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Referendum, la ragione vera (e paradossale) per dire no

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Il taglio dei parlamentari non comprometterebbe affatto la democrazia, che continuerebbe a (mal)funzionare alla grande. Ma limiterebbe la circolazione delle idee perché escluderebbe chi le coltiva ancora a vantaggio di chi fa politica a botte di post e tweet. Con pericoli, anche gravi, per le nostre libertà

Una provocazione per iniziare: «Sono sempre più fermamente convinto che per la salute d’Italia bisognerebbe fucilare, dico fucilare, nella schiena, qualche dozzina di deputati e mandare all’ergastolo un paio almeno di ex ministri. Non solo, ma io credo, con fede sempre più profonda, che il Parlamento in Italia sia il bubbone pestifero che avvelena il sangue della Nazione. Occorre estirparlo».

Tanta truculenza proveniva dal Benito Mussolini del 1915, ancora “di lotta”, che aveva smessi i panni di “Duce del socialismo romagnolo” e non aveva ancora indossato quelli di “Duce del fascismo” e si limitava a fare il rivoluzionario a destra con lo stesso accanimento con cui, da socialista, era stato massimalista.

Benito Mussolini nel 1915, ancora coi baffi, non ancora Duce

Nel Parlamento di allora, con cui Mussolini se la prendeva dalle colonne del suo “Popolo d’Italia”, sedeva gente come Vittorio Emanuele Orlano, Sidney Sonnino, Giovanni Giolitti, Filippo Turati, Gaetano Mosca e Benedetto Croce, cioè il meglio.

Visto che ci siamo, lanciamo un’altra provocazione: cosa penserebbe e direbbe ora, il Benitone, del Parlamento attuale, il cui livello è, invece, paurosamente rasoterra, a partire da quelle destre sovraniste e populiste che, appena possono, gli fanno l’occhiolino?

A guardare lo sfacelo istituzionale (ma soprattutto culturale e umano) non si dovrebbe esitare: un sì secco al referendum del 21 settembre per sforbiciare come Cristo comanda la pletora di asini, inefficienti – e spesso corrotti – rappresentanti che occupano le Camere e guazzano nel benessere, grazie agli emolumenti pagati dai cittadini sempre più poveri di un Paese messo in ginocchio dalla crisi e dalla pandemia.

E chissenefrega se stavolta la proposta di sforbiciare proviene dal Movimento 5 Stelle, cioè dalla forza che rappresenta il peggio di questo Parlamento.

Aldo Bozzi, il presidente della prima bicamerale per le riforme costituzionali

L’idea di ridimensionare le Camere non è una novità dei grillini: se ne parla dai tempi della Commissione Bozzi, quando per la prima volta l’Italia, grazie all’avvento del craxismo (a proposito di machi calvi e prepotenti…) prendeva atto dell’inefficienza delle istituzioni e si poneva il problema della cosiddetta “democrazia decidente”.

E allora, sforbiciamo pure, ché c’è poco da rimpiangere: non i tanti “scappati da casa”, che a casa dovranno tornare perché incapaci di affrontare i collegi più grandi che dovranno votare il “nuovo” Parlamento; non i codazzi di segretari e portavoce improbabili ma portaborse ossequienti, che riescono nel miracolo di far sembrare i loro patroni peggio di quel che sono; non certe sedute fiume in Aula, che possono piacere solo ai cultori del trash; non lo spettacolo offerto dai peones presi con le mani nella marmellata dei lobbisti.

Intendiamoci: queste cose nel “nuovo” Parlamento continueranno, ma saranno di meno e dureranno di meno, perché saranno di meno i personaggi in cerca di autore che avranno la possibilità di farle.

Non ci si parli di rappresentatività: credete davvero che avere quattro deputati anziché dieci o tre senatori anziché sei cambi davvero la vita a qualcuno?

Tuttavia, chi scrive voterà no, anche a costo di passare per bipolare, specie alla luce di quanto avete avuto la pazienza di leggere finora.

