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Delitto Pecorelli, il tragico paragone con Moro

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Op tornò in edicola tre anni dopo l’assassinio del celebre giornalista d’inchiesta che l’aveva fondato e diretto. La nuova serie iniziò con un editoriale e un fondo inquietanti, che chiamavano in causa il defunto presidente della Dc

Ripubblichiamo alcuni articoli di Op, il famoso periodico di giornalismo investigativo fondato e diretto da Mino Pecorelli. Iniziamo con due estratti dal numero 1 del 31 marzo 1982.

È un numero particolare e inquietante, uscito tre anni dopo l’omicidio del celebre (e discusso) giornalista d’inchiesta per volontà dei suoi collaboratori più stretti e fidati, a partire dal caporedattore Paolo Patrizi, che assunse la redazione della nuova serie, destinata a un’esistenza editoriale piuttosto breve.

L’aspetto più interessante dei due articoli che riproponiamo ai lettori consiste nel parallelo tra il delitto Moro e quello Pecorelli, due omicidi avvenuti a distanza di un anno l’uno dall’altro. Buona lettura.

La copertina del numero 1 del “nuovo” Op

Tre anni dopo

Sono trascorsi tre anni da quando mano vile ed assassina pose fine alla vita di Mino Pecorelli. Questo «ricattatore», che doveva successivamente diventare un anticipatore formidabile di notizie, finché fu vivo ebbe la «ventura» di godere del massimo silenzio intorno al suo lavoro e alla sua battaglia.

Cadavere, fu tenuto per due anni negli armadi.

Perché oggi OP ritorna in edicola? Vogliamo seguitare quella battaglia anche per dimostrare come le idee non si possano uccidere, le idee vivono al di là delle persone e riescono sempre ad affermarsi.

OP= ora paga, dissero alcuni, volendo far intendere «ricatti» mai operati da un uomo che è morto povero, mentre i ricattatori non solo vivono ma sono anche spesso ricchi e famosi. Pecorelli era un nuovo modo di fare un giornalismo al di fuori degli schemi lottizzati della stampa e perciò era un nemico della convenzione. Si preoccupava di dire la verità senza curarsi di sapere se una notizia poteva nuocere alla destra, alla sinistra o al centro.

Pecorelli non era solo, c’erano e ci sono con lui tanti italiani. Ci siamo noi che vogliamo seguitare a parlare.

OP= ora parliamo!

Per questo siamo oggi in edicola.

[Osservatore Politico Nuovo, Anno I-n. 1 31 marzo 1982, pag. 1]

Aldo Moro e, a destra nella foto, Mino Pecorelli [da pag 4 del numero 1 di Op del 1982]

Gli anni di satana

Marzo ’79 marzo ’82, riprendiamo il discorso tanto bruscamente interrotto. Vogliamo aprire il primo numero di OP «senza» Mino Pecorelli – il suo ricordo è sempre vivo nelle nostre stanze e tale presenza oggi in particolare ci commuove e ci paralizza – con la frase che in questi tre anni ha avviato tutti i nostri discorsi quando, tra amici, un po’ sognando e un po’ prendendosi sul serio, si parlava di dar vita al settimanale «di fatti e notizie». Ora, finalmente, il nostro sogno guascone è diventato pagina e questo desideriamo soprattutto: ritrovarci tutti quelli che abbiamo creduto, lottato, scritto, letto per la «vecchia» OP, quella che ha mostrato di che lagrime grondi e di che sangue la casta degli insospettabili, per proseguire e condurre fino al termine quel discorso.

Questo è, a nostro avviso, il modo più nobile, l’unico possibile, per dimostrare concretamente che Mino Pecorelli non è vissuto, non è morto invano. Che egli è ancora tra noi, con il suo lavoro, il suo impegno pagato fino al supremo sacrificio, la sua ansia di verità e di giustizia che non ha conosciuto pregiudizi di parte.

Mino Pecorelli

Moro e Pecorelli

Due spettri si agitano nelle stanze del Palazzo: quello di Aldo Moro e quello di Mino Pecorelli, entrambi assassinati per motivi «politici» nel volger di pochi mesi l’uno dall’altro.

Le due morti hanno segnato una svolta negli anni del sangue: dopo l’assassinio di Moro s’è cominciato a dare la caccia ai terroristi, dopo la morte di Pecorelli s’è ricominciato a disinnescare le più pericolose mine vaganti. Sarà un caso, ma mentre il paese festeggia l’efficienza del primo presidente del Consiglio laico, due sole cose in Italia continuano a marciare con la lentezza di un tempo: la Commissione Moro e l’inchiesta sull’omicidio di Pecorelli.

Del delitto Moro, almeno, ogni tanto parla la stampa: Rognoni scopre un busto nonostante la polemica assenza della famiglia dello statista; Forlani tiene in suo onore un comizio al consiglio nazionale del suo partito per laurearsi segretario politico, poi corre in Parlamento per legittimare il titolo scandendo forte e chiaro che la DC non si processa… Guai invece a chi s’azzarda a parlare di Pecorelli.

Il suo nome torna però alla ribalta a scadenze fisse. È opportuno «avvicinare» un’indagine? Bene. Questo è il caso e l’ora di Pecorelli. Si sono appropriati così non solo della sua vita ma della stessa memoria. Non ha voluto servire da vivo? Che serva da morto.

Sputate su quel cadavere

Hanno versato su di lui tutto il fango possibile: ricattatore, spia, doppiogiochista. Compiuta la più spietata opera di sciacallaggio, hanno avuto l’ardire di concludere che Pecorelli aveva scritto tutto, aveva rivelato nei minimi particolari i maggiori casi della nostra cronaca politico-giudiziaria. E «loro», loro poverini, come mai hanno dovuto aspettare che venisse ucciso per accorgersene?

Quali sono per istituto i loro compiti?

Un ricattatore mette per iscritto e a disposizione di tutti gli argomenti attraverso i quali intende esercitare il ricatto? Una «spia» che si legge in edicola? Non resiste al ridicolo. Raggiunge invece l’infamia chi, dopo aver sputato più di altri sul cadavere, messo in difficoltà confessa di dovere a lui il motivo di certi suoi successi.

Aldo Moro e, alla sua sinistra, Mino Pecorelli [da pag 5 del numero 1 di Op del 1982]

Anni di piombo

Gli anni del sangue, morti Moro e Pecorelli diventano gli anni di piombo. Una coltre plumbea pervade ormai le cronache giudiziarie. Chi parla più dei 1200 miliardi dell’Italcasse? Chi dei Caltagirone, degli Ursini, della Flaminia? Chi dice della Sir che ha inghiottito oltre 3000 miliardi anche grazie alle benevole perizie di un ministro tutt’ora in carica? Chi si chiede più di dove la signora Giudice abbia potuto trarre di che acquistare «uno dei suoi smeraldi, quello che si è vista costretta a vendere alla signora Niutta pur di riabbracciare il legittimo consorte? Chi insiste, oggi, perché l’Interpol agguanti quel Donato Loprete segnalato a settimane alterne a La Valletta e a Londra? Pecorelli è morto e la giustizia segna il passo.

Pecorelli è morto. Chi ha ucciso Pecorelli?

[Osservatore Politico Nuovo, Anno I-n. 1 31 marzo 1982, pagg. 2-3]

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