San Franceschiello, in Vaticano un dossier contro la beatificazione
Il documento è in possesso della Santa Sede dal 26 gennaio ed è sottoscritto da un comitato composto da studiosi, professionisti e operatori dell’informazione di tutta Italia
A dirla tutta, la notizia non è freschissima ma c’è: il 26 gennaio è arrivato in Vaticano un dossier, snello (appena 16 pagine bibliografia inclusa) ma denso, contro la canonizzazione di Francesco II di Borbone, alias Franceschiello, alias Lasagnetta, l’ultimo re delle Due Sicilie.
Com’è noto, la notizia dell’avvio del processo di beatificazione è stata diramata a metà dello scorso dicembre dal cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo dimissionario di Napoli ed è stata accolta e rilanciata con entusiasmo dagli ambienti neoborbonici, che hanno avuto un ruolo tutt’altro che secondario nel lancio di quest’iniziativa.
Come usa dire, se la suonano e se la cantano. Peccato solo che la Chiesa, per quel che riguarda i processi di canonizzazione, non è proprio un megafono o una passacarte.
Al contrario, deve tener conto delle indicazioni contrarie o quantomeno critiche che provengono dalla società civile oppure dagli addetti ai lavori.
Al riguardo, le motivazioni critiche della Memoria storica contro l’eroicità delle virtù di Francesco II di Borbone (questo è il nome del dossier) risultano ben avallate: il papello reca, infatti, la firma di Anna Poerio Riverso, la presidente dell’Associazione culturale Carlo Poerio ed è sottoscritto da una trentina di professionisti e studiosi di varia estrazione socioculturale.
Il parterre non è proprio trascurabile: accanto ad accademici di chiara fama, come Renata De Lorenzo, docente di Storia contemporanea della Federico II e presidente della Società napoletana di Storia patria, figurano storici e giornalisti come Marco Vigna, tra l’altro autore di una pregevole monografia sul brigantaggio, Giancristiano Desiderio, artefice di un’importante operazione verità sui fatti di Pontelandolfo (noto cavallo di battaglia del neoborbonismo) e Antonella Orefice, direttrice de Il Nuovo Monitore Napoletano, studiosa della Rivoluzione del ’99 e biografa di Eleonora Pimentel Fonseca.
Di questa pattuglia, inoltre, fanno parte studiosi, ricercatori, editori, cultori di storia e rappresentanti di tre Comitati dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano.
A questo punto è doveroso scusarsi per le omissioni, dovute esclusivamente a ragioni di spazio ed è opportuno concentrarsi sul dossier. È la solita contrapposizione tra jacubbine e risorgimentalisti (quindi garibaldini e piemontesi) contro ’e realiste, cioè gli ultrà fuori tempo massimo dell’ex dinastia napoletana?
Proprio no. I sottoscrittori del dossier criticano la proposta di beatificazione sulla base di un riferimento tutt’altro che museale e antistorico: l’indirizzo dottrinario della Chiesa contemporanea che, dal Concilio Vaticano II al pontificato di Bergoglio, ha acquisito le conquiste del liberalismo in seguito a un travagliato processo dialettico.
Infatti, si legge nel dossier, con la beatificazione di Francesco II
«Si offendono in questo modo verità storica e clima civile di una società libera, democratica, laica, fondata sui basilari diritti civili, politici, sociali, ai quali le alte sfere della chiesa cattolica oggi si riferiscono nei loro discorsi e nei loro scritti».
Già, prosegue la Memoria storica:
«Se Papa Francesco, nella scia di precedenti pontefici, designa i diritti civili, politici e sociali come dimensioni necessarie della dignità di ogni essere umano e di una società umana e religiosa degna di questo nome, ed alla luce di essi critica regimi dittatoriali e società autoritarie e fanatiche, non si comprende come si possa beatificare un sovrano assolutista, clericale, legalmente antisemita, il cui regime ed i cui ordinamenti erano fondati sulla negazione di quei fondamentali diritti civili di libertà e di umana dignità, ai quali i suddetti Pontefici si riferiscono».
Né vale, secondo gli autori del dossier, invocare la religiosità di re Lasagnetta a supporto della beatificazione perché
«Gli ultimi pontefici inoltre hanno messo e mettono ben in luce che la vera religiosità non ha niente a che vedere con il formalismo bigotto e con la superstizione, che furono caratteristiche notoriamente tipiche di Francesco II».
E l’Italia? Quella repubblicana ha già dato tanto a Franceschiello:
«Ha permesso nel 1984 che le sue spoglie fossero portate nella sontuosa cappella dei Borboni nella monumentale Chiesa di Santa Chiara, che è di proprietà pubblica, non della chiesa cattolica, in quanto lo Stato ora Repubblicano è responsabile dal punto di vista economico e di salvaguardia artistico-culturale».
Anzi, chi grida ancora al complotto massonico dovrebbe prendere atto della singolare disparità di trattamento, per cui l’ultimo re Borbone ha avuto dalla Repubblica molto più dei jacubbine del 1799 che tuttora «giacciono in modo indegno abbandonati nel fango del pronao della Chiesa del Carmine presso Piazza Mercato, luogo triste di Martirio».
Un’incuria tanto più grave, se si pensa che «come S. Chiara, anche la Chiesa del Carmine è ora di proprietà della Repubblica Italiana e non della Chiesa cattolica di Napoli».
Ovviamente il dossier non si ferma qui: la sua ciccia è tutta nelle argomentazioni corpose tratte dalle opere documentatissime (e mai confutate in sede scientifica) di storici di prima grandezza contro la beatificazione.
Questo santo proprio non s’ha da fare, secondo i sottoscrittori del dossier, che si sono costituiti in Comitato per sostenere la battaglia contro la beatificazione di Franceschiello.
E la battaglia si annuncia dura e combattuta. Ma su quali presupposti la Memoria storica contesta la santità di Francesco II?
Li racconteremo a breve.
47,750 total views, 4 views today
Parlare di un “complotto massonico” favorevole alla santificazione di Francesco ll di Borbone quando sia la Chiesa che i Borboni furono i più feroci oppositori e detrattori della Massoneria lascia piuttosto perplessi…
Egregio Professore,
Nessuno ha parlato di “complotti massonici” riguardo la beatificazione di Francesco II.
Tuttavia, i dati in nostro possesso, che in parte abbiamo già esposti, fanno capire che questa iniziativa provenga da ambienti ben precisi, tra cui l’Ordine cavalleresco che fa capo a don Carlo di Borbone (quello del caffè, per capirci).
Per il resto, conosciamo benissimo le differenze tra un Ordine cavalleresco e un’Obbedienza massonica. Tuttavia, ciò non toglie che tra queste strutture esistono forti analogie: entrambe, ad esempio, si prestano benissimo al ruolo di lobby (di cui hanno costituito il prototipo storico).
Detto questo, occupiamoci di storia: è vero che i Borbone, a partire dal “re Nasone”, perseguitarono la massoneria in casa propria.
Ma su quella altrui non andarono troppo per il sottile: mantennero il trono siciliano grazie all’ammiraglio Nelson, noto esponente della Loggia d’Inghilterra, e, sempre grazie al suo aiuto, riottennero quello di Napoli. E ancora: i Borbone furono generosamente aiutati e protetti anche da Napoleone III, altro framassone.
Siamo davvero sicuri che la storia sia fatta di cesure così nette?
Grazie per l’attenzione
Saverio Paletta