Non è una questione di rappresentatività o di democrazia. La prima, ormai, è quasi evaporata in un Paese come il nostro, che è stato l’ultimo d’Occidente a convertirsi alla rete e il primo a cadere nelle sue trappole: credete davvero che quattro fighetti che smaniano a botte di tweet e di post basati più sul marketing che sulla politica rappresentino qualcuno o qualcosa? «La politica», diceva il Rino Formica degli anni d’oro, «è sangue e merda» e queste due cose c’entrano molto poco con i messaggini colorati, i tweet a raffica e le immagini fotoshoppate.

L’ex ministro socialista Rino Formica

Neppure la democrazia è in pericolo: in Italia si vota troppo e troppo spesso. E, soprattutto, si candidano in troppi a tutti i livelli. L’unico rischio della nostra democrazia è la svalutazione per troppa inflazione, l’usura che consegue agli abusi.

Per chi scrive è una questione di libertà, perché la libertà non la si vota ma, al massimo, la si può difendere. Perché la libertà è ciò che rende sostenibile la democrazia e le impedisce di scantonare, di diventare una dittatura del numero.

La libertà ci consente di pesare i voti, laddove i demagoghi, i populisti e i liberticidi si limitano a contarli. E si dà il caso che i Parlamenti non esistono per realizzare la democrazia, ma per assicurare la libertà all’interno della democrazia e per evitare che quest’ultima deragli. I Parlamenti, che tra l’altro sono più vecchi della democrazia di massa, sono organi “difensivi”. Cioè sono nati per tutelare i cittadini dagli eccessi del potere sovrano. Quindi anche da sé stessi.

Ciò vale pure per l’attuale Parlamento, che è quello che ha dato peggiore prova di sé nella storia repubblicana. Sforbiciarlo ora significherebbe consegnare mani e piedi il Paese non tanto ai populisti di destra, che non vedono l’ora di tornare alle urne sulla spinta del sì. Ma alle autonomie locali, che acquisterebbero ancora più peso.

Benedetto Croce, esempio di una élite che non c’è più

C’è di peggio: tagliare ora comporterebbe espellere dal Parlamento o sbarrarne le porte a quella esigua pattuglia che ancora mantiene una parvenza di classe dirigente.

In altre parole, i vari Calenda, i pochi deputati di Emma Bonino, quegli esponenti del Pd e di Fi che hanno ancora barlumi di cultura e di senso delle istituzioni, i grillini che si sono alfabetizzati e i leghisti che hanno acquisito un po’ di buonsenso sarebbero tagliati fuori.

In Italia c’è una legge non scritta che regola i flussi elettorali: i più preparati, quelli che hanno e coltivano idee, prendono sempre meno voti di quel che valgono.

Capitava anche nella Prima Repubblica, dove persino Moro subì flessioni elettorali paurose nei suoi stessi collegi. Figurarsi ora, che siamo passati dal populismo televisivo a quello telematico.

Non si è citato Mussolini a caso, ma solo perché tra i tanti nemici della libertà generati dal nostro Paese è stato il più abile, intelligente e dotato di talento politico. Fu quello che approfittò meglio dell’allargamento del suffragio elettorale e compresse le libertà grazie a un uso spregiudicato della democrazia.

La condizione per cui il Parlamento può tutelare la libertà è il pluralismo delle idee. Solo in questo caso è legittimo difendere la rappresentatività.

E allora forse vale la pena ingurgitare le gaffe dei peones, gli inciuci dei lobbisti e la pochezza dei miracolati diventati leader grazie alla crisi. Se questo serve a salvaguardare quel po’ di cultura politica che sopravvive anche in Italia (e nonostante gli italiani) mandiamo giù il boccone.

Ma con un’avvertenza: stavolta le controindicazioni sono davvero fortissime, perché l’eventuale vittoria del no non risolve il problema ma lo sposta.

Si può votare no solo per un motivo: tenerci quel poco che ci è rimasto in attesa di una riforma vera, non più procrastinabile.

Saverio Paletta

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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