alla presenza di Ryan Tong, il cantante degli S.H.I.T., storica hardcore band di Toronto, che duetta alla grande con Abraham.

Accelerate è un altro tuffo nell’hardcore scorretto dall’elettronica dopo una breve intro rarefatta. Stavolta il tempo è vagamente ska, sottolineato con efficacia dai sequencer che affiancano la sezione ritmica e sottolineano i cori in controtempo sotto il refrain.

Came Down Wrong è un’altra escursione nel pop rock, grazie alla presenza della bella folksinger Jennifer Castle che ingentilisce il tutto col suo cantato, ben accompagnata dall’altra guest star, J Mascis, leader dei Dinosaur Jr e veterano dell’hardcore melodico.

Love Is An Island In The Sea è un altro intermezzo morbido, stavolta dai toni folk, cantato a due voci.

L’ideale per introdurre la conclusiva Joy Stops Time, sette minuti di psichedelia ben interpretati dalla nippoamericana Miya Folick, col suo cantato melodico e stralunato che relega la vociaccia di Abraham ai margini del refrain.

Un momento di un concerto dei Fucked Up

Su Dose Your Dreams i paragoni dei commentatori si sono sprecati e i giudizi sono risultati piuttosto altalenanti, sebbene tutti positivi.

Giunti al loro quinto album, non tantissimo in circa diciotto anni di attività, i Fucked Up confermano come l’hardcore abbia lasciato da tempo le proprie attitudini di genere estremo, per cui subisce la forte concorrenza dei suoi sottogeneri e delle molte forme di crossover col metal e l’industrial, e si sia classicizzato, un po’ come il metal.

La band di Toronto si pone come punta di diamante dell’aspetto prog e psichedelico del genere, con grande lungimiranza e forte creatività.

L’album non è facile, grazie anche alla sua struttura ellittica e alla sua poetica piuttosto obliqua, ma vale la pena di più ascolti, anche dai non appassionati, grazie agli spunti notevoli di cui è ricchissimo. I canadesi, evidentemente, non fanno le cose a caso e il premio e la nomination al Polaris sono stati meritatissimi. Che sia la volta di altre, prestigiose conferme? I Fucked Up le meritano.

Per saperne di più:

Il sito web ufficiale dei Fucked Up

Da ascoltare (e da vedere):

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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